«Obama deve impedire all’Iran di arrivare all’atomica. Oppure a farlo ci penserà Israele». Non si perde in giri di parole, Benjamin Netanyahu, in una lunga intervista concessa al mensile americano The Atlantic poche ore prima di insediarsi ufficialmente a capo del 32° governo della storia israeliana. E non è un caso che Bibi abbia scelto proprio il magazine di riferimento della sinistra “clintoniana” per lanciare il suo “avvertimento” alla Casa Bianca.
Il presidente statunitense – dice in sostanza Netanyahu – deve fermare il tentativo iraniano di entrare in possesso di armi nucleari. E lo deve fare rapidamente. Altrimenti Israele potrebbe essere costretta ad attaccare direttamente le strutture nucleari iraniane. «L’amministrazione Obama – spiega il primo ministro israeliano – si trova di fronte ad un bivio storico. Il mondo intero dovrebbe preoccuparsi dell’eventualità che un culto messianico-apocalittico possa entrare in controllo di ordigni atomici. Eppure è esattamente quello che sta accadendo in Iran. Questa è una minaccia all’esistenza stessa di Israele, ma sarebbe anche un colpo durissimo per gli interessi americani, specialmente sul fronte dell’energia. Chi controllerà il petrolio in Medio Oriente: Washington o Teheran?».
Netanyahu punta direttamente al cuore del problema, ma non esclude a priori soluzioni diverse da quella militare. «Come si raggiunge l’obiettivo – dice – è molto meno importante del raggiungerlo», aggiungendo però di essere molto scettico sulla possibilità che l’Iran possa rispondere positivamente all’appello lanciato da Obama una decina di giorni fa. E le ragioni di questo scetticismo sono in gran parte dovute alla natura “integralista” della leadership di Teheran: «Fin dall’alba dell’era nucleare, non è mai esistito un regime fondamentalista che abbia messo il proprio fanatismo prima del proprio interesse. C’è chi dice che l’Iran si comporterebbe come qualsiasi altra potenza nucleare. Siamo disposti a rischiare?». Il premier israeliano cita la lunga guerra con Iraq come prova del comportamento “irrazionale” di Teheran. «L’Iran ha sprecato più di un milione di vite umane senza battere ciglio – dice – e senza che questo ne abbia scosso la coscienza nazionale. Dopo la prima guerra mondiale, la Gran Bretagna è precipitata nel pacifismo proprio a causa della grande tragedia di aver perso una generazione. In Iran non si è visto niente di tutto questo. Anzi, si è vista una nazione che esalta il sangue, la morte e l’auto-distruzione».
Anche se gli analisti americani e quelli israeliani hanno opinioni diverse sullo stato di avanzamento del programma nucleare iraniano, Netanyahu avverte di non essere disposto ad aspettare «anni» per verificare la bontà dell’approccio “diplomatico” cercato da Obama. «Il problema - dice a Jeffrey Goldberg (il giornalista di The Atlantic autore dell’intervista) uno dei consiglieri strategici del premier israeliano - non sono le capacità militari. Il problema è verificare se si ha lo stomaco e la volontà politica di agire». Un altro problema, secondo Netanyahu, è anche quello di voler “legare” ad ogni costo il caso-Iran e il processo di pace con i palestinesi: «Noi intendiamo affrontare separatamente le due questioni; spero che gli Stati Uniti vogliano fare lo stesso. L’amministrazione Obama ha detto recentemente che Hamas deve per prima cosa riconoscere Israele e interrompere qualsiasi sostegno ad attività terroristiche. Siamo d’accordo, perché questo significa semplicemente che Hamas deve smettere di essere Hamas».
Moshe Ya’alon, ex chief of staff delle forze armate israeliane e oggi consigliere strategico del premier, è categorico: «L’errore del disimpegno da Gaza è stato che noi, da occidentali, abbiamo pensato che il compromesso avrebbe attenuato i problemi, mentre invece ha soltanto contribuito a farlo crescere a dismisura. I jihadisti hanno visto il ritiro delle truppe come una sconfitta dell’occidente. Che segnale sarebbe, per costoro, essere pronti a dividere Gerusalemme ritornare ai confini del 1967? In questo tipo di conflitto, la determinazione è più importante della potenza di fuoco». E sulla determinazione che muove il neonato governo di Benjamin Netanyahu sembrano esserci pochi dubbi. Anche perché, spiega il primo ministro israeliano, basterebbe un solo errore (permettere all’Iran di entrare in possesso di armi atomiche) per provocare conseguenze catastrofiche: «Primo, i terroristi amici di Teheran potrebbero agire sotto la protezione di un ombrello nucleare, e questo aumenterebbe la possibilità di un confronto diretto con Israele. Secondo, questo sviluppo incoraggerebbe i militanti islamici di tutti i continenti, che vedrebbero un segno divino capace di portarli alla vittoria definitiva. Terzo, si creerebbe un danno enorme agli approvvigionamenti mondiali di petrolio. Quarto, l’Iran potrebbe usare direttamente gli ordigni nucleari oppure renderli disponibili ai vari proxy terroristici della regione. Infine, gli stessi equilibri geostrategici della regione sarebbero alterati permanentemente, distruggendo di fatto l’alleanza tra gli Stati Uniti e i Paesi arabi “moderati”». Obama è avvertito: Israele non permetterà che questo scenario da incubo si trasformi in realtà.
(domani in edicola su Liberal quotidiano)
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