domenica 23 gennaio 2005

Diario americano/1.
Heritage Foundation

Washington, lunedì 10 gennaio (ore 11.00). Dopo una breve visita al Dipartimento di Stato, dove la gentilissima Janet Donaghy ci illustra i dettagli del programma della nostra visita negli Stati Uniti, partiamo per Massachussetts Avenue, dove ci aspetta John C. Hulsman, senior research fellow della Heritage Foundation, il think-tank più autorevole ed influente della destra a stelle e strisce. I locali della fondazione sono splendidi: l'arredamento è conservative ma funzionale e moderno. Scattiamo un paio di foto, posando con sguardo severo sotto i ritratti di Friedrich August von Hayek ed Edwin J. Feulner. Dopo un caffè e qualche chiacchiera di circostanza, Hulsman si scioglie e si trasforma in un fiume in piena. L'eccitazione per la rielezione di George W. Bush alla Casa Bianca è ancora palpabile. Ed è subito chiaro che il secondo mandato del presidente è visto dalla Heritage come un'occasione irripetibile per rendere il movimento conservatore maggioranza "permanente" nel paese e lasciare un'impronta indelebile nella storia degli Stati Uniti d'America. Secondo Hulsman - a parte Iraq e Iran - il 2005 di Bush e dei repubblicani sarà scandito da due semplici parole, pesanti come pietre: Social Security. La riforma in senso liberista del sistema di sicurezza sociale non sarà facile né indolore, tanto che qualche segnale di incertezza è già cominciato ad arrivare dall'interno del GOP, ma Bush e la sua amministrazione (con l'appoggio incondizionato della Heritage Foundation) hanno intenzione di investire in questo progetto una parte non irrisoria del capitale politico guadagnato dal presidente alle elezioni dello scorso novembre. Hulsman ci conferma anche la sensazione che tra conservatori "classici" e neo-conservatori si stia avvicinando, sui temi della politica estera, il momento della "resa dei conti". E non sarà facile, per Bush, rappresentare un punto di incontro equilibrato tra l'idealismo neocon e il realismo tradizionale della destra Usa. Se i conservatori potrebbero trovarsi presto a litigare sulla strategia da seguire in Medio Oriente, però, si tratta di bazzecole rispetto alle squassanti divisioni che stanno lacerando la sinistra americana. Sempre più distanti dalla gestione del potere, dopo decenni di vacche grasse, i democratici sono sull'orlo di una guerra civile tra loro anima centrista e una sempre più accentuata deriva mooriana. Anche per questo, ci spiega, Hulsman, "i miei amici-avversari della Brookings Institution continuano ad avere la faccia lunga anche a più di due mesi dalle elezioni". Quanto il nostro John avesse ragione, però, lo avremmo scoperto soltanto il giorno dopo.

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