È la California a decretare i nomi dei vincitori del Super Tuesday. Aggiudicandosi il Golden State, infatti, Hillary Rodham Clinton e John McCain conquistano anche la testa nelle classifiche dei delegati in vista delle rispettive convention. Hillary adesso conduce 900 a 824 contro Obama, ma soltanto grazie ai “super delegates” assegnati dal partito. Il vantaggio di McCain è invece più netto, soprattutto a causa dei diversi sistemi elettorali utilizzati nelle primarie repubblicane (i democratici usano sempre la proporzionale). L’ex senatore dell’Arizona, ad oggi, può contare su 604 delegati, contro i 244 di Mitt Romney, i 187 di Mike Huckabee e i 14 dell’outsider Ron Paul.
Non c’è dubbio che, con la vittoria in California, John McCain abbia rafforzato il proprio status di front-runner in campo repubblicano. Analizzando stato per stato i risultati elettorali, però, le sorprese sono davvero poche, almeno rispetto ai sondaggi della vigilia. L’unico dato politico rilevante, probabilmente, è la performance estremamente modesta di Romney, soprattutto negli stati del Sud. Di elezioni primarie in senso stretto, l’ex governatore del Massachussets ne ha vinte solo due: nel suo stato d’origine, appunto, e nello Utah (dove i mormoni rappresentano la grande maggioranza della popolazione). A parte queste vittorie, quasi scontate, Romney è riuscito soltanto a conquistare alcuni caucus minori - Minnesota, North Dakota, Colorado, Montana e Alaska - dove contano molto di più i rapporti con l’establishmentdel partito piuttosto che un vero consenso elettorale.
L’altra faccia del flop di Romney, naturalmente, è rappresentata dall’ottima prestazione di Huckabee nella Bible Belt. L’ex governatore dell’Arkansas ha stupito analisti e osservatori, sfoderando una prestazione molto solida e conquistando la vittoria, oltre che in “casa”, anche in Georgia, Alabama, Tennessee e West Virginia. Sfiorando addirittura il successo, che sarebbe stato clamoroso, anche in Missouri, dove è stato scavalcato da McCain soltanto nelle fasi finali dello scrutinio.
L’ottima serata di Huckabee e gli scivoloni di Romney rendono naturalmente più facile la corsa di McCain verso la nominationrepubblicana. Ma l’ex senatore dell’Arizona - che pure ha vinto in California, New York, Illinois, New Jersey, Missouri, Connecticut, Oklahoma e Delaware - non può ancora, come avrebbe sperato, considerare chiusa la partita. Anche se ormai soltanto un miracolo (più di Huckabee che di Romney) potrebbe impedirgli di diventare il candidato del Gop, con grande scorno dell’establishmentdel partito repubblicano, ma anche dei commentatori-attivisti (come Rush Limbaugh, Hugh Hewitt, Ann Coulter) che continuano a manifestare il loro profondo disprezzo per l’eroe della Guerra in Vietnam. Anche i bookmaker ormai scommettono tutto sulla vittoria del “maverick”. Ed è interessante notare come la rimonta di Huckabee sia considerata, anche se di poco, meno improbabile di quella di Romney.
La vittoria di Hillary in California ha reso più sopportabile un Super Tuesday che rischiava di rivelarsi estremamente amaro per il Clan Clinton. L’ex First Lady ha vinto anche a New York, abbastanza agevolmente, in New Jersey, in Arizona, in Oklahoma, in Arkansas (naturalmente) e, soprattutto, in Massachussets, malgrado gli endorsementdi Ted Kennedy, di John Kerry e del popolare governatore nero Deval Patrick a favore di Obama. Già nelle prime ore dello spoglio, poi, era partito lo spin relativo agli “stati rossi” conquistati da Hillary. «Siamo molto contenti - si leggeva in una email spedita ai sostenitori della Clinton - per i risultati ottenuti in tre red statescome Oklahoma, Tennessee e Arkansas. Obama affermava di avere il monopolio degli stati rossi, Hillary ha dimostrato di poter vincere anche al sud». Si tratta di un talking point suggesivo, anche se parzialmente scorretto (l’Arkansas era una vittoria obbligata, mentre Tennessee e Oklahoma non sono esattamente due stati rossi), che verrà ripetuto nei prossimi giorni su tutti i media, fino alla nausea, dalla “Clinton Attack Machine”.
Malgrado un risultato al di sotto della aspettative in California e Massachussets, la performance di Obama nel Super Tuesday è stata comunque eccellente. L’ex senatore junior dell’Illinois ha vinto in casa e ha conquistato Georgia, Alabama, Minnesota, Delaware, Utah, North Dakota, Colorado, Kansas, Idaho, Alaska, New Mexico e, soprattutto, Connecticut (dove i sondaggi lo davano perdente in partenza).
In termini sportivi, si potrebbe parlare di un 13 a 8 per Obama che mette in serio dubbio la presunta prevalenza di Hillary a livello nazionale.
Se si escludono i “super delegates” di partito e si considerano solo quelli assegnati durante le tornate elettorali, poi, Obama è anche in vantaggio (606 a 534) nel conto dei delegati. E questo non può non mettere in apprensione il Clan Clinton.
A tenere con il fiato sospeso il partito democratico nel suo complesso, che fino a poche settimane fa molti consideravano avviato verso una tranquilla passeggiata per la conquista della Casa Bianca, è invece la prospettiva - sempre più concreta - di uno scontro tra Hillary e Obama che rischia di trascinarsi fino alla primavera. A meno di clamorosi colpi di scena (un ticket nero-rosa?), infatti, quello che sembrava il probabile destino della corsa repubblicana - una brokered convention con nessun candidato in grado di esprimere la maggioranza dei delegati - potrebbe toccare in sorte proprio ai rivali dell’asinello. E questo rappresenterebbe un duro colpo per le aspirazioni presidenziali dei democratici.
Con McCain lanciato, bene o male, verso la nomination repubblicana, una battaglia più lunga del previsto tra Hillary e Obama potrebbe prosciugare preziose energie (e risorse finanziarie) in vista dello showdown finale di novembre. Rimettendo improvvisamente in gioco un partito repubblicano che sembrava ormai dilaniato dalla guerra di trincea combattuta tra le varie anime della gloriosa Reagan Coalition. Un partito incerto tra un “nuovo che sa di vecchio” e un “vecchio dipinto di nuovo”, che potrebbe però - nel momento più difficile della sua storia recente - trovare l’inaspettato aiuto dei suoi avversari di sempre. Non sarebbe, del resto, la prima volta che l’autolesionismo della sinistra americana finisce con il favorire la Right Nation.
© Liberal quotidiano - 7 febbraio 2008
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