Barack Obama e Hillary Rodham Clinton continuano a darsele di santa ragione. John McCain ringrazia e si augura che la “guerra civile” interna alla sinistra americana continui per tutta l’estate. E’ questo lo “stato dell’arte” delle elezioni presidenziali statunitensi nel giorno delle primarie democratiche in Pennsylvania. Primarie che, secondo gli istituti di ricerca, dovrebbero vedere l’affermazione dell’ex First Lady, in vantaggio di circa 6 punti percentuali nella media degli ultimi sondaggi. In questa media, però, convivono risultati assai diversi tra loro, perché si oscilla dai 3 punti di distacco registrati da Public Policy Polling ai 10 di Zogby e Suffolk, passando per i 5 di Rasmussen Reports e Mason-Dixon, i 6 di Survey Usa e i 7 di Strategic Vision.
Come ha spiegato bene John McIntyre su Real Clear Politics, non si tratta di semplici bizantinismi numerici, ma di percentuali che possono fare la differenza per il futuro della campagna elettorale democratica. McIntyre ipotizza cinque diversi scenari. 1) Obama vince in Pennsylvania: la corsa è definitivamente chiusa. 2) La Clinton vince in Pennsylvania, ma con meno di 5 punti percentuali di scarto: la corsa non è formalmente chiusa, ma di fatto è ormai segnata a favore di Obama. 3) Hillary vince con uno scarto tra i 6 e i 9 punti: rimane lo status quo, che naturalmente favorisce il front-runner Obama, soprattutto con la convention democratica che continua ad avvicinarsi inesorabilmente. 4) Hillary vince con 10-13 punti di vantaggio: la Clinton rimane l’underdog, ma le sue chance di vincere la nomination crescono considerevolmente. 5) Hillary vince con più di 14 punti di vantaggio: la corsa si trasforma radicalmente, con la Clinton che può iniziare a puntare ad una vittoria nel computo del voto popolare; in questo scenario, secondo McIntyre, può accadere di tutto. Anche che né Hillary né Obama riescano a conquistare la nomination del partito.
L’esatta proporzione della probabile vittoria di Hillary in Pennsylvania, insomma, potrebbe incidere – pesantemente – sui prossimi mesi della corsa verso la Casa Bianca. Anche perché, sullo sfondo del duello democratico, si staglia il profilo sempre più minaccioso di John McCain. Mentre Hillary e Obama continuano a scambiarsi reciprocamente accuse violentissime, in quello che somiglia sempre di più ad un incontro di wrestling non truccato, McCain cresce costantemente in tutti i sondaggi nazionali. Secondo il tracking quotidiano di Rasmussen Reports, McCain ieri aveva 5 punti percentuali di vantaggio su entrambi i candidati democratici. Ma, in ogni caso, non c’è più un istituto di ricerca in tutti gli Stati Uniti pronto a scommettere, come due o tre mesi fa, in una tranquilla passeggiata dei democratici alle elezioni di novembre. Come spiega il direttore di Roll Call, Stuart Rothenberg, su The Rothenberg Political Report, il senatore repubblicano dell’Arizona “sta diventando progressivamente più competitivo ogni giorno che passa”. “E per i Repubblicani – scrive Rothenberg – una gara competitiva per la Casa Bianca è molto di più di quanto si aspettassero fino a qualche settimana fa, visto che tutti prevedevano una vittoria di proporzioni colossali per i democratici. Oggi, invece, un numero sempre maggiore di repubblicani (e anche qualche democratico) inizia addirittura a pensare che McCain possa vincere in novembre, attraendo una quantità sufficiente di democratici bianchi e giocando sull’inesperienza e sulle posizioni troppo di sinistra del senatore dell’Illinois”.
Questo non significa, naturalmente, che la corsa per McCain sia ormai in discesa. Prima o poi, lo scambio di cortesie tra Hillary e Obama è destinato a finire, per lasciare spazio al fuoco di fila “unificato” dei democratici nei confronti del senatore dell’Arizona. Allo stato attuale, siamo davanti ad una sorta di “corsa a tre”, in cui due candidati si insultano quotidianamente a tutto beneficio del terzo. Dopo la Pennsylvania, tra un mese, o addirittura dopo la convention di Denver di fine agosto, il partito democratico ritroverà magicamente la propria unità d’intenti nel fronteggiare la minaccia repubblicana (anche se “moderata” come quella rappresentata da McCain). E la dinamica della corsa potrebbe cambiare precipitosamente. Intanto, però, l’eroe della Guerra in Vietnam può approfittare del tempo che gli stanno graziosamente concedendo i suoi avversari democratici. Per evitare gli scontri da pollaio (si può dire “pollaio”, o è razzista/sessista?) delle ultime settimane. E per consolidare la propria immagine di leader e il proprio status “presidenziale”. McCain, insomma, può decidere il proprio ritmo preferito senza essere trascinato in dispute scelte da altri. Proprio quello che, per ora, Hillary e Obama non possono permettersi.
(domani su Liberal quotidiano)
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