sabato 16 settembre 2006

Atreju 06 - Bertinotti non rinnega Fidel ma sull'economia (purtroppo) sfonda

[dom] "Chi ha conosciuto gli anni di piombo oggi non può che prendere atto dei cambiamenti avvenuti in questi anni e provare una forte emozione". Esordisce così Gianfranco Fini, ringraziando Fausto Bertinotti prima di 'scontrarsi' nello storico duello organizzato dai giovani di Alleanza Nazionale. La pioggia non ferma il flusso imponente di persone e la tenda che solitamente ospita la mensa è piena di ragazzi, di anziani, di giornalisti, di cameramen. Ci sono anche Russo Spena, Migliore, Curzi, Barenghi. Atreju o Festa di Liberazione? All'inizio il dubbio viene, ma poi vedi un po' tricolori sventolare e torni a essere sereno.

Modera il dibattito Giorgia Meloni, vicepresidente della Camera e vero artefice di questo storico evento che tanto ha fatto arrabbiare alcune frange della sinistra estrema. La prima domanda è d'obbligo, visti gli ultimi sviluppi dell'attualità. Si parla di Telecom e la Meloni pone la questione della perdita completa del controllo italiano nell'ambito della telefonia mobile. Bertinotti snocciola le sue tesi sul capitalismo contemporaneo e sulla globalizzazione. Prodi si mette d'accordo con Tronchetti Provera? Colpa dell'Occidente, ovviamente. Purtroppo queste idee anticapitaliste fanno breccia negli ambienti della destra sociale, e in sala si sente. Il presidente della Camera raccoglie una buona dose di applausi quando parla di profitto, di multinazionali. Argomenti banali, strumentalizzati e furbi. Bertinotti ci sa fare, ma non lo scopriamo certo oggi.

Fini marca le distanze, cerca di far capire che le differenze sono enormi, che la SUA destra è distante anni luce dal comunismo chic bertinottiano. Rilancia l'idea della liberalizzazione economica e la parte maggioritaria della sua base giovanile sembra seguirlo, per fortuna. Poi rilancia sulll'affaire Telecom e punzecchia il leader di Rifondazione: "Nella storia c'è qualche aspetto poco chiaro. Il presidente Prodi non può risolvere tutto con un'alzata di spalle. Ha il dovere di riferire in Parlamento. Tronchetti si è dimesso, qualcosa vorrà dire"

Bertinotti riesce ad evitare l'ostacolo con una battuta: "Una volta dicevamo: Sono un militante del Partito comunista italiano. Non ho altro da dichiarare. Oggi devo dire: sono il presidente della Camera dei Deputati, non POSSO dichiarare altro. Certo che non è un bell'invecchiare, eh?" Applausi. Bertinotti ha l'approccio giusto e la base di AN lo apprezza. Onestà e coerenza, ammettiamolo. Lo conferma quando parla del motivo per cui ha accettato l'invito di Azione Giovani: "Ho iniziato la mia carriera politica nel 1960, proprio manifestando contro un congresso del Movimento Sociale Italiano. Era l'epoca del governo Tambroni, un'epoca dura e difficile. Sono qui perché penso che sia fondamentale aprire una stagione di dialogo e confronto. Siamo diversi, lo saremo sempre. Ma dobbiamo confrontarci. Mi auguro che non tornino più i tempi in cui i giovani di destra e di sinistra si uccidevano per strada". Altro applauso, altro sdoganamento. Pari dignità per i militanti politici degli anni di piombo.

Altro punto caldo (anzi, rovente) del dibattito: la questione dell'identità occidentale e il confronto con l'Islam. Qui Fini ha gioco più facile: "La cultura del dialogo presuppone la conoscenza di quel che si è. Solo conoscendo e accettando la nostra identità potremo non aver paura dell'altro, del diverso. Quando l'identità è friabile, è debole, scatta il timore e la diffidenza reciproca. Riaffermiamo la nostra identità, agevoliamo il dialogo ma senza dimenticare chi siamo e da dove veniamo". La platea si scioglie in un applauso corposo, forse il più forte dell'intero dibattito. Ma Bertinotti sa quale carta giocare e confronta l'identità mediterranea con quella 'occidentale': "Siamo mediterranei? Bene, allora la nostra identità non può essere quella del Nordamerica". La destra sociale abbocca. Applauso forte. Delusione mia. Ma pazienza. La destra sta cambiando ma un piccolo residuo c'è. Il tempo lo cancellerà, spero.

Ma il presidente Bertinotti prende anche la sua corposa dose di fischi quando richiama il famoso discorso tenuto al congresso di Rifondazione comunista sulle identità: "Sono omosessuale, sono lesbica, sono musulmano, sono israeliano". Troppo relativismo per una platea di destra, caro presidente. E' troppo anche per uno sporco relativista come me. La Meloni vira sul personale: film, canzone e libro preferiti. Fini tentenna ma poi cita Battisti, Pirandello, Sciascia, Sinatra. Bertinotti spiazza tutti con un film americano: Million Dollar Baby.

Altra divisione netta su Droghe e Cuba. Bertinotti difende Castro, condanna le repressioni in Ungheria e Cecoslovacchia. Ma Cuba proprio non riesce a rinnegarla. Si arrampica sugli specchi, tenta di mettere sul tappeto motivazioni emotive e sentimentali, il fascino dei barbudos, la terribile dittatura di Batista. Non basta, per fortuna. Cuba è una dittatura, sì o no? Questo chiede Fini. E Fausto non risponde.

Siamo alla fine. La Meloni è raggiante. Ne ha tutti i motivi. Ha confezionato un piccolo capolavoro. Il leader di un partito comunista alla festa nazionale del movimento giovanile di un partito figlio dell'MSI. Roba impensabile fino a qualche anno fa. Eppure oggi i giovani di AN si sentono ancora più legittimati. Non ne avevano bisogno, sia chiaro. Nessuna patente dai comunisti. Ma l'eccezionalità dell'evento è innegabile. Forse oggi si è chiusa una pagina e se ne apre un'altra. Dialogo, confronto e dibattito. Ma le differenza, grazie a Dio, resteranno quelle di sempre.

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