Per descrivere il rapporto tra classe politica italiana e Internet si può soltanto ricorrere a concetti presi in prestito dalla letteratura medica. E in particolare da quella branca specialistica della medicina che si occupa della prevenzione, della cura e della riabilitazione dei disturbi mentali: la psichiatria.
Partiamo dalla schizofrenia.Chi scrive ha ascoltato con le proprie orecchie, dopo le elezioni presidenziali americani del 2008, un numero impressionante di esponenti politici nostrani incensare in modo addirittura eccessivo le sorti “magnifiche e progressive” della rete. I successi obamiani nel fundraising online, la capacità di mobilitazione di strati di popolazione mai coinvolti nelle dinamiche politiche, le potenzialità nella condivisione in tempo reale delle informazioni: tutto, proprio tutto, sembrava precludere a un futuro radioso della politica, alimentato da quella gallina dalle uova d’oro post-moderna che rispondeva (e risponde) al nome di Internet. In realtà, il ruolo svolto dalla rete nel processo politico statunitense era centrale da ormai quasi un decennio. Ed era già esploso alle presidenziali del 2004, quando un manipolo di blog conservatori aveva prima sventato un golpe mediatico della Cbs ai danni di Bush (il cosiddetto “Rathergate”) e poi compromesso definitivamente il nucleo centrale della narrativa alla base della candidatura di Kerry (lo scandalo delle medaglie “immotivate” in Vietnam).
Eppure, gli stessi uomini politici che fino a qualche settimana prima si erano allegramente disinteressati al fenomeno, dopo la sbornia obamista planetaria sono improvvisamente diventati guru dei new media e dei social network politici, pronti ad affrontare le insidie della blogosfera proprio nel momento in cui in fenomeno dei blog iniziava la sua parabola discendente. Misteri dell’ipnosi collettiva.
Ma i casi di schizofrenia non si fermano qui. Un esempio tra i tanti: fino a qualche settimana fa, se un politico italiano aveva meno di diecimila “amici” su Facebook era considerato un paria tra i suoi colleghi. Dopo l’aggressione a Berlusconi in piazza del Duomo – e la proliferazione di pagine a sostegno del lanciatore psicolabile di souvenir – il social network fondato da Mark Zuckerberg è improvvisamente diventato il corrispettivo telematico dell’anti-Cristo. E si sono moltiplicate le voci dei politici che ne chiedevano la chiusura immediata. Soprattutto a nome dei loro diecimila amici su Facebook.
Oltre alla schizofrenia, poi, c’è la paranoia. Come spiegare, altrimenti, il bizzarro decreto legislativo d’attuazione di una direttiva Ue sul quale il governo ha chiesto un parere (non vincolante) al Parlamento? Secondo alcuni, si tratterebbe del tentativo di trasformare Internet in una grande televisione. Secondo altri, la volontà è quella di mettere una zavorra sulle ali delle web-tv per impedire che possano fare troppa concorrenza alla televisione generalista (se nella definizione sia compresa anche YouTube è controverso, e il testo del provvedimento non aiuta a capire). Qualunque sia l’interpretazione più corretta, resta il fatto che l’istinto di “protezione” a cui si è lasciato andare il governo somiglia terribilmente a un “disturbo delirante” basato su un “tema persecutorio non corrispondente alla realtà”. La paranoia, appunto.
Ci sono, infine, i politici che non sono né schizofrenici né paranoici, ma che modulano il loro approccio alla rete seguendo i ritmi della cara, vecchia “ignoranza” (nel senso non-socratico del termine). Questo, però, è tutto un altro discorso.
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