lunedì 2 aprile 2007

Tre scenari per il 2008

Un articolo di Michael Barone pubblicato oggi su Real Clear Politics esplora tre possibili scenari per la corsa alla Casa Bianca. Cerchiamo di ripercorrere il suo ragionamento.

1) The Blair Scenario.
Come i conservatori britannici all'inizio degli anni Novanta, il GOP precipita in una spirale negativa nella percezione dell'opinione pubblica sulla competenza della sua classe dirigente: la percentuale democratica nella party identification cresce a dismisura (secondo Pew, oggi i democratici sono in vantaggio 50%-35% contro il 43%-43% del 2002).

Scenario. I democratici allargano nettamente le proprie maggioranze alla Camera e al Senato e conquistano la Casa Bianca vincendo in almeno 40 stati.

Contro-scenario. I laburisti britannici vinsero soltanto per la capacità blairiana di costruire un New Labor, operazione che riuscì a Bill Clinton nel 1992 ma che i democratici di oggi non sembrano assolutamente in grado di ripetere.

2) The Ike Scenario.
Nel 1952 gli Stati Uniti erano coinvoli in un conflitto (in Corea) 10 volte più sanguinoso di quello iracheno da cui il presidente in carica non poteva uscire. Emerge un candidato con una storia consolidata di decisionismo in tempo di guerra, Dwight Eisenhower, che strappa la candidatura del GOP a Mr. Republican in persona (Robert Taft) e batte l'avversario (Adlai Stevenson, la fresh face dell'Illinois) malgrado l'enorme vantaggio democratico nella party identification. Sia Rudy Giuliani che John McCain hanno - con tutte le limitazioni del caso - un'esperienza di vita paragonabile a quella di Eisenhower. E Obama ricorda troppo da vicino Stevenson (Illinois compreso). Sia lui, che la Clinton ed Edwards, nei sondaggi sono sempre sotto a Giuliani (e qualche volta anche a McCain).

Scenario. I Repubblicani portano Giuliani o McCain alla Casa Bianca, riconquistando di misura la Camera e il Senato.

Contro-scenario. Giuliani e McCain non sono Eisenhower. E sono più identificati con la "guerra di Bush" di quanto Ike non lo fosse con la guerra di Truman.

3) The Perot Scenario.
Nel febbraio del 1993, il miliardario texano Ross Perot annuncia la sua candidatura. Perot riesce ad auto-finanziarsi tutta la campagna elettorale e il suo appello per le "riforme" riesce ad attrarre un grande numero di cittadini indispettiti dalla piega litigiosa presa dal bipartitismo americano. Nel 2008, il sindaco di New York, Michael Bloomberg, potrebbe tentare di ripercorrere la stessa strada (qualcuno dice che ci stia pensando). Guadagnando 500 milioni di dollari all'anno, potrebbe permetterselo.

Scenario. Anche oggi ci sono molti elettori stanchi delle alleanze politiche che dominano il paese da decenni. E una "terza candidatura" potrebbe provocare un terremoto politico dagli esiti sconosciuti.

Contro-scenario. Una candidatura Bloomberg sarebbe appetibile soltanto nel caso in cui i due maggiori partiti nominassero candidati appartenenti alle loro ali più estreme. Almeno nel caso del GOP, questo non sembra affatto probabile.

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Per chi conosce l'inglese e si interessa di politica americana, naturalmente, la lettura integrale dell'articolo di Michael Barone è obbligatoria. Rispetto alla sua analisi, noi ci limitiamo ad aggiungere che il terzo scenario (la candidatura di Bloomberg) ci sembra estremamente improbabile. Mentre una sua variante, molto più simile a quello che Perot fece realmente nel 1992 - e in parte anche nel 1996 - ci sembra leggermente meno remota. Se Giuliani o McCain vincessero le primarie repubblicane, l'ala più estrema dei social conservatives potrebbe decidere di disinteressarsi al processo elettorale, oppure scegliere di presentare una candidatura di bandiera, non in grado di scalfire i rapporti di forze consolidati del bipartitismo americano ma più che sufficiente per consegnare la Casa Bianca ai democratici senza troppi sforzi (esattamente come accadde nel 1992).

Tra i primi due scenari, invece, che sono entrambi probabili, noi scegliamo - con la testa, ma soprattutto con il cuore - il secondo. Come spiega Barone, però, siamo in un periodo di open-field politics. E tutto, ma proprio tutto, può ancora accadere.

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