«Io odio Sarah Palin». Inizia così l’articolo scrittto per l’ultimo numero della National Review da David Kahane, pseudonimo dietro il quale si nasconde un “pezzo grosso” di Hollywood (ancora anonimo) che si diverte, sulla rivista di riferimento dei conservatori a stelle e strisce, a prendere in giro la deriva progressive dell’industria cinematografica americana. Nel suo ultimo articolo, Kahane “interpreta” un democratico-standard che esprime tutto il suo odio verso la governatrice dell’Alaska che, insieme a John McCain, compone il ticket repubblicano che corre per la Casa Bianca.«Ecco perché ti odiamo Sarah Marshall Palin - scrive Kahane nelle ultime righe del suo pezzo - Ti odiamo perché ci ricordi l’altra faccia delle nostre mogli, delle nostre fidanzate e delle nostre figlie. Perché vuoi costringerle a combattere dalla tua parte contro i nostri sneers (smorfie di disgusto, ndr) e smears (menzogne elettorali, ndr). Ti odiamo perché sei capace e realizzata. Perché sei riuscita a costruirti una carriera politica senza farlo alle spalle di Monica Lewinsky. Ti odiamo perché sei intelligente e bellissima. E perché vorremmo disperatamente avere donne come te dalla nostra parte. Ti odiamo».
Con ogni probabilità dietro al nickname di David Kahane si nasconde un uomo. Ma si tratta di un uomo che vive a contatto con l’epicentro del “culto obamista” (Hollywood) e che negli ultimi giorni ha certamente sperimentato in prima persona la violenza degli attacchi concentrici che sono partiti nei confronti di Sarah Palin dopo la sua candidatura alla vicepresidenza.
Ora, che le campagne elettorali statunitensi possano raggiungere livelli di “negatività” anche elevatissimi è cosa nota. «If you can’t stand the heat, get out of the kitchen» («Se non sopporti il calore, esci dalla cucina»), diceva il presidente Harry S. Truman già negli Anni Quaranta. E per restare alla storia più recente basterebbe pensare agli attacchi con cui George Bush Sr. riuscì a recuperare il suo svantaggio nei confronti di Mike Dukakis o alla “october surprise” (la notizia di un arresto per guida in stato d’ubriachezza vecchio di decenni) con cui Al Gore riuscì quasi a battere George Bush Jr. sul filo di lana.
La lista potrebbe continuare a lungo, ma in nessun caso si è assistito ad uno spiegamento di forze così compatto, violento ed organizzato come quello che si è scatenato contro Sarah Palin. Ma andiamo con ordine. Prima le accuse generiche di “inesperienza” che, lanciate dagli obamisti, facevano oggettivamente un po’ ridere. Poi le tonnellate d’inchiostro spese per raccontare i dettagli di una mini-inchiesta per presunto “abuso di potere” che sembra avere tutte le caratteristiche per scomparire in una bolla di sapone. Poi le voci - insistenti e volgari - sull’ultimo figlio (quello affetto dalla sindrome di Down) che non sarebbe stato il frutto di una sua gravidanza, ma di quella della figlia Bristol (“coperta” dalla madre con questo brillante escamotage alla Desperate Housewives). Gossip che ha costretto la Palin a rivelare la gravidanza - vera, questa sì - della figlia teen-ager, gettando il diritto alla privacy di una minorenne in pasto ai piranha dell’opinione pubblica. Poi il falso, accertato, di una sua fantomatica iscrizione ai “secessionisti” dell’Alaskan Independence Party. Poi l’arresto per guida in stato d’ubriachezza del marito Todd (anche in questo caso, una notizia di una ventina d’anni fa). Ieri è stata la volta dell’ex capo della polizia di Wasilla - la città dell’Alaska di cui la Palin è stata sindaco prima di diventare governatore - che “rivela” di essere stato licenziato ingiustamente da Sarah Barracuda.
Sono trascorsi appena cinque giorni dalla sua ascesa nel panorama politico nazionale, ma Sarah Palin è già stata costretta ad ingoiare una quantità di fango che soltanto il doppio mandato dell’amministrazione Bush - con il complotto sull’11 settembre e l’allagamento intenzionale di New Orleans - riuscirebbe forse ad eguagliare. Una parte di questi attacchi è nata “spontanamente” nei blog vicini all’estrema sinistra americana, ma un’altra consistente fetta è stata partorita (è proprio il caso di dirlo) direttamente dalla campagna di Obama o - fenomeno assai più grave - dai cosiddetti mainstream media neutrali. Provate a pensare alla stessa operazione mediatica compiuta dalla vast right-wing conspiracy nei confronti di una candidata democratica, a qualsiasi carica. E immaginate le universali strilla di sdegno.
Con Sarah Palin, invece, tutto è permesso. Perché una donna repubblicana (un modello “inferiore” di donna, evidentemente), perché è pro-life, pro-gun e schiettamente - normalmente, sarebbe il caso di dire - conservatrice.
Proprio per questo, forse, gli attacchi nei suoi confronti sono tanto feroci. Perché questa sua “normalità” rischia di trasformare un passaggio obbligato di una campagna elettorale (la scelta di un candidato alla vicepresidenza) in un fattore in grado cambiare la dinamica della corsa. Con l’effetto-Palin, il fundraising repubblicano è cresciuto di 10 milioni di dollari in quarantott’ore, portando McCain ad avvicinarsi ai livelli raggiunti negli ultimi mesi da Barack Obama. E, soprattutto, la base conservatrice del partito sembra “eccitata” come mai prima, con un coinvolgimento a cui non si assisteva dai tempi di Ronnie Reagan. È questa, probabilmente, la spiegazione della Palin Derangement Syndrome che ha colpito le tribù obamiste nell’ultima settimana. Ma chi crede che questo sia sufficiente a sbarazzarsi del “barracuda” ha fatto male i suoi conti.
Bill Kristol racconta di aver sentito un componente dello staff di McCain spiegare alla Palin le difficoltà a cui sarebbe andata incontro dopo l’annuncio della sua candidatura, la cattiveria degli attacchi che avrebbe subito, l’intrusione dei media nella sua vita privata. «Grazie per l’avvertimento - ha risposto Sarah - ma sai quale è la differenza tra una hockey mom e un pitbull?». «No, governatore», ha sussurato lo staffer repubblicano. «Una hockey mom porta il rossetto». Gli animalisti obamisti sono avvertiti.
(domani in edicola su Liberal quotidiano)
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