giovedì 29 maggio 2008

USA 2008 - 09. Florida


UPDATE 05/08: Da GOP Solid a GOP Leaning.
UPDATE 01/10: Da GOP Leaning a Toss-Up.

FLORIDA (27)
Popolazione: 18,251,243 (4°)
Capitale: Tallahassee (159.012)
Città più grande: Jacksonville (794.555 )
Area metropolitana più grande: Miami (5.463.857)
Governatore: Charlie Crist (R)
Senato: Bill Nelson (D); Mel Martinez (R)
Camera: GOP 16 DEM 9 - Jeff Miller (R); Allen Boyd (D); Corrine Brown (D); Ander Crenshaw (R); Virginia Brown-Waite (R); Cliff Stearns (R); John Mica (R); Richard Keller (R); Gus Bilirakis (R); Bill Young (R); Kathy Castor (D); Adam Putnam (R); Vern Buchanan (R); Connie Mack, IV (R); David Weldon (R); Tim Mahoney (D); Kendrick Meek (D); Ileana Ros-Lehtinen (R); Robert Wexler (D); Debbie Schultz (D); Lincoln Diaz-Balart (R); Ron Klein (D); Alcee Hastings (D); Tom Feeney (R); Mario Diaz-Balart (R).

La Florida è il 26° stato più conservatore degli Stati Uniti. Nel 2004, il voto per il candidato repubblicano è stato del 2,5% superiore alla media nazionale e il trend degli ultimi anni è stabile, con una leggera prevalenza a favore del GOP. L'ultimo democratico a vincere nel Sunshine State è stato Bill Clinton nel 1996 contro Bob Dole, dopo che lo stesso Clinton aveva perso con Bush Sr. nel 1992. Dal 1960 ad oggi, a parte Clinton, soltanto Lyndon Johnson (+2,3 conto Barry Goldwater nel 1964) e Jimmy Carter (+5,3 contro Gerald Ford nel 1976) hanno portato a casa dei democratici gli electoral votes della Florida (che sono cresciuti dai 10 degli anni Sessanta ai 27 di oggi).

Dopo lo psicodramma collettivo delle elezioni del 2000, in cui - per poche centinaia di voti - Bush Jr. è riuscito a vincere in Florida annullando il vantaggio di Al Gore nel voto popolare e conquistando i grandi elettori necessari per arrivare alla Casa Bianca, il Sunshine State è diventato sempre meno purple e sempre più red. Visto anche l'esito delle primarie democratiche, in cui Obama si batte (a torto o a ragione) per non consentire la presenza della delegazione locale alla convention di Denver, la sensazione è che questo trend possa consolidarsi nel 2008. Mentre negli ultimi sondaggi condotti nello stato Hillary Clinton è regolarmente in vantaggio nei confronti di John McCain (+6 per Rasmussen; +7 per Quinnipiac University; +9 per Survey USA), con la sempre più probabile candidatura di Obama lo scenario cambia radicalmente. Nella media di Real Clear Politics, il senatore dell'Arizona è davanti dell'8,3% (+4 per Quinnipiac; +10 per Rasmussen; +11 per Public Policy Polling). Quanto basta per far scivolare la Florida dalla colonna dei toss-up, in cui quasi tutti gli analisti continuano ad inserirla, verso lidi più rossi. Il problema, semmai, è quantificare questa "redness".

Un'analisi delle passate e future tornate elettorali (non presidenziali) può venirci in aiuto. Nel 2002 e nel 2006, i repubblicani Jeb Bush e Charlie Crist hanno facilmente conquistato la poltrona di governatore. Solo la sconfitta di Katherine Harris (chi se la ricorda nei giorni del recount?) contro il senatore Bill Nelson ha impedito al GOP di vincere tutte le elezioni che hanno coinvolto l'intero stato della Florida negli ultimi 6 anni. Nel 2008, l'unica sfida "statale" sarà quella per la Casa Bianca, mentre sei congressmen cercheranno la loro prima rielezione alla Camera. Due di loro, Tim Mahoney (16° distretto) e Ron Klein (22° distretto), entrambi democratici, tenteranno di riconfermarsi in seggi strappati al partito repubblicano nell'ultimo ciclo elettorale. E almeno Mahoney (nel distretto che fu di Mark Foley) sembra estremamente vulnerabile contro Joe Negron. Tutto sommato, si tratta di un contesto non sfavorevole al GOP, soprattutto se comparato al clima politico nazionale.


Geograficamente, i Democratici sono più forti nelle zone con alte percentuali di minoranze (cubani esclusi) e nelle aree urbane che hanno conosciuto una grande immigrazione di white liberals dagli stati del Nord-Est. La South Florida Metropolitan Area intorno a Miami, con le contee di Miami-Dade e - soprattutto - Broward e Palm Beach sono un buon esempio di questa tendenza, visto che riuniscono entrambe le categorie demografiche a cui abbiamo accennato. A parte qualche altra contea isolata (le più popolose sono Alachua e Leon, al Nord), i Repubblicani dominano in quasi tutto il resto dello stato, in particolar modo nelle aree suburbane e rurali, con percentuali imbarazzanti nella panhandle occidentale al confine con Alabama e Georgia (Okaloosa, Santa Rosa ed Escambia sono le contee più popolose), dove il GOP oscilla tra il 65 e il 75 per cento. I due partiti, invece, sono storicamente quasi alla pari nel corridoio centrale che circonda la Interstate 4 (da Tampa a Daytona, passando per Orlando). Si tratta di una zona la cui popolazione sta crescendo a ritmi vertiginosi ormai da qualche decennio, tanto che ormai ospita quasi il 40 per cento degli elettori totali dello stato. Proprio in alcune di queste contee (Hillsborough, Polk, Seminole, Brevard), il partito repubblicano ha costruito le fondamenta dei suoi successi negli ultimi anni.

Siamo coscienti che inserire la Florida nella colonna GOP Solid, come abbiamo deciso di fare (almeno per il momento), farà storcere il naso a molti. Crediamo, però, che lo scontro tra gli esponenti democratici locali del partito democratico e Obama possa favorire sensibilmente la performance di McCain a novembre. Per ora, i sondaggi danno un supporto statistico piuttosto consistente a questa nostra previsione. Ma siamo pronti a cambiare idea, se nei prossimi mesi - chiuso lo scontro fratricida tra Hillary e Obama - il pendolo del Sunshine State iniziasse ad oscillare in modo diverso.

Camerata Che Guevara

mercoledì 28 maggio 2008

Late Sunshine

L'analisi della Florida sarà pronta domani sera. Scusate il ritardo. Intanto McCain è sopra di 3 punti su Obama sia nel tracking di Rasmussen Reports (Hillary sarebbe a +4) che in quello di Gallup (Hillary sarebbe a +3). UPDATE. McCain guadagna un punto nel tracking di Rasmussen: adesso è a +4 (Hillary sarebbe a +1). UPDATE/2. L'analisi sulla Florida slitterà ancora di qualche ora (black out in redazione). In compenso McCain è davanti di 4 punti in Michigan (l'unico problema è che il sondaggio è di Survey USA, di cui ci fidiamo davvero poco) e di 28 punti (!) in Alabama (e questa volta si tratta di Rasmussen, dunque ci possiamo quasi fidare).

martedì 27 maggio 2008

Red Army Obama

Lo zio di Obama nella Brigata che ha liberato Auschwitz? Allora era nell'Armata Rossa! Lo avevamo sempre sospettato che quella dell'American Idol fosse una famiglia di comunisti... UPDATE. Su quest'argomento, il titolo migliore è quello di Creez Dogg in Tha Houze.

Round-Up: Ace of Spades HQ, Weekly Standard Blog, No More Mister Nice Blog, Stop The ACLU, NewsBusters.org, Hot Air, Flopping Aces, Confederate Yankee, American Power, The Daily Gut, Sister Toldjah, Little Green Footballs, Wizbang, Gateway Pundit, The Campaign Spot, JustOneMinute, A Blog For All.

USA 2008 - 08. Delaware


DELAWARE (3)
Popolazione: 783.600 (45°)
Capitale: Dover (34.735)
Città più grande: Wilmington (72.876)
Governatore: Ruth Ann Minner (D)
Senato: Joseph Biden (D); Tom Carper (D)
Camera: Mike Castle (R)

Il Delaware è l'11° stato meno conservatore degli Stati Uniti. Nel 2004, il voto per il candidato repubblicano è stato del 10,1% inferiore alla media nazionale. E il trend degli ultimi anni è favorevole al partito democratico (anche se nel 2004 il distacco di Bush nei confronti di Kerry è stato del 7,6%, contro il 13,0% subito da Gore nel 2000). Dal 1952 al 2000, il Delaware è stato uno dei cosiddetti bellwether states, in cui ha sempre vinto il candidato poi arrivato alla Casa Bianca. Nelle ultime due elezioni presidenziali, però, scegliendo i candidati democratici sconfitti, il First State (fu il primo dei 13 stati originari a firmare la Costituzione americana) ha perso questa caratteristica, che ora resta prerogativa del Missouri (bellwether dal 1960).

Anche nel 2008, il trend favorevole al partito democratico non dovrebbe essere interrotto. Nell'unico sondaggio condotto negli ultimi mesi (da Survey USA alla fine di febbraio), Obama aveva 9 punti percentuali di vantaggio su McCain (50-41), mentre Hillary solo 5 (46-41). Sondaggi (vecchi peraltro) a parte, però, è ragionevole aspettarsi dal partito democratico una performance più vicina a quella del 2000 che a quella del 2004, vista l'alta percentuale di cittadini afro-americani (intorno al 20%) e visto il controllo sempre più stretto da loro esercitato sulla politica locale, un tempo dominata dal partito repubblicano grazie (anche) alla potentissima famiglia Du Pont (che nell'800 produceva polvere da sparo). Nello stato che ha visto Hoover prevalere su Roosevelt nel 1932 e Dewey battere Truman nel 1948, insomma, soltanto un miracolo potrebbe riportare dalle parti del GOP i 3 electoral votes in palio.

Geograficamente, il Delaware è diviso in sole tre contee. In quella settentrionale al confine con Pennsylvania e New Jersey, New Castle, che è la più popolosa (e ospita la città di Wilmington), dominano i Democratici. Nelle altre due - Kent (con la capitale Dover) e Sussex (con la città di Georgetown) - in genere vanno meglio i Repubblicani. Il problema, per il GOP, è che mediamente gli elettori di New Castle County sono quasi il doppio di tutti quelli che votano nelle altre due contee. E dunque, a meno di clamorosi (ed imprevedibili, al momento) inroads nei sobborghi di Wilmington (quelli in cui è ambientato il film Fight Club), McCain non ha nessuna possibilità di battere Obama. E' anche vero, però, che stiamo parlando di scarti calcolabili in poche decine di migliaia di voti (30mila nel 2004). Un brusco cambiamento della dinamica della gara a livello nazionale, supportato da qualche sondaggio favorevole al GOP, potrebbe perfino farci spostare questo stato in un colonna meno "blu". Per ora, il Delaware resta decisamente DEM Solid.

lunedì 26 maggio 2008

Daily Polls

Old Mac davanti di due punti percentuali su Obama, sia nel tracking quotidiano di Rasmussen Reports (46-44) che in quello di Gallup (47-45). Nel sondaggio di Newsweek, invece, McCain e Obama sono alla pari (46-46). La causa di questo apparente appannamento nazionale dell'American Idol? La razza, naturalmente. Newsweek arriva a dividere gli “elettori bianchi” in due categorie, quelli con un alto “Racial Resentment Index” e tutti gli altri. La domanda sorge spontanea: un mese fa, quando dominava negli stessi sondaggi, Obama era biondo e con gli occhi azzurri?

First State is Late

Il post sul Delaware previsto per oggi sarà rimandato a domani, causa maltempo (si fa per dire). Non aspettatevi soprese dal First State, però, mentre qualcosa di gustoso potrebbe arrivare mercoledì dalla Florida.

venerdì 23 maggio 2008

I Had a Nightmare

Ho fatto un sogno. I Democratici vincevano in California (55), Connecticut (7), Delaware (3), District of Columbia (3), Hawaii (4), Illinois (21), Maine (4), Maryland (10), Massachusetts (12), New York (31), Rhode Island (4), and Vermont (3), Minnesota (10), New Jersey (15), Oregon (7), Washington (11), Iowa (7), Michigan (17), New Mexico (5), Pennsylvania (21), Wisconsin (10) e Colorado (9).

I Repubblicani, invece, vincevano in Alabama (9), Alaska (3), Arizona (10), Georgia (15), Idaho (4), Indiana (11), Kansas (6), Kentucky (8), Louisiana (9), Mississippi (6), Montana (3), Nebraska (5), North Dakota (3), Oklahoma (7), South Carolina (8), South Dakota (3), Tennessee (11), Texas (34), Utah (5), West Virginia (5), Wyoming (3), Arkansas (6), North Carolina (15), Florida (27), Missouri (11), Virginia (13), Nevada (5), New Hampshire (4) e Ohio (20).

Nel mio sogno finiva 269 a 269. E il Congresso a maggioranza democratica eleggeva Obama presidente. Più che un sogno, sembrava un incubo.

Daily Polls

Un'altra raffica di sondaggi tra la serata di ieri e il pomeriggio di oggi. Partiamo dalla Virginia, dove secondo VCU sarebbe avanti McCain (+9), mentre Survey USA vede Obama in testa (+7). Ci permettiamo di nutrire qualche dubbio sulla solidità dei dati Survey USA (viste anche le loro pessime performance nei passati cicli elettorali). E il risultato del loro ultimo sondaggio sull'Ohio (Obama +9) contribuisce renderci ancora più sospettosi. Chi, invece, vanta prestazioni di tutto rispetto (almeno nel 2002, 2004 e 2006) è Rasmussen Reports, che ieri ha pubblicato i risultati degli ultimi sondaggi in California (Obama +14), Nevada (McCain +6), New Hampshire (McCain +5), e Pennsylvania (Obama +2).

USA 2008 - 07. Connecticut


CONNECTICUT (7)
Popolazione: 3.405.565 (29°)
Capitale: Hartford (124.512)
Città più grande: Bridgeport (137.912)
Governatore: Jodi Rell (R)
Senato: Christopher Dodd (D); Joseph Lieberman (I)
Camera: DEM 4 GOP 1 - John Larson (D); Joe Courtney (D); Rosa DeLauro (D); Christopher Shays (R); Christopher Murphy (D)

Il Connecticut è il 6° stato meno conservatore degli Stati Uniti. Nel 2004, il voto per il candidato repubblicano è stato del 12,8% inferiore alla media nazionale. E il trend degli ultimi anni è favorevole al partito democratico (anche se nel 2004 il distacco di Bush nei confronti di Kerry è stato del 10,4%, contro il 17,5% subito da Gore nel 2000). Dal 1992, il Connecticut vota regolarmente per i democratici alle presidenziali, malgrado si tratti dello stato che ha il più alto numero di elettori non registrati con uno dei due partiti principali. Nel 2004, il 33,7% degli elettori era registrato con i Democratici, il 22,0% con i Repubblicani, mentre i cosiddetti Indipendenti rappresentavano il 44,0% del totale. Nel 2006, i Repubblicani hanno perso 2 sfide su 3 per la Camera (conservando a stento il seggio di Chris Shay nel 4° distretto). GOP o Dems, comunque, gli elettori del Connecticut tendono a scegliere rappresentati "moderati". E proprio il "RINO" Chris Shay, unico eletto repubblicano alla Camera in tutto il New England, è un esempio perfetto di questa attitudine. (UPDATE. Ha ragione Ale.Tap.: c'è un esempio ancora migliore, soltanto che è un "DINO").

Nel ciclo elettorale del 2008, i 7 electoral votes dei Democratici non sono in pericolo. Nei sondaggi condotti in Connecticut a febbraio e marzo, lo svantaggio del GOP oscilla dal -21% di Survey USA al -12% di Rasmussen Reports, ma la sostanza cambia poco. Quest'anno non si vota per il governatore o il Senato. E nessuna delle corse per la Camera sembra particolarmente avvincente. Un habitat ideale per confermare lo strapotere democratico nello Stato. L'unica chance che i Repubblicani hanno di mettere un po' di "paura" agli avversari sarebbe la candidatura di Hillary Clinton, le cui performance nei sondaggi sono nettamente inferiori a quelle di Obama (+6 per Survey USA; +3 per Rasmussen e Quinnipiac University). Ma si tratta di una possibilità ormai remota.


Geograficamente, i Democratici dominano nelle città di Hartford, New Haven e Bridgeport, dove la loro "macchina da guerra" controlla le ondate immigratorie almeno dalla metà dell'800, mentre i Repubblicani sono più forti nelle zone rurali (Litchfield County), nelle cittadine a ovest di Hartford, nei villaggi industriali della Naugatuck River Valley e in alcuni ricchi sobborghi di Litchfield County e Fairfield County, al confine con lo stato di New York. Proprio in questa zona (in particolare a Darien) è nata Ann Coulter, la polemista conservatrice che riesce - come nessun altro - a far infuriare i simpatizzanti della sinistra americana ogni volta che apre bocca o prende la penna in mano. Poche miglia ad est, invece, si trova Westport, considerata una delle città più fedeli al partito democratico, insieme a Waterbury. Mentre Norwalk e Stamford preferiscono i repubblicani (per così dire) moderati.

L'ultimo repubblicano a rappresentare il Connecticut in Senato è stato Prescott Bush (padre di George H.W. e nonno di George W.), dal 1953 al 1963. Bush Senior è stato, nel 1988, l'ultimo repubblicano a vincere lo stato alle elezioni presidenziali. Senza un Bush nel ticket (e sembra che Jeb non sia disponibile), le speranze per il GOP di strappare ai democratici i 7 electoral votes del Connecticut sono pari a zero. Lo stato va dritto nella colonna DEM Solid. E ci vorranno più di un paio di sondaggi isolati per farci cambiare idea.

giovedì 22 maggio 2008

Swing Polls

Iniziano a fioccare i sondaggi sugli swing states. Tre dalla Quinnipiac University: in Pennsylvania, Obama ha 6 punti di vantaggio su McCain (Hillary ne avrebbe 13); in Ohio, McCain è avanti di 4 punti (con Hillary sarebbe sotto di 7); in Florida, il vantaggio di McCain su Obama è di 4 punti percentuali (sarebbero 7 con Hillary). Anche secondo Rasmussen Reports, il candidato repubblicano batte Obama in Florida (+10), mentre Hillary sarebbe avanti di 6; vince Obama, invece in Colorado, dove ha 6 punti di vantaggio su McCain (Hillary sarebbe 3 punti sotto).

Nei due tracking poll quotidiani condotti a livello nazionale, infine, Obama batte McCain 47-44 secondo Gallup, mentre secondo Rasmussen la situazione è esattamente opposta, con McCain davanti 46-42 (e il 23% dei “democratici” che si dicono pronti a votare per il candidato repubblicano). Nelle rilevazioni di Rasmussen, è la prima volta nelle ultime tre settimane che uno dei due sfidanti può vantare un vantaggio così consistente.

p.s. Per la nostra analisi sul Connecticut vi diamo appuntamento a domani (i GOP'ers non si facciano illusioni, comunque, “deep blue” era e “deep blue” resterà).

mercoledì 21 maggio 2008

Stereo (Italian) Pundits

Anche nella blogosfera italiana iniziano a spuntare interessanti analisi sulle presidenziali americane. Da destra, Bralic su Pensieri in Libertà: Pennsylvania, Ohio e Michigan. Da sinistra, Andrea Mollica: Maybe We Could. Da non perdere anche Alessandro Tapparini, su Italian Blogs for McCain: Il Gop non può vincere, ma McCain sì.

USA 2008 - 06. Colorado


COLORADO (9)
Popolazione: 4.301.261 (22°)
Capitale: Denver (588.349 )
Governatore: Bill Ritter (D)
Senato: Wayne Allard (R); Ken Salazar (D)
Camera: DEM 4 GOP 3 - Dianna Degett (D); Mark Udall (D); John Salazar (D); Marilyn Musgrave (R); Doug Lamborn (R); Tom Tancredo (R); Ed Perlmutter (D)

Il Colorado è il 20° stato più conservatore degli Stati Uniti. Nel 2004 il voto per il candidato repubblicano è stato del 2,2% superiore alla media nazionale, ma il trend degli ultimi anni è favorevole al partito democratico. Nel 1996, malgrado la pesante sconfitta a livello nazionale, Bob Dole era riuscito a battere Bill Clinton in Colorado. Nel 2004, pur raccogliendo molti più voti che nell'elezione precedente in tutti gli Stati Uniti, George W. Bush ha visto più o meno dimezzarsi il proprio vantaggio nel Centennial State. Nel 2006, il governatore repubblicano Bob Beauprez ha perso la sfida contro lo sfidante democratico. E alla Camera il GOP, che nel 2002 aveva 5 rappresentanti eletti contro i 2 democratici, adesso soccombe 4-3. Si tratta di un trend che, con ogni probabilità, è destinato ad accentuarsi nel 2008.

Oltre a vedere in pericolo i 9 electoral votes messi a disposizione dallo stato, a novembre il GOP dovrà anche difendere il traballante seggio del Senato lasciato libero da Wayne Allard (lo scontro - che si preannuncia molto appassionante - sarà tra il repubblicano Bob Schaffer e il democratico Mark Udall) e il vulnerabilissimo 4° distretto della Camera, per ora presidiato da Marilyn Musgrave.

Se il candidato democratico alle presidenziali fosse stata Hillary Rodham Clinton, John McCain sarebbe comunque stato il favorito, visto che il senatore dell'Arizona - nei sondaggi condotti da Rasmussen Reports in Colorado a marzo e aprile - non era mai sceso sotto i 14 punti percentuali di vantaggio. Con Barack Obama, però, le cose vanno decisamente peggio per il GOP: a marzo McCain e Obama erano pari (46-46); ad aprile McCain è sotto di 3 punti (43-46).

A parte i sondaggi, comunque, lo slittamento nella colonna democratica sembra davvero inevitabile, soprattutto considerando le dinamiche demografiche degli ultimi anni, che hanno portato il Colorado ad avere una delle più alte percentuali di hispanic di tutti gli Stati Uniti (oltre il 20% della popolazione totale). Nell'area di Denver (100mila voti di vantaggio per Kerry nel 2004), il numero di immigrati messicani raggiunge ormai cifre ancora più consistenti. Nel 2006, il 73,5% dei "bianchi non-ispanici" è stato responsabile soltanto del 48% delle nascite totali. E i "vecchi" immigrati di origine tedesca (22%), che costituiscono il "nocciolo duro" dell'elettorato repubblicano, sono ormai confinati nelle contee meno popolose delle pianure dell'est.


Geograficamente, questo swing state che negli ultimi 100 anni ha eletto 17 governatori repubblicani e 12 democratici, ospita città molto conservatrici (come Colorado Springs, nella contea di El Paso) e molto liberal (come Boulder e l'area metropolitana della capitale Denver). I democratici volano alto anche nella college town Fort Collins e nel sud dello stato (Pueblo County, soprattutto), mentre i repubblicani sono più forti nelle pianure orientali, nella maggior parte dei sobborghi di Denver e nella metà occidentale dello stato, soprattutto a Grand Junction, storico snodo della Interstate 70, l'autostrada federale che va Cove Fort (Utah) a Baltimora (Maryland) attraversando Colorado, Kansas, Missouri, Illinois, Indiana, Ohio, West Virginia e Pennsylvania.

Per avere qualche speranza di vincere in Colorado, i Repubblicani dovrebbero riuscire a mantenere il vantaggio - ormai sempre più esiguo - che hanno avuto nei passati cicli elettorali in alcune delle contee con il maggior tasso di crescita della popolazione (Douglas, Elbert, Weld: a nord e a sud di Denver). Per strappare i 9 electoral votes al GOP, invece, ai Democratici non serve altro che un alto turn-out degli ispanici nelle contee metropolitane, vincendo una certa forma di resistenza psicologica che i latinos sembrano per ora dimostrare nei confronti di Obama. Questa seconda strategia ci sembra, oggettivamente, molto più semplice. Per questo motivo inseriamo, almeno temporaneamente, il Colorado nella colonna DEM Leaning. Pronti a cambiare idea se il trend dei prossimi sondaggi dimostrasse che lo stato è più toss-up di quello che sembra a prima vista.

UPDATE 05/08. Da DEM Leaning a Toss-Up.

lunedì 19 maggio 2008

It ain’t over ’til it’s all over

Nullo, su Giornalettismo, cerca disperatamente di dimostrare che il candidato perdente che ha già vinto, in realtà potrebbe ancora perdere con il candidato vincente che ha già perso. La cosa bella è che ha perfettamente ragione. Anche se non servirà a niente.

Regime Change

Regime Change è tornato! Sarà anche «un po' arrugginito», ma noi siamo felicissimi lo stesso :)

Hillary e Obama litigano. E McCain?

Con il voto in Kentucky e Oregon, Barack Obama spera di chiudere una volta per tutte la pratica con Hillary Rodham Clinton per la candidatura del partito democratico alla Casa Bianca. Le speranze che questa operazione riesca, però, sono oggettivamente poche. La media dei sondaggi della vigilia vede Obama in testa di una decina di punti percentuali in Oregon (51,4 a 40,6), mentre la Clinton conduce comodamente in Kentucky, con un margine che sfiora i 30 punti (58,4 a 28,8). Secondo Michael Barone, su U.S. and World Report, in questi due stati Obama dovrebbe raccogliere una cinquantina di delegati che, sommati ai 1.900 conquistati finora, porta il suo totale intorno ai 1.950. Per raggiungere il “numero magico” di 2.025, insomma, al senatore junior dell’Illinois mancherebbero almeno 75 “super-delegati”. E con il ritmo attuale di “espansione”(circa 4-5 al giorno), raggiungere la certezza della nomination nelle prossime 24 ore sembra davvero una sfida impossibile.

L’incoronazione “ufficiale” di Obama, dunque, non dovrebbe avvenire prima del 3 giugno, giorno delle elezioni primarie in Montana e South Dakota (due giorni prima si voterà a Porto Rico, ma Hillary è largamente favorita). Senza contare che, il 31 maggio, il partito democratico deciderà sulla sorte dei delegati “virtuali” di Florida e Michigan (se venissero riammessi alla convention, come vuole Hillary, il “quorum” salirebbe a 2.209).

È ormai chiaro a tutti, però, che a meno di clamorose e - a tutt’oggi - imprevedibili sorprese, Barack Obama è destinato ad essere lo sfidante di John McCain nella corsa alla Casa Bianca. Già, McCain... Con i mezzi d’informazione americani ed europei ossessionati (e non senza motivo) dalla lunghissima lotta intestina nel partito democratico, la figura del candidato repubblicano sembra essersi un po’ persa nelle nebbie mediatiche della politica statunitense. Se, da un lato, il calor bianco dello scontro tra Hillary e Obama potrebbe, in vista di novembre, scottare il “prescelto” dei democratici, è anche vero che una prolungata assenza dalle prime pagine dei giornali e dai palinsesti televisivi potrebbe, a lungo andare, nuocere gravemente al candidato repubblicano, che già parte da una posizione strutturalmente sfavorevole visti i bassi indici di gradimento del suo partito e del presidente George W. Bush.

I repubblicani partono anche sfavoriti nella “corsa al dollaro”, perché la campagna di Obama - sfruttando molto intelligentemente le possibilità offerte dalle nuove tecnologie - è riuscita a raccogliere una grande quantità di denaro con piccole e piccolissime donazioni via Internet. Una parte (consistente) di questo divario potrebbe essere colmata direttamente dal partito repubblicano che, tramite il suo braccio finanziario (il Republican National Committee) ha raccolto circa 40 milioni di dollari ad aprile e conta di raccoglierne altri 150 (20 al mese) da qui a novembre. Frank Donatelli, che si occupa di mantenere i rapporti tra Rnc e campagna di McCain, ha dichiarato al New York Times che il partito repubblicano si propone di «garantire un supporto sostanziale e senza precedenti» al candidato del Gop.

Con l’aiuto del partito, insomma, il gap economico che separa attualmente McCain da Obama potrebbe essere parzialmente annullato, almeno per mettere in condizione il senatore dell’Arizona di essere competitivo a novembre. E il problema, per l’eroe pluridecorato della Guerra in Vietnam potrebbe restare “solo” quello di battere un candidato più giovane e più coccolato dai media. Impresa difficile, ma non impossibile, almeno secondo il parere di Dick Morris, il “guru” che ha praticamente fatto rieleggere Bill Clinton nel 1996, a soli due anni dalla rivoluzione conservatrice del “Contract with America” di Newt Gingrich. Nell’ultimo editoriale pubblicato dal Washington Post, Morris delinea una possibile strategia vincente per McCain. Il suo consiglio è quello (contro-intuitivo, per la verità) di smettere di inseguire la base conservatrice - da sempre scettica, per adoperare un eufemismo, nei confronti del Maverick - per concentrarsi su moderati e indipendenti.

«La base - scrive Morris - si mobiliterà comunque, con numeri massicci. Il Reverendo Wright è diventato il presidente onorario dell’organizzazione get-out-to-vote della campagna di McCain. Sarebbe carino pensare che la razza non sia più un fattore nella politica americana, ma non è così. La crescente paura nei confronti di Obama, che rimane qualcosa di sconosciuto, trascinerà fino all’ultimo repubblicano bianco alle urne per votare McCain. Senza nessun bisogno di sforzarsi troppo per convincere i cristiani evangelici o i fiscal conservatives». Visto il suo passato, per seguire questa strategia “centrista”, McCain non dovrebbe faticare troppo. E anche l’argomento su cui, secondo i sondaggi, il senatore dell’Arizona è più vulnerabile (la guerra in Iraq), dopo la “cura Petraeus” sta lentamente perdendo il suo status di punto di forza per il partito democratico.

Quello repubblicano, in ogni caso, resta un partito attraversato da una profonda crisi, che a novembre, con ogni probabilità, perderà molti seggi sia alla Camera che al Senato. La candidatura “anomala” di McCain, però, rende la corsa alla Casa Bianca competitiva anche in queste condizioni estremamente sfavorevoli. Ieri, entrambi gli istituti di ricerca che da qualche settimana effettuano quotidianamente sondaggi a livello nazionale (Gallup e Rasmussen) hanno registrato un vantaggio - minimo e statisticamente insignificante - per McCain nei confronti di Obama. Non è molto ma, rispetto al “disastro annunciato”, è almeno qualcosa su cui iniziare a lavorare.

(domani su Liberal quotidiano)

Candidate Matters

In Arkansas, secondo l'ultimo sondaggio di Rasmussen Reports, Hillary ha 14 punti percentuali di vantaggio su McCain. Obama, invece, è 24 punti sotto.

Genocide Down

Abr su Ne Quid Nimis: lettura obbligatoria, riflessione facoltativa.

domenica 18 maggio 2008

USA 2008 - 05. California


CALIFORNIA (55)
Popolazione: 36.457.549 (1°)
Capitale: Sacramento (467.343)
Città più grande: Los Angeles (3.694.820)
Governatore: Arnold Schwarzenegger (R)
Senato: Dianne Feinstein (D); Barbara Boxer (D)
Camera: 33 DEM; 19 GOP; 1 vacante

La California è l'ottavo stato meno conservatore degli Stati Uniti. Nel 2004 il voto per il candidato repubblicano è stato del 12,4% inferiore alla media nazionale e il trend degli ultimi anni è favorevole al partito democratico. L'ultimo candidato del GOP a vincere in California è stato George H. Bush nel 1988 (51,1% contro il 47,5% di Mike Dukakis). Con i suoi 55 electoral votes, la California è il biggest prize delle elezioni nella corsa alla Casa Bianca e anche quest'anno la vittoria dei democratici non è in dubbio. L'unica incertezza riguarda il margine di questa vittoria.

Non c'è dubbio che la candidatura di John McCain (come del resto sarebbe capitato con Rudy Giuliani) rende la posizione del GOP in California meno drammatica che in passato. I buoni rapporti di McCain con il governatore Arnold Schwarzenegger e il suo appeal nei confronti dell'elettorato indipendente metterà forse in condizione i Repubblicani di evitare performance simili a quelle del 2000 e del 2004, quando il distacco tra Al Gore e John F. Kerry nei confronti di George W. Bush aveva raggiunto, rispettivamente, l'11,8% e il 10,0%.

Nei sondaggi degli ultimi mesi, McCain ha recuperato 8 punti percentuali a Obama per Rasmussen Reports (da 53-38 a 50-43) e 7 punti per Survey USA (da 54-40 a 50-43), mentre a marzo, secondo il Public Policy Institute of California, il distacco era di 9 punti percentuali a favore di Obama. E' interessante notare come, con la candidatura di Hillary Rodham Clinton, il distacco sarebbe stato inferiore (5%) secondo Rasmussen e superiore (13%) secondo Survey USA. Comunque vada la campagna elettorale, però, sembra davvero improbabile che McCain possa ritrovarsi a novembre nella condizione di poter mettere "in gioco" la California.


Geograficamente, i Democratici sono fortissimi nelle aree urbane costiere del centro (San Francisco - dove viaggiano oltre l'80% - Oakland, San Jose) e a Los Angeles, mentre il GOP è competitivo nella capitale Sacramento, a Fresno e vince regolarmente a San Diego (che non elegge un sindaco democratico da vent'anni), oltre che nella maggior parte delle altre contee meno popolose a nord, al sud e al confine occidentale con il Nevada. La superiorità schiacciante dei Democratici a Los Angeles e San Francisco, però, è più che sufficiente per frustrare qualsiasi ambizione del GOP. Un solo esempio: nel 2004 il vantaggio di Kerry nei confronti di Bush è stato di un milione e 200mila voti; oltre 900mila vengono dalla sola contea di Los Angeles.


Con il 35,9% di latinos, 12,3% di asiatici e il 6,2% di afroamericani, la California è uno degli stati più "misti" del paese. E questa diversità etnica - crescente - è da sola in grado di spiegare le difficoltà del GOP negli ultimi anni. Fino a quando i Repubblicani non riusciranno a trovare una solida base elettorale anche tra le "minoranze", il loro destino in California (e non solo) è segnato. Un dato incoraggiante (per il GOP) potrebbe essere la scarsa presa che fino ad oggi Obama è riuscito ad esercitare sulla popolazione di lingua spagnola. Ma servirebbe davvero un miracolo per togliere la California dalla colonna che, per ora, le compete: DEM Solid.

Scudetto Ombra

Massimo D'Alema, 7 marzo 2008: "La Roma è un modello per il Partito democratico". (via Cerazade)

giovedì 15 maggio 2008

USA 2008 - 04. Arkansas


ARKANSAS (6)
Popolazione: 2.673.400 (29°)
Capitale: Little Rock (184.500)
Governatore: Mike Beebe (D)
Senato: Blanche Lincoln (D); Mark Pryor (D)
Camera: Marion Berry (D); Victor Snyder (D);
John Boozman (R); Mike Ross (D)

L'Arkansas è il 23° stato più conservatore degli Stati Uniti. Nel 2004 il voto per il candidato repubblicano ha superato dell'7,3% la media nazionale e negli ultimi anni il trend è nettamente favorevole al GOP (soprattutto a causa dell'anomalia rappresentata da Bill Clinton - già governatore dello stato - nelle elezioni del 1992 e del 1996). Dopo aver scelto nettamente Jimmy Carter nel 1976 (64,9% contro il 34,9% di Gerald Ford) e averlo tradito, di pochissimo, nel 1980 contro Ronald Reagan (48,1% a 47,5%), l'Arkansas è diventato sempre più "rosso" con il passare degli anni. Con l'eccezione, appunto, delle elezioni vinte dal favourite son Bill Clinton.

Tendenzialmente repubblicano alle presidenziali, l'Arkansas si trasforma in un feudo democratico (lo è sempre stato, per la verità) alle elezioni per il Governatore e il Congresso. Nel 2008, però, si voterà solo per il Senato (con la scontata rielezione di Mark Pryor) e la Camera (con nessuna sfida competitiva), dunque i Democratici potranno sfruttare soltanto parzialmente l'effetto traino nella corsa alla Casa Bianca.

Naturalmente, con la candidatura di Hillary Rodham Clinton la posizione dei Democratici sarebbe stata molto più forte. L'ex First Lady, secondo Survey USA e Opinion Research, a febbraio era addirittura 10-15 punti davanti a McCain (anche se a marzo, per Rasmussen Reports, era 7 punti dietro). Con Obama in corsa, invece, le cose per il GOP vanno decisamente meglio: McCain ha un vantaggio di 14 per Opinion Research, di 20 per Survey USA e addirittura di 24 per Rasmussen.


Geograficamente, i Democratici sono molto forti nella zona orientale che confina a nord con il Tennessee e a sud con il Mississippi, mentre il GOP (a parte che nell'era Clinton) domina in tutto il resto dell'Arkansas, con l'eccezione di alcune contee al centro dello stato (la Pulaski County della capitale Little Rock, nodo nevralgico della Clinton Attack Machine; la Jefferson County di Pine Bluff) e al confine sud-occidentale con il Texas (nella zona immediatamente a sud di Nashville). Una chiave dei successi repubblicani negli ultimi anni è il ritrovato dominio nelle popolose contee nordoccidentali dello stato (Sebastian, Franklin, Washington e Benton: tra le città di Fayetteville e Fort Smith).

A prima vista, la ormai quasi certa candidatura di Obama per i Democratici rende pressoché sicura la vittoria di McCain in Arkansas a novembre (a meno di un improbabile ticket Obama-Clinton). In questa fase preliminare, assegniamo i 6 electoral votes dello stato alla colonna GOP Solid. Vedremo se i prossimi mesi di campagna elettorale ci faranno cambiare idea.

p.s. Da domani, noi siamo qui. Riprenderemo il nostro viaggio (in rigoroso ordine alfabetico) lunedì, con i 55 electoral votes della California. Sì, "finalmente" uno stato blu! :)

mercoledì 14 maggio 2008

USA 2008 - 03. Arizona


ARIZONA (10)
Popolazione: 6.338.666 (16°)
Capitale: Phoenix (1.512.986)
Governatore: Janet Napolitano (D)
Senatori: John McCain (R); Jon Kyl (R)

L'Arizona è il 22° stato più conservatore degli Stati Uniti. Nel 2004 il voto per il candidato repubblicano ha superato dell'8,8% la media nazionale e negli ultimi anni il trend è piuttosto stabile alle elezioni presidenziali, mentre tende ad essere favorevole al partito democratico nelle altre elezioni, con il crescere della popolazione di lingua spagnola.

Ormai da qualche anno, proprio a causa delle dinamiche demografiche da cui è attraversato (nel 2006 i latinos sfioravano ormai il 30% della popolazione totale), il Grand Canyon State è nel mirino dei democratici, che sono ormai convinti di poter interrompere presto un dominio del GOP che dura ormai da sessant'anni. Con l'eccezione di Bill Clinton nel 1996 (che riuscì a battere Bob Dole con un paio di punti percentuali di distacco, aiutato dall'8% raggiunto da Ross Perot ), infatti, l'ultimo candidato democratico a vincere in Arizona è stato Harry Truman nel 1948.

Con un candidato repubblicano diverso da John McCain, senatore dell'Arizona dal 1987 (dopo il ritiro di Barry Goldwater), il 2008 sarebbe potuto essere l'anno buono per i democratici. Con McCain in gioco, però, i democratici dovranno - con ogni probabilità - rimandare i loro propositi al 2012. Anche se Barack Obama, nei sondaggi, si comporta mediamente meglio di Hillary Rodham Clinton, le rilevazioni degli istituti di ricerca condotte negli ultimi mesi lasciano poco spazio a ipotesi di ribaltone. Secondo Arizona State University, il vantaggio di McCain nei confronti di Obama si aggira intorno ai 10 punti percentuali (49-38 a febbraio; 47-38 ad aprile); per Survey USA il distacco alla fine di febbraio era di 12 punti (51-39); per Rasmussen Reports a metà aprile (57-37) e Nothern Arizona University all'inizio dello stesso mese (55-33), si viaggia invece intorno ai 20 punti di vantaggio in favore di McCain.

Ad aiutare i repubblicani nel conservare il controllo dello stato a novembre potrebbe anche essere l'assenza di elezioni per il governatore o per il rinnovo dei senatori. E le sfide per la Camera non sono così emozionanti da lasciar prevedere un qualsiasi effetto sulle presidenziali: i democratici puntano a strappare al GOP il seggio del 1° Distretto, lasciato libero da Rick Renzi; i repubblicani provano a fare altrettanto nell'8° Distretto, dove Timothy Bee affronta l'incumbent (piuttosto debole) Gabrielle Giffords.

Geograficamente, il partito democratico è forte nella contea di Apache (che confina a nord-est con il New Mexico), nella zona centrale del nord (la Coconino County della città di Flagstaff) e nella zona meridionale intorno a Tucson. Il GOP, invece, viaggia intorno al 60% nel sud-est (Cochise County e Grenlee County), vola addirittura al 70% a Graham County (ad est di Tucson) e domina generalmente tutta la fascia centrale e occidentale dello stato, compresa la capitale Phoenix, che da sola raccoglie quasi la metà dell'intero corpo elettorale. Per comprendere meglio i rapporti di forze tra i due partiti, nel 2004 il distacco di Bush nei confronti di Kerry è stato di poco superiore ai 200mila voti (+10,4%). Nella sola Maricopa County (che ospita l'area urbana di Phoenix), il GOP ha raccolto circa 175mila voti in più dei democratici (+14,6%).


A nostro avviso, la candidatura di McCain e il dominio strutturale (anche se più debole che in passato) dei repubblicani nelle contee-chiave non consentiranno ai democratici di conquistare lo stato alle presidenziali del 2008. Per ora, l'Arizona va dritta nella colonna dei GOP Solid: altri 10 electoral votes per McCain.

The Neverending Fiction

Tutto come previsto, in West Virginia. Hillary proverà a giocarsi la carta dell'Obama invotabile dalla lower white class delle zone industriali (e per la verità non ha tutti i torti). Le speranze che funzioni sono poche, ma l'importante (per McCain) è che la pantomima vada avanti il più possibile.

UPDATE. Se, però, il GOP continua a perdere in distretti come questo, a novembre non c'è masochismo democratico che tenga...

martedì 13 maggio 2008

USA 2008 - 02. Alaska


ALASKA (3)
Popolazione: 626,932 (47°)
Capitale: Juneau (30.700)
Città più grande: Anchorage (359.180)
Governatore: Sarah Palin (R)
Senatori: Ted Stevens (R); Lisa Murkowski (R)

L'Alaska è l'8° stato più conservatore degli Stati Uniti. Nel 2004 il voto per il candidato repubblicano ha superato del 23,1% la media nazionale e negli ultimi anni il trend a favore della destra è in crescita. Dopo che, nel 1992, Bush sr. aveva battuto Clinton di soli 10 punti (40-30), già nel 1996 il vantaggio del repubblicano Dole era cresciuto sensibilmente (51-33). Nelle ultime due tornate elettorali, poi, il GOP ha prima sfiorato e poi superato il 60% dei voti (Bush-Gore 59-28; Bush-Kerry 62-35).

Con questi presupposti, l'Alaska dovrebbe essere considerato "GOP solid" quasi di default. Eppure quest'anno molti commentatori considerano lo stato a rischio per il partito repubblicano, soprattutto a causa di un paio di elezioni (contemporanee alle presidenziali) che potrebbero complicare la vita a McCain. Prima di tutto, c'è lo scontro per il seggio occupato da Ted Stevens da ormai 4 legislature. Il senatore è rimasto coinvolto in un brutto scandalo che potrebbe mettere in pericolo la sua rielezione e influenzare negativamente (per il GOP) la conquista dei 3 electoral votes a disposizione nello stato soprannominato The Last Frontier. Poi c'è il seggio - estremamente vulnerabile - del congressman Don Young, anche lui colpito da problemi legali che potrebbero addirittura spingerlo al ritiro dopo 35 anni di carriera.

Questa sopravvenuta debolezza del GOP in Alaska si riflette anche negli ultimi (pochi) sondaggi condotti nello stato. A febbraio, secondo Survey USA, McCain aveva solo 5 punti di vantaggio su Obama (48-43). Numeri confermati da Rasmussen Reports ad aprile (sempre 48-43 per McCain).

Malgrado questi segnali d'allarme per il partito repubblicano, è nostra convinzione (per ora) che l'Alaska vada inserito nella colonna GOP solid. Con l'eccezione del 1964, in Alaska ha sempre vinto il candidato repubblicano e lo stato incarna da decenni quella versione libertarian del conservatorismo che McCain, tutto sommato, rappresenta meglio di tanti suoi predecessori. Le roccaforti democratiche sono la capitale Juneau e la zona più centrale di Anchorage, ma in tutto il resto dello stato, storicamente, il GOP ottiene percentuali imbarazzanti.

A meno di clamorosi riflessi nazionali della corsa per il Senato, insomma, il partito repubblicano non dovrebbe avere troppi problemi nello stato più settentrionale dell'Unione. Altri tre electoral votes per McCain.

Cambio di registro

Sarà pure vero che dietro c'è lo zampino di Gianni Letta, ma il "nuovo corso" di Silvio Berlusconi - formalizzato oggi alla Camera - è oggettivamente impressionante. Chi scrive, per la verità, ha un pizzico di nostalgia per il Cavaliere Nero del 1994, quello avventato e un po' anarchico che ha sconvolto le fondamenta del sistema politico italiano, ma non si può negare che il contesto in cui ci troviamo oggi richieda un approccio del tutto diverso al governo del Paese. Sotto il profilo formale, "ma anche" dal punto di vista politico, il discorso di Berlusconi ha sfiorato la perfezione. Understatement (ma senza esagerare), toni equilibrati ma tutto sommato ottimistici, grande spazio al dialogo con le istituzioni e con l'opposizione, priorità chiare e condivisibili (almeno per la grande maggioranza del popolo italiano), poco spettacolo e molta sostanza. Se fossimo "caduti sulla Terra" qualche ora fa, avremmo giurato di trovarci di fronte ad uno statista in grado, finalmente, di riportare l'Italia in Occidente.

Visto, però, che bazzichiamo questo quadrante della galassia da ormai qualche anno, restiamo sostanzialmente scettici sulle possibilità di cambiamenti in grado di avere un impatto profondo sulle sorti del sistema-Italia. E non certo per colpa di Berlusconi. Ma lui la pensa diversamente. E, sinceramente, in genere (tra noi e lui) ha sempre ragione lui. «Gli italiani - ha detto il Cavaliere nel suo discorso - hanno messo a tacere il pessimismo di chi non ama l'Italia e non crede nel suo futuro. I cittadini ci hanno detto di dividerci e combatterci ma non in nome di vecchie ideologie e di dare stabilità e impegno nell'azione di governo. L'Italia non ha tempo da perdere». Bisognerà vedere se l'opposizione riuscirà a resistere alla scorciatoia (suicida) del travaglismo, ma obiettivamente le condizioni per un dialogo efficiente tra maggioranza e opposizione non sono mai state così favorevoli negli ultimi decenni.

Berlusconi, tanto per esagerare, ha anche trovato il tempo di solleticare le corde liberiste di chi (come il sottoscritto) non gradisce il venticello protezionista che da qualche tempo spira nei dintorni del centrodestra italiano. Bisogna ristabilire, ha detto, «il concetto che le tasse non sono belle in sé, ma sono il corrispettivo che viene dato allo stato in cambio di servizi che per questo devono essere efficienti. Il fisco non deve mai essere punitivo verso chi produce ricchezza nel Paese». E poi la sicurezza, il federalismo fiscale, l'Ici, l'Italia come «pilastro dell'amicizia tra Europa e Stati Uniti d'America»... Avrà tutti i difetti del mondo, il buon Silvio, ma quanta differenza "antropologica" rispetto a chi ci governava fino a qualche giorno fa! Sarà pure costretto a fare lo statista, da oggi in poi, ma la forza delle idee e perfino delle suggestioni che Berlusconi ha trasmesso all'Italia dai giorni della sua "discesa in campo" è qualcosa che trascende gli obblighi di governo e le difficoltà (o l'impossibilità) di realizzazione concreta dei programmi, perché incide sull'immaginario collettivo (che brutta parola) e influenza le dinamiche socio-culturali del Paese. Adesso che Berlusconi ha cambiato registro, aspettiamo che a cambiare registro siano gli italiani.

UPDATE. Su Il Pensatore, il testo integrale del discorso (alla fine del post).

UPDATE/2. Le sensazioni di Krillix sono molto simili alle mie. Buon segno.

lunedì 12 maggio 2008

USA 2008 - 01. Alabama


ALABAMA (9)
Popolazione: 4.447.100 (23°)
Capitale: Montgomery (365.962)
Città più grande: Birmingham (1.108.210)
Governatore: Robert R. Riley (R)
Senatori: Richard Shelby (R); Jeff Sessions (R)

L'Alabama è il 7° stato più conservatore degli Stati Uniti. Nel 2004 il voto per il candidato repubblicano ha superato del 23,2% la media nazionale e negli ultimi anni il trend in favore del GOP è cresciuto sensibilmente. Nel 1992, Bill Clinton aveva conquistato il 41% dei voti contro il 48% di George Bush Sr.; nel 1996, la distanza è rimasta la stessa (43% contro 50%); nel 2000, in assenza del "fattore Perot", il distacco tra George W. Bush e Al Gore (peraltro senatore del vicino Tennessee) è salito a 15 punti (57-42); nel 2004, John F. Kerry è arrivato addirittura a 26 punti da Bush (63-37).

Nei sondaggi condotti in vista delle elezioni presidenziali nel 2008, i Repubblicani non sono mai scesi sotto il 54% e i Democratici non sono mai andati oltre il 40%. Negli ultimi tre sondaggi specifici su "McCain contro Obama", il candidato del GOP è in vantaggio di 27 punti secondo la University of South Alabama (57-30), di 18 punti secondo Rasmussen (55-37) e di 32 punti secondo Survey Usa (64-32).

Elettoralmente, quasi tutte le contee dell'Alabama sono "rosso scuro", ad eccezione di una fascia (piuttosto sottile) che attraversa lo stato e che parte - da ovest a est - a sud di Tuscaloosa per incrociare le città di Selma, Montgomery e Phenix City. E' proprio in questa zona - la cosiddetta “Black Belt” - che vive la maggior parte della folta comunità nera delllo stato (26,3% della popolazione totale), che abitualmente vota in massa per il partito democratico.

Nel ciclo elettorale 2008, in Alabama non si vota per il governatore, mentre il senatore repubblicano Jeff Sessions non dovrebbe avere problemi per la riconferma. E anche alla Camera il GOP dovrebbe conservare, piuttosto agevolmente, il 5-2 attuale nei confronti dei democratici, lasciando solo il 5° e il 7° distretto agli avversari. Alle presidenziali, invece, non c'è storia: lo stato soprannominato Heart of Dixie, uno dei sei in cui Barry Goldwater riuscì a battere Lyndon Johnson nel 1964 (e dove perfino Bob Dole ha vinto nel 1996), è GOP solid. I primi nove electoral votes di questo nostro lungo viaggio verso la Casa Bianca vanno a McCain.

domenica 11 maggio 2008

50 States 50


Da lunedì sera, per 50 giorni (weekend esclusi), l'analisi di ogni singolo stato dell'Unione in vista delle elezioni presidenziali americane di novembre. Coloreremo la mappa degli Stati Uniti di rosso (GOP) e blu (Dems) per capire chi - tra McCain e Obama (sorry Hillary, you're out) - ha più probabilità di diventare il 44° Presidente degli Stati Uniti d'America. Si parte con l'Alabama, si finisce (verso metà luglio) con il Wyoming.

venerdì 9 maggio 2008

Almost There

Secondo ABC News, con lo switch di Donald Payne (NJ) e l'endorsement di Peter De Fazio (Oregon) Barack Obama è in vantaggio anche nell'unica classifica che fino a ieri lo vedeva inseguire Hillary Rodham Clinton, quella dei “superdelegati”. Noi ci fidiamo di più di Real Clear Politics, che registra ancora un +8 a favore di Hillary. Ma ormai è questione di giorni, perché Obama, come titola The Economist, è “almost there”.

UPDATE. Oppure no?

mercoledì 7 maggio 2008

Obama: la luce in fondo al tunnel?

A prima vista sembra un pareggio. In realtà, Barack Obama ha ottenuto una vittoria al di sopra di ogni aspettativa. Una vittoria forse decisiva per le sorti della nomination democratica. Il senatore dell’Illinois ha stravinto in Nord Carolina (56,3% contro 41,5%) con oltre 200mila voti di vantaggio. E ha sfiorato un clamoroso successo anche in Indiana, dove Hillary Rodham Clinton è riuscita ad imporsi solo per il rotto della cuffia (50,9% contro 49,1%), malgrado un background demografico a lei molto favorevole. Adesso Obama conduce nel conto dei delegati con un margine piuttosto comodo (+152), che lascia confinata al mondo della fantascienza la possibilità che Hillary riesca a ribaltare lo svantaggio entro il 3 giugno, giorno in cui - con le primarie in Montana e Sud Dakota - si concluderà questa appassionante (e masochista) cavalcata democratica verso la convention di Denver.

Per la verità, la data decisiva per le residue speranze di sopravvivenza dell’ex First Lady è quella del 31 maggio. In quel giorno, infatti, a Washington un meeting ristretto del partito democratico deciderà la sorte dei “delegati virtuali” di Florida e Michigan, stati vinti dalla Clinton (soprattutto per mancanza di avversari) ma “puniti” dal partito per aver anticipato la data delle elezioni primarie. Questo comitato di 30 membri - di cui pare che almeno 13 siano sotto il controllo “diretto” di Hillary - avrà carta bianca nell’assegnazione di 366 potenziali delegati. Potrebbe distribuirli in base al risultato delle primarie, assegnarne soltanto la metà (e sembra che questa sia la decisione più probabile), decidere di seguire la linea punitiva scelta originariamente del partito o addirittura stabilire una ripetizione del voto. Comunque vada, dopo le primarie in Nord Carolina e Indiana, il sottile filo di speranza che lascia Hillary legata alla nomination passa da Washington e dal suo disperato tentativo di spostare nelle stanze della burocrazia di partito una sfida che, nelle urne, per ora la vede perdente.

Per John Kass del Chicago Tibune, «Hillary è come un gatto che ha nove vite, ma le ha finite tutte». E il risultato delle ultime primarie sembrerebbe confermare questa tesi. Jay Cost, l’analista elettorale di Real Clear Politics, ha comparato la prestazione della Clinton in Indiana con quelle di due stati demograficamente non troppo diversi, come Ohio e Pennsylvania (in cui si è votato in marzo e in aprile). Ebbene, Hillary ha confermato i propri numeri in alcuni segmenti (uomini bianchi, over 65, protestanti bianchi, indipendenti), ma è clamorosamente crollata in altri (donne bianche, elettori con istruzione inferiore, iscritti ai sindacati) che costituivano il “nocciolo duro” del suo elettorato di riferimento. A questo si deve l’inaspettato “quasi pareggio” di Obama. In Nord Carolina, sotto il profilo strettamente demografico, le cose per Hillary sono andate leggermente meglio, ma il senatore junior dell’Illinois ha letteralmente travolto la rivale nelle aree urbane (e, naturalmente, tra gli afro-americani), ottenendo un vantaggio vicino al 15%, superiore a quello registrato dai sondaggi della vigilia. La “coalizione” clintoniana, insomma, sembra perdere colpi vistosamente. Mentre quella obamiana (neri, studenti ed élite metropolitane) si consolida progressivamente.

I problemi, per Obama, potrebbero derivare proprio da questo incrociarsi di dinamiche. Perché, come ha scritto ieri David Brooks sul New York Times, all’inizio di questa campagna elettorale Obama era visto come un candidato di garantirsi un sostegno «bipartisan e post-partisan». Capace, insomma, di fare presa anche su un elettorato «indipendente e moderato». Se guardiamo agli exit-poll delle ultime primarie, invece, ci troviamo di fronte ad un candidato estremamente spostato a sinistra rispetto all’asse mediano dell’elettorato statunitense. «Più ci si sposta a sinistra - scrive Brooks - più Obama diventa forte. Più ci si sposta verso il centro, meno intensa diventa la sua capacità di attrarre consensi. Una volta Obama aveva un discreto sostegno da parte di chi si definiva “molto religioso”. Adesso fa il pieno tra gli strati più secolarizzati dell’elettorato».

Brooks, come altri commentatori in passato, si spinge fino a paragonare i sostenitori di Obama a quelli del famigerato duo McGovern-Dukakis (i due candidati più “di sinistra” della storia recente del partito democratico), per sottolineare le difficoltà che avrebbe una proposta politica del genere nell’imporsi in una elezione presidenziale. E c’è un’altra cattiva notizia per Obama tra le pieghe degli exit-poll, soprattutto in Indiana: quasi la metà degli elettori di Hillary si dice pronta a votare per John McCain in caso di sconfitta del loro candidato alle primarie. Si tratta di una opzione che, seppure con numeri più ridotti, si ripete specularmente anche in campo obamiano. Segno che il violentissimo e prolungato scontro tra Hillary e Obama sta iniziando a lasciare il segno sull’elettorato democratico, perché queste percentuali sono cresciute sensibilmente nell’ultimo mese.

L’avversione dell’elettorato clintoniano nei confronti di Obama, poi, solleva anche la questione “politicamente scorretta” della razza. Agli ultimi comizi di Hillary, la presenza di afro-americani si poteva contare sulle dita di una mano. E la moglie del «primo presidente nero della storia» ormai non riesce a raccogliere che le briciole di questa importantissima constituency del partito democratico. Questo dato di fatto apre la strada a due diversi ordini di problemi. Per Hillary diventa molto difficile convincere i “super-delegati” che non si sono ancora espressi (267, contro i 217 ancora da assegnare con le prossime primarie) a scegliere di appoggiarla, per paura di scatenare un’ondata di astensionismo nero, soprattutto nelle città. Per Obama, una sovrapposizione troppo marcata con l’elettorato afro-americano rischia di schiacciarlo troppo sulle posizioni tipiche del “candidato della minoranza”, che piace tanto al sistema dei media e alle “anime nobili”, ma in genere perde rovinosamente le elezioni.

Forse, con la scelta di McCain, candidato anomalo in grado di giocare di sponda con queste spinte opposte che sembrano dilaniare la sinistra americana, l’elettorato repubblicano ha davvero compiuto la scelta più saggia.

(domani su Liberal quotidiano)

martedì 6 maggio 2008

Forgetfulness

Lo volevo segnalare ieri, poi mi è passato di mente. Rimedio oggi, per chi se lo è perso. “Mafiosi e fascisti”: Fausto Carioti su A Conservative Mind.

lunedì 5 maggio 2008

Architettura moderna

Un capolavoro architettonico, via Freedomland (via Newsbiscuit).

Il vice di McCain?

Nell’ottobre del 2007 gli elettori della Louisiana (uno degli stati più arretrati e “sfigati” degli USA) hanno dimostrato di ritenere il governatore democratico uscente responsabile del fallimento della gestione dei disastri causati dall’uragano Katrina almeno tanto quanto l’amministrazione federale di Bush, e hanno eletto governatore il giovane repubblicano Bobby Jindal, il quale, oltre ad essere bushiano ed appena 36enne (è il più giovane dei governatori attualmente in carica), ed oltre ad essere il primo governatore "non-bianco" dai tempi della Ricostruzione dopo la Guerra Civile (l'altro precdente è un governatore afroamericano nel 1872, ma solo per 35 giorni), ha molte altre peculiarità che lo rendono un governatore “anomalo”.
Continua a leggere il post di Alessandro Tapparini su Italian Blogs for McCain.

venerdì 2 maggio 2008

Blue Afternoon

Blue Night

Sembra che la notte sia iniziata bene per i Tories. Su BBC News c'è un discreto liveblogging delle elezioni amministrative nel Regno Unito. E la mappa sembra sempre più blu. Per Boris, invece, bisogna aspettare domani. Questo post si è trasformato in una specie di leggerissimo liveblogging.

15:33.
London (early) calling.

15:17.
Conservatori +12 (councils)/+229 (seggi); Laburisti -9/-280; LibDem +1/+30.

14:57


14:43. Prime indiscrezioni da Londra, via Freedomland.

14:02.
Conservatori +11 (councils)/+194 (seggi); Laburisti -8/-224; LibDem 0/+24.

13:59. “Secondo Sky, Boris Johnson sarebbe avanti del 10% nelle first preferences e di circa 4-6 punti nelle second preferences. Vantaggio risicato ma pur sempre vantaggio”. (via Freedomland).

13:55. “BBC's projected national share of the vote says the Conservatives will have 44%, the Liberal Democrats 25% with Labour in third place on 24%”.

13:51. Seguite il liveblogging di Simone Bressan su Freedomland.

13:42. Conservatori +10 (councils)/+182 (seggi); Laburisti -8/-214; LibDem 0/+19.

11:26.
Si continuano a contare i voti. Al momento, i Conservatori hanno conquistato 8 councils (+146 seggi), mente i Laburisti ne hanno persi 6 (-163) e i LibDem 1 (+11). L'analisi del voto di BBC News ci racconta della migliore performance dei Tories dal 1992, mentre il Labour Party non andava così male alle amministrative dalla fine degli anni Sessanta. Secondo l'analista John Curtice, i risultati sono quasi perfettamente speculari rispetto a quelli del 1995, quando la projected national share dei Laburisti era stata del 46% con i Conservatori al 25%. Inutile dire che, nelle elezioni nazionali successive a quel voto (1997), i Tories furono pesantemente sconfitti.