Gli analisti e i commentatori della galassia conservatrice invocavano il “colpo di reni”, lo scatto capace di invertire la dinamica di una corsa verso la Casa Bianca che sembrava ormai indirizzata verso la vittoria di Barack H. Obama. Ebbene, il “game changer” tanto atteso da parte di John McCain non c’è stato. Anzi, dopo il dibattito tutto sommato equilibrato che si è svolto a Nashville (Tennessee) nella notte tra martedì e mercoledì, si può dire che Obama abbia fatto un altro, importante passo, verso Pennsylvania Avenue.
Il formato alla “townhall” del confronto avrebbe in teoria dovuto favorire McCain. Ma la scialba conduzione di Tom Brokaw (storico anchorman di Nbc News) ha lasciato davvero poco spazio all’improvvisazione, in cui il candidato repubblicano eccelle. Anzi, le “passeggiate” in mezzo al pubblico hanno semmai sfavorito il candidato repubblicano, che soffre di un evidente stato di inferiorità fisica nei confronti dell’avversario (tra Honolulu e Hanoi non ci sono solo differenze climatiche...). Nella sostanza, il dibattito può essere considerato un pareggio. Obama più brillante e diretto sui temi economici, McCain nettamente meglio in politica estera. Nessuna sorpresa, nessun capovolgimento di fronte. E questa è un’ottima notizia per il ticket democratico.
I “sondaggi” effettuati subito dopo la fine del confronto da Cbs News e Cnn hanno registrato una prevalenza di pareri favorevoli per il candidato democratico (+14% e +9%, rispettivamente). Ma da un mondo come quello dei mainstream media - univocamente, convintamente e spudoratamente schierato dalla parte di Obama - non ci si potevano aspettare risultati molto diversi, a prescindere dalla realtà del dibattito.
Una realtà che, in ogni caso, resta sfavorevole per il candidato repubblicano. Le voci della vigilia, che volevano McCain tirare in ballo personalmente gli “scheletri nell’armadio” di Obama (Ayers, Rezko e i finanziamenti esteri alla sua campagna), sono state smentite in diretta televisiva. Gli strateghi del Gop, evidentemente, pensano che Sarah Palin sia più adatta a occuparsi del “lavoro sporco”, come sta facendo in giro per gli swing-states ormai da qualche giorno. Mentre McCain deve restare “al di sopra” di questa politica dell’attacco negativo nei confronti dell’avversario. È una posizione comprensibile - visto l’inevitabile rischio-boomerang di una condotta del genere - ma poco compatibile con lo stato attuale della corsa.
A parte il vantaggio di Obama nei sondaggi condotti a livello nazionale, che oscilla tra il 2% di Zogby/Reuters e il 9% di Gallup (anche se nelle ultime 48 ore c’è stato qualche segnale sparso di timida ripresa), i democratici nelle ultime settimane hanno consolidato la loro posizione in quasi tutti gli stati in bilico. Conducono ampiamente negli “stati blu” su cui McCain aveva delle mire (Minnesota, Wisconsin, Pennsylvania, Michigan e New Hampshire). In più, il Grand Old Party sta soffrendo molto più del previsto negli stati che - matematicamente - non può permettersi di perdere.
Abbandonato definitivamente l’Iowa, che non è mai stato seriamente alla portata di McCain, parliamo dei tre stati che compongono la western strategy di Obama (New Mexico, Colorado e Nevada), di alcuni stati “sudisti” (o quasi), come Virginia, North Carolina e addirittura Missouri. Senza contare Ohio e Florida, che insieme mettono in palio 47 preziosissimi electoral votes, nei quali McCain - dopo essere stato in vantaggio fino alla metà di settembre - è stato raggiunto e superato da Obama.
Questa “sofferenza” repubblicana che si estende ormai a quasi tutta la mappa elettorale rende sempre più necessario quel “game changer” che molti si aspettavano dal dibattito di martedì. E che non c’è stato. La partita, è vero, è ancora lunga. Ma non abbastanza da consentire al ticket McCain-Palin di restare con le mani in mano, in attesa di un evento esterno capace di cambiare la dinamica della corsa. È arrivato il momento di fare qualcosa, prima che sia troppo tardi.
(domani in edicola su Liberal)
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