martedì 9 marzo 2010

Democrazia

Mentre il sistema politico italiano offre al mondo lo spettacolo penoso della propria decadenza – a colpi di carte bollate, ricorsi e controricorsi, minacce di piazza e strilli bipolari al golpe antidemocratico – c’è un pezzo di mondo che muore. Un pezzo di mondo derubato (davvero) della democrazia e delle libertà fondamentali che dovrebbero essere garantite a ogni essere umano. Ma siamo troppo affascinati dalle querelle su firme, timbri e panini per accorgerci della sua esistenza. E così, mentre l’Onu dei “grandi” e dei dittatori accarezza l’idea di concedere all’Iran di Ahmadinejad un seggio al Consiglio per i diritti umani (dopo averne dato la presidenza alla Libia di Gheddafi), nell’indifferenza generale si è consumato il Summit di Ginevra che ha visto sfilare dissidenti da tutto il mondo, con le loro terribili testimonianze. Studenti, attivisti per i diritti umani e semplici cittadini sono arrivati dalla Cina, dal Tibet, dal Sudan, dalla Corea del Nord, da Cuba, dal Venezuela, dalla Birmania, dall’Indonesia per raccontare le loro storie, la loro disperata ricerca di libertà.

Ma la nostra grassa democrazia, con la pancia piena e le tasche unte, è troppo impegnata a piroettare su se stessa per smettere, fosse anche per un giorno, di interrogarsi sulla trigonometria dei timbri e sull’ermeneutica delle firme. Per uscire, una volta tanto, dal provincialismo auto-referenziale che l’ha ormai colpita a morte. In gioco ci sono questioni serie, come un manipolo di posti di sottogoverno locale e qualche assessorato alla sanità, mica sciocchezze come il diritto ad esistere. E mentre i cittadini iracheni sfidano le bombe dei terroristi per intingere le loro dita nell’inchiostro indelebile della democrazia, la classe politica italiana non riesce neppure a raccogliere qualche migliaio di firme senza cadere nella tentazione della scorciatoia furbetta, del lei-non-sa-chi-potrei-essere-io.

Intanto lunedì a Ginevra ha parlato Yang Jianli, il dissidente che molti ritengono essere “l’uomo col sacchetto” che frenò per qualche minuto – a Piazza Tiananmen – l’avanzata dei carri armati cinesi. Un’icona vivente. Quasi come Alfredo Milioni e il suo panino immaginario.

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