Harris fa un po' di chiarezza nella confusione statistica che regna sovrana negli ultimi sondaggi sulle presidenziali Usa. Sondaggi che si dividono in due grandi "famiglie": quella che vede Bush con un vantaggio dello 0-2% (Zogby, Rasmussen, Tipp, NBC/WSJ, CBS e Time) e quella che fa salire questo margine fino al 5-8% (ABC/WP, Fox News, Gallup/CNN, Newsweek, ICR). Con un colpo di genio, Harris riesce ad accasarsi in entrambe le famiglie, analizzando i dati raccolti con due diversi modelli di "likely voters". Uno, più "largo", che tiene conto della volontà espressa dagli intervistati. E un altro, più "stretto", che valuta il loro comportamento in base alle elezioni precedenti. Con il primo modello, Bush è in vantaggio su Kerry del 2% (48-46). Con il secondo, questo distacco diventa più consistente e arriva all'8% (52-44). Un modo brillante, da parte di Harris, per sottrarsi a questa "guerra di religione statistica", che ci permette anche di comprendere meglio le differenze, a volte macroscopiche, tra i risultati degli altri sondaggisti. E che dimostra una volta di più, se ce ne fosse ancora bisogno, che il "turnout" del 2 novembre sarà la variabile cruciale per definire l'esito finale di queste combattutissime elezioni. [Link]
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