mercoledì 4 maggio 2005

Questo Corriere non ci piace.

Imbarazzante editoriale di Ernesto Galli della Loggia sul Corriere della Sera di oggi. Alla faccia di chi si era fatto illusioni sulla sostanza della svolta "terzista" di Paolo Mieli. Non basta, però, pubblicare un paio di articoli della National Review ogni sei mesi per scardinare un antiamericanismo ormai radicato nel codice genetico della grande stampa italiana. E il professor Galli della Loggia, evidentemente, non ha intenzione di rappresentare una voce al di fuori di questo intonatissimo coro nazionale. Sotto l'esplicito titolo "Questa America non ci piace", Galli della Loggia punta il dito contro la "grossolana insensibilità con cui gli Stati Uniti hanno fin qui gestito l’inchiesta sull’incidente". Per non ammettere la propria "responsabilità oggettiva nella morte ingiusta del nostro agente a Bagdad", gli Stati Uniti si sarebbero "chiusi nella corazza di una autoassoluzione a 360° e hanno creduto che con ciò ogni questione fosse chiusa". Un errore, scrive Galli della Loggia, che mette addirittura in dubbio "il senso che ha per un qualunque Paese intrattenere uno stretto rapporto di amicizia con gli Stati Uniti". La fiera del luogo comune prosegue poi ininterrottamente fino al termine dell'editoriale: "essere alleati degli americani non è né comodo né facile [...] la disparità delle forze e della vastità degli interessi rischia a ogni istante di fare apparire l’alleanza un vassallaggio di fatto [...] è necessario che Washington abbia, tra l’altro, costante riguardo ai sentimenti dell’opinione pubblica dell’alleato, a cominciare dal suo sentimento della dignità nazionale e degli interessi che esso rappresenta". Fino alla chicca finale: "un Paese che vuole essere leader mondiale deve essere capace di avere questa attenzione. Come seppero averla, infatti, nel pieno della Guerra Fredda, presidenti che si chiamavano Truman, Eisenhower, Kennedy e pure Johnson [...] Il presidente Bush non sembra però capace né di volere né di sapere fare altrettanto: neppure con un Paese come l’Italia che finora, in quella lotta, è stato tra i suoi alleati più fedeli e attivi". A parte le perplessità sul ruolo dell'Italia durante la Guerra Fredda, forse sarebbe il caso di ricordare a Galli della Loggia che l'equazione presidente democratico = presidente buono (Eisenhower, in questo teorema buonista, è sempre incasellato nella colonna dei democratici) è una delle più grosse sciocchezze mai prodotte dalla vulgata antiamericana della sinistra europea. Eppure, in una sola frase, Galli riesce a mettere in fila tutti i presidenti democratici del dopoguerra (più, appunto, Eisenhower), dimenticandosi - guarda la coincidenza! - dei repubblicani Richard Nixon e Ronald Reagan, che pure sulla lotta al comunismo hanno costruito le proprie fortune elettorali e il senso profondo della loro presidenza. Ma questi sono dettagli, per i nostalgici dell'italietta infame di Sigonella. Meglio gridare alla violazione della "dignità nazionale" (qualunque cosa essa sia) piuttosto che interrogarsi sull'opportunità di pagare riscatti di milioni di dollari ad un gruppo di terroristi per sedare gli animi di una piazza estremista ed antiamericana. Meglio, molto meglio, tentare di manipolare la realtà (400 colpi, 30 chilometri all'ora, la grossolana insensibilità degli americani...) piuttosto che prendersi il disturbo di comprenderla. Proprio nel giorno in cui Massimo D'Alema dichiara a Repubblica che è "giusto espandere la democrazia, anche con la forza", il Corriere della Sera, nella persona di uno dei suoi editorialisti più prestigiosi, tocca uno dei punti più bassi (e tristi) della sua storia recente.

Nessun commento: