I risultati del primo turno alle elezioni presidenziali francesi del 2002 furono uno shock, non solo per la Francia ma per tutto l’Occidente. Il presidente uscente, il gollista Jacques Chirac, e il primo ministro in carica, il socialista Lionel Jospin, sembravano destinati ad incontrarsi al ballottaggio per la sfida finale verso l’Eliseo. Ma il leader del Front National, Jean-Marie Le Pen, conquistò a sorpresa il secondo posto, eliminando Jospin e gettando nella più profonda prostrazione la sinistra (e non solo) di tutto il pianeta.
Fino a poche ore dal voto, nemmeno un istituto di ricerca aveva ipotizzato uno scenario di questo tipo, tanto che tutti i sondaggi prevedevano anche una domanda sulle intenzioni di voto al secondo turno, dando per scontato un duello Chirac-Jospin. I dodici sondaggi pubblicati nell’ultima settimana prima delle elezioni vedevano il primo ministro socialista con una media del 18 per cento, mentre Le Pen era appena al di sopra del 12 per cento. E nessun sondaggista registrava un distacco tra i due inferiore ai 4 punti. Secondo Ipsos, a un mese dal voto Jospin aveva addirittura più che doppiato Le Pen (21 punti contro 10). Un vantaggio che si era ridotto nelle settimane successive, ma che non era mai stato percepito come a rischio.
Terminato lo spoglio delle schede, però, i risultati confermarono la tendenza emersa dai primi exit-poll, che già avevano seminato il panico tra i custodi del politically correct: con il 16,86 per cento (contro il 16,18 di Jospin) e quasi 5 milioni di voti (contro poco più di 4 milioni e mezzo), Jean-Marie Le Pen conquistava il secondo posto e si garantiva l’accesso al ballottaggio contro Chirac (19,88 per cento e oltre 5 milioni e mezzo di voti). Il “pericolo nero” fu poi ridimensionato al secondo turno, che vide la larga affermazione del presidente gollista con l’82,21 per cento contro il 17,79 di Le Pen. Ma lo shock restò impresso per anni nella memoria dei francesi, anche perché era la prima volta (dal 1977) che agli istituti di ricerca era permesso di fare sondaggi fino a tre giorni prima del voto.
In uno studio pubblicato nel 2004 dalla rivista americana Public Opinion Quarterly, i ricercatori francesi Claire Durand, André Blais e Mylène LaRochelle analizzarono il clamoroso flop dei sondaggisti, realizzando anche un’analisi comparata con elezioni che si erano svolte in altri Paesi nello stesso periodo. Le spiegazioni proposte dalla ricerca sono differenti. Ed alcune hanno a che fare con questioni tecniche (scelta del campione, formulazione del questionario, inclusione o meno dei leaning voters) su cui non è il caso dilungarsi. Ma i problemi principali furono sostanzialmente due: la frammentazione della sinistra che portò ad una leggera sovrastima di Jospin (per l’incapacità dei sondaggisti di misurare esattamente il dato dei partiti minori) e, soprattutto, le stime totalmente sballate del potenziale elettorale di Le Pen.
Si tratta di un fenomeno noto: i simpatizzanti dei partiti “estremi” - meglio se di destra e meglio ancora se disprezzati dai media - tendono ad essere sottorappresentati dai sondaggi. Mai, però, questo “pudore” aveva influito in modo tanto decisivo in un ciclo elettorale così importante. Con uno schiaffo da cui i socialisti francesi si sono (forse) ripresi soltanto quest’anno.
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