giovedì 7 giugno 2007

La sindrome MacArthur

Quel buontempone di Tps, nel suo psichedelico intervento di ieri sera al Senato, ha tentato di giustificare la rimozione forzata del generale Speciale dal vertice della GdF con una serie piuttosto astrusa di citazioni, filosofiche e storiche. Lasciamo stare, per carità di patria, il riferimento a Eraclito. Quello che ci ha colpito, piuttosto, è stata la citazione dedicata ad un momento molto delicato della storia americana del dopoguerra: l'allontanamento del generale Douglas MacArthur dal comando delle truppe americane nel 1951, in piena Guerra di Corea. Quello che Tps e i suoi ghost-writer, evidentemente, si sono dimenticati (o peggio, non sanno) è che lo scontro tra l'amministrazione democratica guidata da Harry Truman e il generale MacArthur fu, molto probabilmente, la causa principale della rovinosa sconfitta dei democratici alle elezioni presidenziali del 1952.

Per i più distratti - e per chi crede nei corsi e ricorsi storici - pubblichiamo uno stralcio di un nostro vecchio (e lungo) articolo di un paio d'anni fa.

(...) Dopo l’invasione della Corea, l’approval rating di Truman è crollato al 39%, mentre quello del suo segretario di stato, Dean Acheson, veleggia ormai intorno al 20. La fiducia degli americani nei confronti di un’amministrazione che preferisce condurre la guerra a colpi di risoluzioni Onu invece che sfruttare fino in fondo la propria superiorità militare è ai minimi storici. E in questo contesto già difficile si innesta lo scontro durissimo tra Truman e il generale Douglas MacArthur, che si è dimostrato in grado di frenare l’avanzata nordcoreana ribaltando le sorti del conflitto.

Nell’ottobre del 1950, le truppe americane espugnano la capitale nordcoreana Pyongyang. Il 24 novembre, MacArthur dice alla stampa che conta di concludere vittoriosamente le operazioni militari entro Natale. Il giorno dopo, 300mila soldati cinesi irrompono nel conflitto, attaccando le forze alleate sulle rive del fiume Yalu. Inizia una fase completamente nuova della guerra. Un confronto totale con la Cina comunista rischierebbe di coinvolgere anche l’Unione Sovietica e le sue armi nucleari (prodotte grazie alle spie infiltrate nel Manhattan Project). Cosi, senza poter organizzare una risposta militare massiccia, per tutto l’inverno l’esercito statunitense è costretto a ritirarsi verso sud. La Casa Bianca, aizzata dai “wise men” del Dipartimento di stato, è convinta che l’escalation della crisi sia stata provocata dall’avanzata troppo temeraria di MacArthur in Corea del Nord. Una tesi che la storiografia avrebbe poi smentito categoricamente. In realtà i cinesi, grazie anche all’aiuto delle due spie inglesi Guy Burgess (all’Onu) e Donald Maclean (all’ambasciata britannica di Washington), erano in grado di anticipare qualsiasi mossa di americani e alleati.

Truman e i “wise men” vietano a MacArthur di coinvolgere le truppe della Cina nazionalista di Chiang nel conflitto e gli proibiscono anche di bombardare le linee di rifornimento dell’esercito maoista che si trovano sul lato cinese del confine. Furioso con l’amministrazione democratica, MacArthur riesce comunque a capovolgere, ancora una volta, la dinamica del conflitto. Il 14 marzo del 1951 le truppe Onu guidate dagli Stati Uniti riconquistano Seoul. Il 19 marzo Truman, il segretario di stato Acheson e il ministro della difesa Marshall decidono di invitare Mao ad un tavolo di negoziati per la pace. MacArthur non ci sta. E lancia un secco ultimatum alla Cina comunista: ritiro delle truppe dalla penisola coreana o guerra totale. La proposta di negoziato fallisce e la Casa Bianca decide di rimuovere MacArthur dall’incarico, accusandolo di aver sabotato la strategia dell’amministrazione. Per i democratici, si tratta di una mossa dalle conseguenze disastrose. Il generale scrive al leader repubblicano della Camera, Joe Martin, per lamentarsi della “strana difficoltà” con cui l’esecutivo elabora le proprie strategie di contenimento della minaccia globale comunista. “Se perdiamo questa guerra – spiega MacArthur – anche la caduta dell’Europa sarà inevitabile. Non c’è nessun sostituto per la vittoria”. Il 30 marzo Julius ed Ethel Rosenberg vengono giudicati colpevoli di spionaggio. Il 4 aprile il giudice Irving R. Kaufman, nel firmare la condanna a morte, dice chiaramente che li reputa in qualche misura responsabili anche per il sangue americano versato in Corea.

Dopo la rimozione di MacArthur, la Casa Bianca riceve 100mila telegrammi di protesta in un solo giorno. Secondo un sondaggio Gallup, il 66% dei cittadini americani disapprova la decisione di Truman e appoggia l’intransigenza anticomunista di MacArthur. E i repubblicani, che hanno appena vinto le elezioni di mid-term (ma non abbastanza nettamente da riconquistare il controllo di Camera e Senato), decidono di cavalcare l’ondata di sdegno che sta attraversando il paese in vista delle presidenziali. MacArthur torna in America il 18 aprile, accolto a San Francisco con una parata degna di un imperatore romano. Nei giorni immediatamente successivi, tutti gli esponenti di rilievo del GOP si scagliano violentemente contro Truman. Sotto i colpi durissimi di Taft, Nixon, Jenner e McCarthy, i democratici sono costretti a concedere l’apertura di un’inchiesta congressuale sulla politica dell’amministrazione in Estremo Oriente. Per la prima volta, il partito di Wilson e Roosevelt inizia ad essere pubblicamente identificato come “il partito del tradimento”.

(...) Il 1952, anno di elezioni presidenziali, è appena iniziato. E per la prima volta dal 1924 il GOP vede distintamente la possibilità di ritornare alla Casa Bianca. Sarà una lunga, lunghissima campagna elettorale. (...) Il ticket Eisenhower-Nixon vince le elezioni presidenziali di novembre con quasi 11 punti percentuali di vantaggio sulla coppia democratica formata da Adlai Stevenson e John Sparkman. I repubblicani vincono ovunque, ad eccezione che nella Bible Belt del sud, in Kentucky e in West Virginia, conquistando 442 voti elettorali contro 89. E’ un massacro di proporzioni storiche, accentuato dal fatto che il GOP, seppure di misura, riesce a riconquistare il controllo di Camera e Senato.

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