Per Peter Marshall, corrispondente dagli StatiUniti del programma Newsnight della Bbc, «Obama si trova in grande imbarazzo, dopo essersi infilato da solo in una gabbia come quelle costruite dalla Cia per Abu Zubaydah». La “gabbia” in cui è rinchiuso il presidente, per uscire dalla metafora di Marshall, sono le polemiche divampate in seguito alla decisione di pubblicare quattro memorandum sulle tecniche di interrogatorio utilizzate dalla Cia sui sospetti terroristi dopo l’11 settembre. Polemiche che sono tornate, ancora più violente, quando l’amministrazione democratica ha deciso di non opporsi alla pubblicazione di alcune fotografie relative ad abusi commessi dagli agenti speciali americani contro prigionieri detenuti nelle carceri irachene e afghane. A chiedere la diffusione delle immagini in questione - che dovrebbero essere 44 ed essere rese pubbliche entro il 28 maggio - è stata la Aclu (American Civil Liberties Union) già nel 2003. Ma l’amministrazione Bush si era sempre opposta per motivi di sicurezza nazionale.
Dopo l’ultima decisione di un tribunale federale a favore all’Aclu, invece, Obama ha deciso di non ricorrere alla Corte Suprema, dando di fatto il via libera alla pubblicazione di foto che - secondo il suo stesso Dipartimento della Difesa - sono destinate a «provocare una forte reazione negativa in Medio Oriente». In attesa del backlash arabo, intanto, Obama si trova ad affontare una “sollevazione” interna. A sparare il primo colpo è stato l’ex direttore della Cia (e presidente della commissione permanente della Camera sull’intelligence dal 1997 al 2004), Porter J. Goss, sulla pagina degli editoriali del Washington Post.
«Sono rimasto in silenzio da quando ho lasciato il mio posto alla Cia circa tre anni fa - scrive Goss nelle prime righe del suo articolo - ma adesso sono costretto a rompere questo silenzio, perché credo che il nostro governo abbia oltrepassato la “linea rossa” che divide una corretta protezione della sicurezza nazionale dallo scorretto tentativo di guadagnare un vantaggio politico per il suo partito. Non possiamo avere servizi segreti se continuiamo a non rispettare il segreto. Gli americani devono decidere ora».
E gli americani, almeno a fidarsi degli ultimi sondaggi, su questo argomento sembrano stare dalla parte di Goss. Secondo Rasmussen Reports, infatti, il 58% dei cittadini statunitensi si oppone a «nuove inchieste sul trattamento dei sospetti terroristi da parte di Bush», mentre solo il 28% è favorevole (gli incerti sono il 13%). Questa opinione della maggioranza, almeno in teoria, sarebbe quella dello stesso Obama, che però si trova di fronte a un partito democratico spaccato. Mentre il leader del Senato, Harry Reid, è contrario alla formazione di una commissione d’inchiesta, la sua alter ego della Camera, Nancy Pelosi, continua a spingere in quella direzione. Esponendosi alle critiche di chi, come un nutrito gruppo di parlamentari repubblicani e lo stesso Goss, sottolinea che l’attuale Speaker democratica, conosceva alla perfezione le tecniche utilizzate dalla Cia già nel 2002 e non ha mai sollevato obiezioni, pubbliche o private.
«Sono sbigottito - scrive Goss - nel leggere che alcuni miei colleghi del Congresso non “avessero capito” quali fossero queste tecniche, come il waterboarding. Fatemi essere chiaro su questo punto: sapevamo cosa stava facendo la Cia; abbiamo dato alla Cia il nostro sostegno bipartisan; abbiamo dato alla Cia i fondi necessari per proseguire; abbiamo chiesto alla Cia se avesse bisogno di ulteriore sostegno nella sua missione contro al Qaeda». Il riferimento, esplicito, è alla Pelosi e alla “gang of four” (i due repubblicani e i due democratici più alti in carica nelle commissioni sull’intelligence di Camera e Senato).
Al momento Nancy Pelosi è costretta a giocare in difesa - anche perché coinvolta nello “scandaletto” dei suoi rapporti con Jane Harman - ma le pressioni per fare definitivamente i conti con l’eredità post 9/11 dell’amministrazione Bush si moltiplicano sul fronte sinistro dell’alleanza che ha portato Obama alla Casa Bianca. E il presidente si trova con le spalle al muro, di fronte a un dilemma: pagare le sue “cambiali elettorali” (rischiando di mettere a repentaglio la sicurezza nazionale) o mantenere la promessa di “guardare avanti” (mettendosi contro una fetta non marginale del suo partito). Alla vigilia del centesimo giorno di presidenza, per Barack è già arrivato il momento di una scelta dolorosa.
(domani in edicola su Liberal quotidiano)
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