L’ex brigatista rossa Marina Petrella sarà (finalmente) estradata in Italia. Ma il presidente francese Nicolas Sarkozy, nel darne notizia a margine del summit giapponese del G8, annuncia anche di aver avanzato una singolare richiesta al nostro Paese. «Ho chiesto al presidente del Consiglio italiano di sollecitare il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, a concederle la grazia - dice Sarkozy - tenuto conto del fatto che la condanna risale a molti anni fa e tenuto conto della situazione psicologica e di salute di Petrella». L’ex terrorista - condannata nel ’92 per l’omicidio di un commissario di Polizia (oltre che per tentato sequestro e tentato omicidio, sequestro di un magistrato, rapina a mano armata e attentati in ordine sparso) - si trova attualmente in isolamento nell’ospedale psichiatrico Paul-Guiraud de Villejuif, a due passi da Parigi. A giudicare da quello che ha detto, però, forse anche Monsieur Sarkò avrebbe bisogno di qualche seduta di controllo dallo “strizzacervelli”.
La sua richiesta di grazia, infatti, è davvero poco ortodossa e denuncia, nella migliore delle ipotesi, una grave ignoranza in materia di procedure e protocolli. Perché chiedere l’intercessione di Silvio Berlusconi, quando il potere di grazia è prerogativa esclusiva del Quirinale? Quanto influiscono, sull’atteggiamento dell’Eliseo, le posizioni di chi in Francia si oppone da sempre all’abbandono della cosiddetta “dottrina Mitterand”? E che impatto hanno avuto le proteste della corrente di sinistra dei magistrati francesi che, nei giorni dell’arresto della Petrella, avevano parlato di «vendetta di Stato con trent’anni di ritardo»? Sarkozy non può pensare di “farsi bello” agli occhi della sua sinistra a spese dell’Italia. E almeno il rispetto dovuto ai familiari delle vittime del terrorismo dovrebbe consigliare al presidente francese di evitare queste sceneggiate.
Anche perché - è bene ricordarlo - stiamo parlando di un personaggio condannato all’ergastolo nel 1992 per delitti commessi nel 1981 (speedy trial?), che non ha mai manifestato il minimo accenno di pentimento. Fino all’agosto del 2007, Marina Petrella viveva tranquillamente in Francia, dove si era rifatta una vita senza mai degnarsi di fare i conti con il proprio passato. Non fosse stato per un banale controllo delle forze dell’ordine francesi, l’ex brigatista non sarebbe mai stata arrestata. E le sue «condizioni psicologiche» sarebbero rimaste, presumibilmente, ottime.
In uno dei tanti siti Internet che, anche a tanti anni di distanza, non nascondono il proprio istinto di fiancheggiamento per le Brigate Rosse, vecchie e nuove, si legge che l’unica colpa della Petrella sarebbe quella di aver partecipato «al largo movimento di rivolta anticapitalista che ha visto decine di migliaia di giovani militanti impegnarsi politicamente, la cui rivolta spesso è arrivata sino alla “critica delle armi”». Sarkozy farebbe bene a ricordare che, in uno Stato di diritto, sparare alle spalle di un poliziotto non può essere considerato un libero esercizio di critica sociale. In uno Stato di diritto, le responsabilità penali sono personali e gli individui devono affrontare le conseguenze delle proprie azioni. Nel caso della Petrella, queste conseguenze si chiamano ergastolo.
(domani su Liberal quotidiano)
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