Per la prima volta nella storia della Repubblica le sinistre sono sradicate dal Nord, ridotte a fenomeno marginale. Siamo a un passaggio storicamente cruciale.Fausto Bertinotti, intervistato da Repubblica Tv, non ha dubbi: la sinistra, al Nord, non esiste più. Per il presidente comunista della Camera si tratta di "un passaggio drammatico", le cui cause - come dubitarlo? - non sono certo legate all'attività del governo Prodi, ma all'esito di "una crisi dell'Europa" che affonda le sue radici in un processo addirittura ventennale.
Bertinotti, come quasi sempre gli accade, è abbastanza intelligente da intuire l'emergere di un fenomeno ma troppo comunista per comprenderne le cause e analizzarne sensatamente la dinamica. La verità, indigesta per chi continua a venerare gli stracci rossi dell'Ottocento, è che la sinistra (anzi, le sinistre) al Nord non esistono più perché hanno definitivamente divorziato da qualsiasi ceto produttivo - benestante e non - per abbracciare quella miscela letale di nullafacenti professionisti che ne costituisce ormai il blocco strutturale di riferimento.
Se non credete a noi, che siamo dichiaratamente faziosi, provate a dare un'occhiata ai dati contenuti in una ricerca effettuata da Swg per Ires-Cgil (non per il Cavaliere Nero) sul voto alla Camera dell'aprile 2006. Lo studio, citato da Renato Brunetta nella sua relazione ad un convegno organizzato a gennaio dalla Fondazione Liberal (e riproposto nel libro "Il berlusconismo: identità e futuro" della collana "Manuali di conversazione politica"), è stato accuratamente tenuto nascosto all'opinione pubblica dai suoi stessi committenti perché contiene dati estremamente rivelatori della deriva che sta rendendo marginale la sinistra italiana, soprattutto al Nord. Citiamo dalla relazione di Brunetta:
Alcuni dati erano attesi. In tutto il Paese, alla Camera hanno votato per il centrodestra gli imprenditori, i commercianti, gli artigiani, i lavoratori autonomi e i liberi professionisti. Le percentuali variano a seconda delle macro-aree in cui è ripartita la ricerca. (...) Per imprenditori e commercianti si va dal 61,2% che al Nord ha scelto Silvio Berlusconi, al 41,70% che lo ha scelto al Sud. Gli artigiani hanno votato in massa il centrodestra al Nord e al Centro Sud (il 61%), i liberi professionisti lo hanno fatto di più al Centro Nord (il 49,6%), mentre al Sud premiano il centro-sinistra con il 44,7%. Insomma molto del lavoro autonomo e dintorni ha confermato i propri orientamenti elettorali. Quanto agli operai, il dato non è omogeneo su tutto il territorio. Al Nord la percentuale si sposta a favore del centrodestra con il 45,7%, mentre a sinistra resta il 37,5%. Una tendenza che non nasce ora, e che trova, però, la sua riconferma. Contro il 29,6% del Centro Nord, il 32,9% del Centro Sud e il 41,4% delle isole (ma qui il voto operaio è andato per il 40,9% al centro-sinistra, quindi tra i due schieramenti c’è un distacco risibile).
«Rispetto al 2001 il centrosinistra non ha spostato voti nel blocco sociale del lavoro autonomo e nelle imprese che anzi si è radicato» - spiega Roberto Weber presidente Swg che continua - «questo blocco sociale al Nord ha fatto “filiera” comprendendo anche il lavoro operaio. Non viene scalfito, forse perché non gli è stata fatta un’offerta politica adeguata». È sempre il Nord, inoltre, a caratterizzarsi per un altro dato: quello dei pensionati. Il 48,9% dei pensionati settentrionali ha preferito la Casa delle Libertà contro il 34,2% del Centro Nord, il 42,6% del Centro Sud e il 43,9% delle isole. Ancora: i disoccupati. Chi non ha lavoro (o almeno così dichiara) ha scelto a maggioranza il centro-destra in tutto il Paese: al Nord il 42,7%, il 47,5% al Centro Nord, il 43,9% al Centro Sud e il 38,2% al Sud. Ma non solo, al Nord la maggioranza degli operai e pensionati continua a scegliere il centrodestra.
Gli operai del Nord, insomma, votano centrodestra. Esattamente come gli imprenditori e i lavoratori autonomi. Altro che lotta di classe, altro che crisi europea! Sarebbe il caso che Fausto Bertinotti, che pure alla Cgil deve ancora avere qualche aggancio, si metta a studiare con attenzione questa ricerca, condotta su un campione di settemila interviste (non un migliaio scarso, come nei sondaggi pre-elettorali), prima di avventurarsi in giustificazioni globali della crisi della sinistra italiana. La realtà, come spesso accade, potrebbe essere più vicina. E molto più semplice da spiegare.
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