giovedì 15 luglio 2010

L'italietta all'incontrario

Nell’italietta che va all’incontrario, neppure le mezze-dimissioni di Nicola Cosentino sfuggono al trend nazionale. Sfuggito, grazie al voto (decisivo?) dei finiani, alla richiesta di custodia cautelare per un reato come il concorso esterno in associazione camorristica, oggi è costretto a dimettersi da sottosegretario, a causa della minaccia (decisiva?) dei finiani, dopo il coinvolgimento, per ora soltanto giornalistico e non giudiziario, in una vicenda di “associazionismo segreto” che giorno dopo giorno sembra sempre più comica. La chiamano P3, ma potrebbero chiamarli Totò e Peppino, tanto sono stati goffi i tentativi della “loggia” di influenzare alcunché. Cercano Letta al telefono; e Letta si fa allegramente negare. Provano a fare pressioni sui giudici della Corte Costituzionale per favorire un voto positivo sulla legittimità del Lodo Alfano; e quelli li spernacchiano senza pietà.

Tentano disperatamente di imporre Cosentino come candidato governatore della Campania; e vengono travolti su tutto il fronte. È proprio su quest’ultima vicenda, però, che il paradosso italico si manifesta in tutta la sua virulenza. Se, infatti, è vero che in un Paese normale la proto-inchiesta sulla “P3” non avrebbe avuto alcuna chance di provocare le dimissioni immediate di un esponente del governo rimasto saldamente al suo posto dopo accuse assai più gravi, è altrettanto vero che il comportamento di Cosentino & Co. nei confronti di Stefano Caldoro - all’epoca suo concorrente nella corsa alla successione di Bassolino - sembra del tutto incompatibile con il ruolo di coordinatore del Pdl in Campania. “Impallinato” dai finiani nella sua corsa a governatore, infatti, Cosentino decide di vendicarsi (o almeno, così sembra dalle intercettazioni che spuntano come funghi estivi nelle redazioni dei giornali) facendo preparare un falso dossier contro l’ex-concorrente Caldoro, in cui il collega di partito (ohibò) viene dipinto come un abituale frequentatore di transessuali, sulla scia della moda di quei mesi inaugurata dal pieddino Marrazzo.

Non soddisfatto dal clamore provocato dal dossier, Cosentino pretende dai sodali pitreisti più pubblicità per «togliere di torno il culattone». «Questo è l’obiettivo principale - spiega a Martino in una telefonata - il fatto dei frocetti rimarrà storia». E rimarrà storia anche il maldestro tentativo di “far fuori” un collega di partito alla vigilia di una tornata elettorale. Pratica sconosciuta perfino nei Paesi in cui, sotto lo stesso simbolo, si combattono sanguinose battaglie alle primarie, figuriamoci in uno in cui i candidati sono scelti con un sistema-misto a metà tra il bingo e il concorso di bellezza.
Eppure, nell’italietta dell’incontrario, Cosentino si è dimesso da sottosegretario per lo scandalo dei «pensionati sfigati» ma non ha perso la poltrona di coordinatore del partito in Campania. Anzi, minaccia ferro e fuoco contro i “nemici”. Così vanno le cose, al giorno d’oggi.