lunedì 22 maggio 2006

Perché la sinistra non ha vinto

In edicola domani, insieme al quotidiano Libero (al ridicolo sovrapprezzo di 2,80 euro), l'ultimo volume della collana "Manuali di Conversazione Politica" a cura di Vittorio Feltri e Renato Brunetta. Di questo libro, che ospita gli interventi (tra gli altri) di Giuliano Cazzola, Angelo Crespi, Davide Giacalone, Oscar Giannino, Andrea Pamparana e Giorgio Stracquadanio, pubblichiamo in anteprima l'introduzione, scritta immediatamente dopo l'elezione di Napolitano alla presidenza della Repubblica. Buona lettura (e buon acquisto, domani in edicola)!

"10 maggio 2006. Giorgio Napolitano diventa Presidente della Repubblica. In quello stesso momento il centro sinistra è venuto meno sia al proprio programma elettorale che alla linea politica fin lì enunciata. In quel programma, difatti, c’era scritto che si voleva alzare il quorum per l’elezione del Capo dello Stato, anzi, si affermava che sarebbe stata la prima cosa da farsi, e, questo, perché era bene che al Quirinale non si arrivasse con i soli voti della maggioranza di governo. Poi, dopo le elezioni, tale concetto è stato ripetuto, senza più riferimento al quorum, ma nei fatti violato. Ed ecco i fatti.

Al momento della partenza ai blocchi della sinistra si è presentato un solo uomo: Massimo D’Alema. Chiedeva di essere eletto presidente della Camera, per poi, da lì, andare al Quirinale. La sua coalizione gli ha detto di no. Sfumata questa ipotesi ha puntato dritto al colle più alto, ma sembrava che ad eleggerlo dovesse essere il centro destra, non il centro sinistra, tant’è che il segretario dei ds, Fassino, lanciava richieste di convergenza all’opposizione, nel mentre divergeva la maggioranza.

La Casa delle Libertà aveva, invece, iniziato con un diverso passo: eleggiamo nuovamente Ciampi. E’ noto che il Presidente uscente aveva già parlato della fine del suo mandato e non voleva trovarsi nella spiacevole condizione di dovere negoziare una ricandidatura. Proprio per questo non si trattava certo di andare contro il suo volere, ma di rivolgergli un appello unitario affinché continuasse nel lavoro avviato (tanto più che una sentenza della Corte Costituzionale era giunta a dargli ragione in un conflitto di poteri da lui sollevato nei confronti del governo, e relativo al potere di grazia). La risposta di Prodi e della sinistra fu gelida: saremmo felici di confermare Ciampi, ma deve chiedercelo lui (questo era il significato del volerne l’esplicita disponibilità). In questo modo hanno bruciato l’ipotesi del secondo settennato e la risposta di Ciampi non si è fatta attendere.

Dato lo stallo, il centro destra ha allora proposto quattro nomi, tutti del centro sinistra, ma considerati di garanzia. Manco li hanno presi in considerazione. Il centro sinistra, invece, ha proposto un solo nome, quello di Giorgio Napolitano, ma non lo ha mai votato (nel timore che i franchi tiratori lo massacrassero nei primi tre scrutini). Se questo è dialogo non sappiamo cosa sia l’incomunicabilità.

E veniamo a Napolitano. Oramai è sufficiente invecchiare per essere iscritti d’ufficio all’albo dei padri della patria. Una volta contava l’intelligenza ed il coraggio, ora si punta tutto sul gerovital. Il piede di Giorgio Napolitano non ha varcato la soglia del Quirinale che già si spandono vagonate di conformismo e quintalate di sciocchezze. Adesso vi presento Napolitano.

E’ stato per lunghi anni responsabile della politica internazionale e della politica industriale del partito comunista italiano (senza offesa, si chiamava così). In quella funzione era direttamente dentro quei flussi di denaro che al pci arrivavano quali tangenti pagate dalle imprese che volevano commerciare con l’Unione Sovietica, dai petrolieri agli industriali. Si dirà: ma questa è roba d’altri tempi. Certo, però, intanto quei tempi lontani sono finiti (forse) ieri, nel 1991, a questo s’aggiunga che il signor Napolitano non ha mai voluto dire una sola parola, neanche per la storia. Di recente ha pubblicato un libro autobiografico (“Dal Pci al socialismo europeo”, Laterza), che è un manuale d’omertà e falsa memoria.

Si dice che sia un grande europeista. No, guardate, l’onorevole Napolitano è quello stesso parlamentare che tenne il discorso con cui i comunisti spiegarono perché non si dovesse entrare nel Sistema Monetario Europeo. Niente Sme, niente Banca Centale, niente euro, niente Unione Europea. Alla faccia dell’europeismo. A quell’epoca marciavano per il disarmo degli occidentali, a favore dei missili nucleari sovietici e per l’eurocomunismo. Non risultano proteste di Napolitano.
Si dice sia un coraggioso socialdemocratico. Nella seconda metà degli anni settanta Napolitano disse di avere “riletto” la Nota Aggiuntiva al Bilancio dello Stato del 1962, e di averci trovato molti spunti interessanti. Ugo La Malfa, autore di quella nota, commentò: non l’ha riletta, l’ha letta per la prima volta. Napolitano era in ritardo di una quindicina d’anni, ma passava per anticipatore dato che i suoi compagni se ne stavano assai più indietro.

Si dice che abbia guardato a Craxi senza odio. Ma a parte il fatto che l’idea di un partito unico della sinistra era di Giorgio Amendola, e risaliva al 1964, degli apprezzamenti di Napolitano non c’è traccia nella battaglia referendaria (persa dai comunisti) contro la scala mobile, né ricordo parole interessanti quando era presidente della Camera ed il giustizialismo mieteva vittime in Aula. Fu lui a ricevere la lettera dell’onorevole Moroni, e non ricordo alcun coraggio, alcuna fierezza, alcun senso delle istituzioni.

E’ un mite, certo non è un estremista. Ha doti di equilibrio, che spesso esercita restando del tutto fermo. Di davvero significativo, nella sua biografia, non ha trovato molto neppure lui stesso. Ma basta essere vecchi, non avere avuto momenti significativi, di altezza, di rottura, aver seguito la corrente, non rappresentare, nel presente, né un pericolo né un’opportunità, che l’accademia degli inutili ti chiama alla presidenza.

Prima dell’elezione di Napolitano la sinistra aveva già eletto la seconda e la terza carica dello Stato, i presidenti delle Camere, piazzando al Senato Marini ed alla Camera Bertinotti. Quest’ultimo dice di essere comunista, è stato eletto essendo segretario del Partito della Rifondazione Comunista, giuriamo di non essere noi ad avere le allucinazione, giuriamo che lo scriviamo senza volere offendere, ma, insomma, la sostanza è questa: i comunisti occupano la prima e la terza carica dello Stato. Il resto son chiacchiere.

Con Marini e Bertinotti, inoltre, sono giunti al potere i sindacati, roba che se i laburisti ci avessero provato, in Inghilterra, se ne sarebbero rimasti minoranza per il resto dei loro giorni. Il primo fu sindacalista nella cisl, il secondo nella cgil, tutti e due nati nel professionismo politico. Basta questo per capire che la distribuzione degli incarichi istituzionali non è una foto dell’Italia d’oggi, ma un dagherrotipo di quella del secolo scorso. Dunque, nell’Italia dove i sindacati rappresentano sempre meno i lavoratori e sempre più una minoranza di pensionati, nel mentre i sindacati stessi sono strutturati per negoziare contratti che riguardano una minoranza decrescente di lavoratori, nel mentre le sfide che ci attendono riguardano la dimensione globale del mercato, si prendono due sindacalisti e li si promuove a statisti. In quelle condizioni può finalmente nascere il governo di Romano Prodi, vale a dire del più longevo esponente dell’industria di Stato, che ha lungamente e ripetutamente diretto, sempre in rappresentanza della democrazia cristiana. Due figli del mondo sindacale si muoveranno per tutelare l’ascesa di un figlio dello statalismo, il tutto sotto la supervisione del ministro egli affari esteri comunisti. Qualcuno, per cortesia, svegli l’Italia, brutta addormentata, da quest’incubo del passato che non passa mai.

Qualcuno scrive che anche il centro destra, quando fu maggioranza, non divise le cariche istituzionali con l’opposizione. Lo si scrive a vanvera. Il centro destra votò, quale Presidente della repubblica, Carlo Azelio Ciampi, che era, in quel momento, ministro del tesoro nel governo di Massimo D’Alema. E Ciampi ha accompagnato tutta intera la legislatura a maggioranza di centro destra, facendosi sia sentire che valere. Quindi non c’è stata mai, neanche per un solo istante, quell’occupazione dello Stato, quella appropriazione di tutte le cariche di cui oggi la sinistra si rende protagonista.

Non bastasse questo, sarà bene ricordare che per la scelta (legittima ieri come oggi) di assegnare la presidenza delle Camere ad esponenti della maggioranza, la sinistra attaccò duramente il centro destra, ricordando la diversa condotta che aveva portato, in passato, prima Pietro Ingrao e poi Nilde Jotti ad essere presidenti della Camera dei Deputati, senza che vi fosse una maggioranza comunista (erano comunisti, senza offesa).

Di più, fin dalla nascita della Repubblica il governo è stato retto da una coalizione di diseguali, ruotante attorno alla Democrazia Cristiana, il che ecludeva potesse esserci una uniformità d’interessi politici fra le prime tre cariche dello Stato, e non è un caso, del resto, che il Quirinale sia toccato anche alle minoranze politiche. Dal che deriva che il 10 maggio 2006 si è imboccata una strada sconosciuta, si è realizzata un’inedita concentrazione di potere, si è adottata una condotta che non potrà essere modificata.

Il risultato elettorale è stato un pareggio, a seguito del quale una parte ha preso tutto per sé. Tutto si è irrigidito, ed il guaio delle cose rigide è che, sotto pressione, si spezzano".

da "Perché la sinistra non ha vinto. Dal pareggio elettorale all’occupazione delle istituzioni", a cura di Vittorio Feltri e Renato Brunetta

Nessun commento: