«Se fra uno o due anni si tornasse a votare, non mi stupirei che l’Udc sparisse, la sinistra estrema tornasse in Parlamento, e il Pd perdesse fra il 5 e il 10% dei suoi consensi attuali. Sto scherzando, naturalmente, perché chissà quante cose saranno successe nel frattempo. Ma queste tre finte profezie mi aiutano a dire che cosa, secondo me, si nasconde negli ultimi risultati elettorali».
Dell'editoriale scritto oggi da Luca Ricolfi per
La Stampa andrebbe vietata la lettura ai quadri dirigenziali del Pd. Prima di tutto per ragioni umanitarie, perché non è simpatico indurre nel prossimo profondi stati di depressione esistenziale. Poi perché sarebbe estremamente più comodo, per i simpatizzanti del centrodestra, che a sinistra continuassero a non avere la più pallida idea di cosa sta accadendo in Italia da ormai un decennio abbondante. Invece Ricolfi, con colpevole ostinazione, continua a voler mettere i “suoi” di fronte alla dura realtà. E a lungo andare si rischia che qualcuno, dalle parti del
loft, se ne accorga e prenda le adeguate contromisure. Resta comunque il fatto che il sociologo torinese si conferma essere l'unico analista vicino alla sinistra con la lucidità (e l'onestà intellettuale) necessaria per non restare irretito dalla narrativa fantasy veltroniana. Forse perché, invece che di cinematografia, si occupa di numeri.
«Capisco che i suoi dirigenti non possano che ripetere quel che ripetono: il Pd ha suscitato entusiasmo e speranze, la nostra rimonta è stata formidabile, il risultato finale è buono, in così poco tempo non si poteva fare di più, eccetera eccetera (curioso, comunque, dopo mesi di slogan come «yes we can», o «si può fare»). Però ora abbiamo i dati delle elezioni politiche, i risultati di alcune consultazioni amministrative, le stime dei flussi elettorali. Ebbene, se analizzati con cura quei dati tracciano un quadro un po’ diverso da quello ottimistico che molti vi hanno voluto vedere (eccezione importante, un articolo di Roberto Gualtieri sul Riformista). Primo. L’arretramento della sinistra nel suo insieme è drammatico. Il distacco fra destra e sinistra, che era pari a zero nel 2006, in soli due anni è salito a quasi 11 punti, ed è oggi molto maggiore di quello del 2001, quando Berlusconi stravinse le elezioni (allora il distacco era dell’ordine di 2-5 punti, a seconda del metodo di calcolo). Tanti elettori di sinistra hanno votato a destra, pochi elettori di destra hanno votato a sinistra».
Arretramento drammatico? Distacco superiore a quello del 2001? Flussi elettorali univoci da sinistra verso destra? Gìà, ma non solo...
«Secondo. Della famosa super-rimonta di Veltroni non c’è traccia nei sondaggi della campagna elettorale, che talora segnalano un piccolo recupero, talaltra segnalano addirittura un lieve arretramento. Terzo. Secondo le analisi di flusso, che misurano gli spostamenti effettivi (fra 2006 e 2008), il Pd è riuscito ad attirare da destra a sinistra solo l’1,5% dei voti, per lo più sottraendoli ad An, mentre è parzialmente riuscito nell’opera di “cannibalizzazione” delle altre formazioni di sinistra, estrema e non. Quarto. Se si tiene conto che il Pd, oltre a Ds e Margherita, ha incorporato sotto il proprio simbolo i radicali, i voti del Pd nel 2008 sono di pochi decimali al di sopra di quelli del 2006. Quinto. Sottraendo i voti presi in prestito alla Sinistra Arcobaleno, il risultato del Pd nel 2008 risulta decisamente peggiore di quello del 2006 (-2,8), e ciò vale sia al Nord, sia al Centro, sia al Sud: al netto del «soccorso rosso», il «valore aggiunto» del Pd pare dunque negativo (con tre eccezioni: la circoscrizione Lazio 1, la Basilicata, la Puglia). Ecco perché penso che, se si votasse oggi, il Pd perderebbe colpi e si attesterebbe intorno al 30% (il valore storico del vecchio Pci), mentre la Sinistra Arcobaleno potrebbe anche tornare in Parlamento: per determinare questo esito, infatti, basterebbe che la metà di quanti hanno prestato il loro voto per «fermare Berlusconi» ritirassero il prestito, e decidessero di impiegarlo per garantire la sopravvivenza di una lista di estrema sinistra».
Ricolfi prosegue poi il suo editoriale con un'avvertenza di cui i “berlusconiani” dovrebbero tenere conto:
«(...) la fiducia dell’elettorato di centro-destra in Berlusconi è sempre rimasta decisamente bassa, più o meno ai livelli cui era scesa alla fine del quinquennio 2001-2006. Ciò significa che il repentino e massiccio «spostamento a destra» che appare dai risultati elettorali (oltre 10 punti rispetto al 2006) non è il frutto dell’ennesimo innamoramento degli italiani per Berlusconi, bensì del fatto che il messaggio di Veltroni è risultato ancora meno credibile di quello del suo “principale competitore”».
Ma la conclusione, come è naturale, è riservata alla sinistra:
«Ci sarà tutto il tempo per capire come mai un popolo non certo entusiasta di Berlusconi ha preferito affidarsi per la terza volta a lui piuttosto che mettersi nelle mani di Veltroni. Per riuscire nell’intento, tuttavia, occorrerà dismettere del tutto la retorica dell’autoconsolazione, e cominciare a guardare in faccia i due dati fondamentali del voto del 13 aprile: il risultato della sinistra è stato un disastro, il “valore aggiunto del Pd” resta un teorema in attesa di dimostrazione».
Ineccepibile. Anche se, a voler cercare il più classico dei peli nell'uovo, l'analisi di Ricolfi è un po' carente su almeno un punto: la superiorità strutturale del centrodestra (inteso nel senso più largo possibile) nelle dinamiche elettorali recenti del nostro paese. Chi scrive, aveva sostenuto questa tesi esattamente due anni fa, in un
articolo pubblicato da Ideazione dopo la “sconfitta” della CdL alle politiche del 2006. L'articolo si intitolava, significativamente, “Anatomia di una maggioranza”. Si tratta della stessa maggioranza strutturale di cui, nel 2006, molti avevano celebrato una prematura dipartita. Per poi, appena due anni dopo, tornare precipitosamente sui propri passi.
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