MICHIGAN (17)
Popolazione: 10,071,822 (8°)
Capitale: Lansing (119.128 - metro area: 456.440)
Città più grande: Detroit (916.952 - metro area: 5.405.918)
Governatore: Jennifer Granholm (D)
Senato: Carl Levin (D); Debbie Stabenow (D)
Camera: GOP 9 DEM 6. Bart Stupak (D); Peter Hoekstra (R); Vernon Ehlers (R); Dave Lee Camp (R); Dale Kildee (D); Fred Upton (R); Tim Walberg (R); Michael Rogers (R); Joseph Knollenberg (R); Candice Miller (R); Thad McCotter (R); Sandy Levin (D); Carolyn Kilpatrick (D); John Conyers Jr. (D); John Dingell (D)
Il Michigan è il 16° stato meno conservatore degli Stati Uniti. Nel 2004, il voto per il candidato repubblicano è stato del 5,9% inferiore alla media nazionale. Il trend degli ultimi anni è piuttosto stabile, con una leggerissima tendenza a favore del partito repubblicano. Considerato uno stato blue-collar in cui i cattolici giocano un ruolo molto importante, il Michigan è una roccaforte repubblicana fino alla Grande Depressione. Dal 1856 al 1928, il GOP vince 18 elezioni presidenziali su 19. E l'unica eccezione è la vittoria di Theodore Roosevelt nel 1912 davanti William H. Taft (repubblicano), quando l'ex presidente (repubblicano) si presenta con un ticket Progressive dopo aver perso le primarie (repubblicane) proprio contro Taft. La crisi del '29 sposta decisamente gli equilibri in campo, e il Wolverine State si consegna a Franklin D. Roosevelt nel 1932 e nel 1936, anche se nel 1940 è uno dei pochi stati a votare (di misura) per Wendell Wilkie e nel 1944 regala i suoi 19 electoral votes (oggi sono due di meno) a FDR per poco più di 20mila voti. Nel dopoguerra, il Michigan sembra lentamente tornare alla "normalità": Dewey batte Truman (di poco) nel 1948 ed Eisenhower batte Stevenson (di molto) nel 1952 e nel 1956. Ma i tempi sono maturi per un'altra "serie" democratica: nel 1960 Kennedy vince di misura contro Nixon; nel 1964 lo stato si adegua al landslide di Johnson nei confronti di Goldwater; nel 1968 Humphrey vince, addirittura comodamente, contro Nixon. Lo stesso Nixon si prende la rivincita nel 1972, quando strapazza McGovern con 500mila voti e 15 punti percentuali di distacco, inaugurando per il GOP una striscia positiva di cinque elezioni presidenziali che prosegue con Ford nel 1976 (+5 su Carter), Reagan nel 1980 (+7 su Carter) e nel 1984 (+19 su Mondale), Bush Sr. nel 1988 (+8 su Dukakis). Con Clinton nel 1992 (+7 su Bush Sr. con l'aiuto decisivo di Perot), i democratici tornano a controllare gli electoral votes dello stato. E lo fanno in tutte le tre elezioni più recenti: Clinton nel 1996 (+13 su Dole), Gore nel 2000 (+5 su Bush Jr.) e Kerry nel 2004 (+3 su Bush Jr.).
Già nel 2004, il Michigan era considerato un possibile target per il partito repubblicano. E il GOP ha investito una quantità di risorse considerevoli nello stato durante la campagna elettorale. Tutto questo sforzo, però, è servito solo a ridurre il margine di vantaggio dei democratici da 220mila a 165mila voti. E anche i sondaggi del ciclo elettorale 2008 sembrano presagire una sconfitta di misura per i repubblicani, ma pur sempre una sconfitta. I democratici, del resto, hanno vinto nove delle ultime dieci gare per il Senato (anche quest'anno Carl Levin dovrebbe avere vita facile nel mantenere il suo seggio) e controllano il governatore, mentre i repubblicani riescono ad essere competitivi soltanto in alcuni (la maggioranza, per la verità) distretti della Camera, ma soffrono terribilmente nelle elezioni che coinvolgono tutto lo stato (più in là scopriremo perché). Nella media RCP dei sondaggi, Obama ha più di 4 punti percentuali di vantaggio su McCain e, da giugno ad oggi, il suo distacco è oscillato tra i 2 e i 9 punti. McCain è stato in testa per qualche mese, durante i giorni più caldi delle primarie democratiche, probabilmente a causa della decisione di Obama di opporsi al pieno riconoscimento dei delegati del Michigan (e della Florida) alla convention di Denver. Questa ondata di risentimento, però, sembra essersi molto attenuata con il passare del tempo. E il Wolverine State, a nostro avviso, è tornato ad occupare il suo posto nella colonna degli stati blu, anche se in questo caso si tratta di un blu pericolosamente (per Obama) sbiadito.
Geograficamente, il Michigan è composto da due penisole collegate dal Mackinac Bridge e bagnate - da est a ovest - dai laghi Erie, Huron, Michigan e Superiore. Nella Upper Peninsula, che soltanto acqua particolarmente gelida separa dal Canada, nessuno dei due partiti prevale nettamente sull'altro (a parte un paio di contee orientali in cui il GOP arriva vicino al 60%). Nella Lower Peninsula, i repubblicani superano il 60% e sfiorano il 70% nelle contee del nord (Antrim, Otsego, Missaukee) e dell'ovest (Ottawa, Allegan), oltre che nelle zone più rurali dello stato, specialmente nell'area intorno a Grand Rapids. Come sempre, invece, i democratici vanno molto bene nelle aree urbane, in particolare a Saginaw, Flint, Ann Harbor e - naturalmente - Detroit. Nelle contee in cui risiedono queste due ultime città (rispettivamente, Washtenaw e Wayne), votano più di un milione di elettori (un quinto del totale) e grazie ad esse i democratici, nel 2004, hanno accumulato un vantaggio di 400mila voti nei confronti del GOP. Se pensiamo che, sempre nel 2004, i democratici hanno vinto lo stato con uno scarto di circa 160mila voti, ci rendiamo conto di quanto soprattutto Detroit (dove risiede la quasi totalità della comunità afro-americana che rappresenta il 15% della popolazione totale), sia fondamentale nell'assegnazione degli electoral votes del Michigan al partito democratico.
Senza recuperare almeno un centinaio di migliaio di voti ai democratici nelle aree urbane, il partito repubblicano ha pochissime speranze di passare da una "sconfitta di misura" ad una "vittoria di misura". Eppure, anche quest'anno, il Michigan resta (insieme alla Pennsylvania) uno dei migliori obiettivi potenziali del GOP per un pick-up, non fosse altro che per la sua "consistenza" elettorale. Non c'è dubbio che un ipotetico passaggio di mano dei 17 electoral votes dello stato avrebbe un impatto devastante sulla struttura della corsa (forse soltanto con una controffensiva in Ohio o Florida, Obama potrebbe sperare di vincere le elezioni perdendo il Michigan). Fino ad oggi, però, questa eventualità - seppure non impossibile - resta comunque abbastanza remota. Per ora il Michigan è DEM Leaning, ma occhi spalancati sui sondaggi condotti nelle prossime settimane di campagna elettorale.
Città più grande: Detroit (916.952 - metro area: 5.405.918)
Governatore: Jennifer Granholm (D)
Senato: Carl Levin (D); Debbie Stabenow (D)
Camera: GOP 9 DEM 6. Bart Stupak (D); Peter Hoekstra (R); Vernon Ehlers (R); Dave Lee Camp (R); Dale Kildee (D); Fred Upton (R); Tim Walberg (R); Michael Rogers (R); Joseph Knollenberg (R); Candice Miller (R); Thad McCotter (R); Sandy Levin (D); Carolyn Kilpatrick (D); John Conyers Jr. (D); John Dingell (D)
Il Michigan è il 16° stato meno conservatore degli Stati Uniti. Nel 2004, il voto per il candidato repubblicano è stato del 5,9% inferiore alla media nazionale. Il trend degli ultimi anni è piuttosto stabile, con una leggerissima tendenza a favore del partito repubblicano. Considerato uno stato blue-collar in cui i cattolici giocano un ruolo molto importante, il Michigan è una roccaforte repubblicana fino alla Grande Depressione. Dal 1856 al 1928, il GOP vince 18 elezioni presidenziali su 19. E l'unica eccezione è la vittoria di Theodore Roosevelt nel 1912 davanti William H. Taft (repubblicano), quando l'ex presidente (repubblicano) si presenta con un ticket Progressive dopo aver perso le primarie (repubblicane) proprio contro Taft. La crisi del '29 sposta decisamente gli equilibri in campo, e il Wolverine State si consegna a Franklin D. Roosevelt nel 1932 e nel 1936, anche se nel 1940 è uno dei pochi stati a votare (di misura) per Wendell Wilkie e nel 1944 regala i suoi 19 electoral votes (oggi sono due di meno) a FDR per poco più di 20mila voti. Nel dopoguerra, il Michigan sembra lentamente tornare alla "normalità": Dewey batte Truman (di poco) nel 1948 ed Eisenhower batte Stevenson (di molto) nel 1952 e nel 1956. Ma i tempi sono maturi per un'altra "serie" democratica: nel 1960 Kennedy vince di misura contro Nixon; nel 1964 lo stato si adegua al landslide di Johnson nei confronti di Goldwater; nel 1968 Humphrey vince, addirittura comodamente, contro Nixon. Lo stesso Nixon si prende la rivincita nel 1972, quando strapazza McGovern con 500mila voti e 15 punti percentuali di distacco, inaugurando per il GOP una striscia positiva di cinque elezioni presidenziali che prosegue con Ford nel 1976 (+5 su Carter), Reagan nel 1980 (+7 su Carter) e nel 1984 (+19 su Mondale), Bush Sr. nel 1988 (+8 su Dukakis). Con Clinton nel 1992 (+7 su Bush Sr. con l'aiuto decisivo di Perot), i democratici tornano a controllare gli electoral votes dello stato. E lo fanno in tutte le tre elezioni più recenti: Clinton nel 1996 (+13 su Dole), Gore nel 2000 (+5 su Bush Jr.) e Kerry nel 2004 (+3 su Bush Jr.).
Già nel 2004, il Michigan era considerato un possibile target per il partito repubblicano. E il GOP ha investito una quantità di risorse considerevoli nello stato durante la campagna elettorale. Tutto questo sforzo, però, è servito solo a ridurre il margine di vantaggio dei democratici da 220mila a 165mila voti. E anche i sondaggi del ciclo elettorale 2008 sembrano presagire una sconfitta di misura per i repubblicani, ma pur sempre una sconfitta. I democratici, del resto, hanno vinto nove delle ultime dieci gare per il Senato (anche quest'anno Carl Levin dovrebbe avere vita facile nel mantenere il suo seggio) e controllano il governatore, mentre i repubblicani riescono ad essere competitivi soltanto in alcuni (la maggioranza, per la verità) distretti della Camera, ma soffrono terribilmente nelle elezioni che coinvolgono tutto lo stato (più in là scopriremo perché). Nella media RCP dei sondaggi, Obama ha più di 4 punti percentuali di vantaggio su McCain e, da giugno ad oggi, il suo distacco è oscillato tra i 2 e i 9 punti. McCain è stato in testa per qualche mese, durante i giorni più caldi delle primarie democratiche, probabilmente a causa della decisione di Obama di opporsi al pieno riconoscimento dei delegati del Michigan (e della Florida) alla convention di Denver. Questa ondata di risentimento, però, sembra essersi molto attenuata con il passare del tempo. E il Wolverine State, a nostro avviso, è tornato ad occupare il suo posto nella colonna degli stati blu, anche se in questo caso si tratta di un blu pericolosamente (per Obama) sbiadito.
Geograficamente, il Michigan è composto da due penisole collegate dal Mackinac Bridge e bagnate - da est a ovest - dai laghi Erie, Huron, Michigan e Superiore. Nella Upper Peninsula, che soltanto acqua particolarmente gelida separa dal Canada, nessuno dei due partiti prevale nettamente sull'altro (a parte un paio di contee orientali in cui il GOP arriva vicino al 60%). Nella Lower Peninsula, i repubblicani superano il 60% e sfiorano il 70% nelle contee del nord (Antrim, Otsego, Missaukee) e dell'ovest (Ottawa, Allegan), oltre che nelle zone più rurali dello stato, specialmente nell'area intorno a Grand Rapids. Come sempre, invece, i democratici vanno molto bene nelle aree urbane, in particolare a Saginaw, Flint, Ann Harbor e - naturalmente - Detroit. Nelle contee in cui risiedono queste due ultime città (rispettivamente, Washtenaw e Wayne), votano più di un milione di elettori (un quinto del totale) e grazie ad esse i democratici, nel 2004, hanno accumulato un vantaggio di 400mila voti nei confronti del GOP. Se pensiamo che, sempre nel 2004, i democratici hanno vinto lo stato con uno scarto di circa 160mila voti, ci rendiamo conto di quanto soprattutto Detroit (dove risiede la quasi totalità della comunità afro-americana che rappresenta il 15% della popolazione totale), sia fondamentale nell'assegnazione degli electoral votes del Michigan al partito democratico.
Senza recuperare almeno un centinaio di migliaio di voti ai democratici nelle aree urbane, il partito repubblicano ha pochissime speranze di passare da una "sconfitta di misura" ad una "vittoria di misura". Eppure, anche quest'anno, il Michigan resta (insieme alla Pennsylvania) uno dei migliori obiettivi potenziali del GOP per un pick-up, non fosse altro che per la sua "consistenza" elettorale. Non c'è dubbio che un ipotetico passaggio di mano dei 17 electoral votes dello stato avrebbe un impatto devastante sulla struttura della corsa (forse soltanto con una controffensiva in Ohio o Florida, Obama potrebbe sperare di vincere le elezioni perdendo il Michigan). Fino ad oggi, però, questa eventualità - seppure non impossibile - resta comunque abbastanza remota. Per ora il Michigan è DEM Leaning, ma occhi spalancati sui sondaggi condotti nelle prossime settimane di campagna elettorale.
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