Domani su Liberal quotidiano
Walter Veltroni, a sorpresa, non c’è. Eppure l’elenco di “leader politici esteri” che hanno fatto un endorsement a favore di Barack Obama, pubblicato da Wikipedia, è piuttosto corposo. C’è Ségolène Royal, candidata sconfitta all’Eliseo, ma anche l’ex primo ministro francese Laurent Fabius. E poi il sindaco di Parigi, Bertrand Delanoë; il primo ministro svedese Fredrik Reinfeldt; il (discusso) membro del parlamento britannico, George Galloway; il vice primo ministro (e ministro delle Finanze) olandese Wouter Bos; il leader del Liberal Party canadese, Michael Ignatieff. Di italiani, neppure l’ombra. Strano, perché è proprio nel nostro Paese che le agguerrite tribù dell’Obamismo hanno trovato il terreno più fertile per la propria espansione.
Veltronian-kennediani
In cima alla lista, naturalmente, ci sono quelli che - sulla scia dell’ex sindaco di Roma (e candidato, sconfitto anche lui, alla presidenza del Consiglio) - vedono in Obama la reincarnazione di quella mistica kennediana che ha nutrito, per decenni, le anime di una gran parte delle sinistre “moderate” europee. Quelli, per intenderci, a cui non interessa troppo che il senatore dell’Illinois possa diventare il primo presidente “nero” degli Stati Uniti, ma che restano affascinati soprattutto dalla sua potenza retorica, dalla sua capacità di ammaliare le folle, dal fatto che è giovane, bello e gonfio di carisma. Sono gli stessi che hanno creduto ciecamente nella “favoletta” kennediana che ci è stata propinata per anni, secondo la quale John Fitzgerald Kennedy non aveva vinto le elezioni del 1960 soltanto grazie ai brogli del sindaco di Chicago, non aveva nessun rapporto con la mafia, non aveva rischiato di scatenare un conflitto nucleare con l’Urss durante la crisi missilistica cubana, non aveva aumentato il numero di soldati americani in Vietnam da 800 a 16.300. Per la tribù veltronian-kennediana, insomma, Obama - proprio come JFK - è una sorta di erede di Madre Teresa di Calcutta, solo un pizzico più sexy. Ai margini di questa tribù, in una capanna un po’ isolata dal centro del villaggio, vive Furio Colombo. Anche lui considera Barack l’erede di un Kennedy, ma non John F. - per gli amici Jack - bensì Ted, l’esponente più imbarazzante di questa imbarazzante dinastia a stelle e strisce.
Black Panthers
C’è poi una tribù - che abita soprattutto dalle parti di Liberazione, del Manifesto e di quella che fu la Sinistra arcobaleno - che vede in Obama l’erede spirituale di Angela Davis, la leader comunista delle Black Panthers che all’inizio degli Anni Settanta fu arrestata per l’omicidio del giudice Harold Haley (poi prosciolta per insufficienza di prove, malgrado fosse la proprietaria dell’arma del delitto) e oggi insegna “Storia della coscienza” all’Università della California e si batte per l’abolizione dei carceri. Obama, secondo questi nostalgici delle rivolte nei ghetti, darà voce all’Altra America, quella dei neri e dei diseredati, che il gigantesco complotto del “complesso militare e capitalistico” (probabilmente manovrato dalla finanza giudea) ha sempre schiacchiato senza pietà. Quell’America, insomma, che potrebbe finalmente ripresentarsi all’appuntamento con la Storia. Per essere, con ogni probabilità, travolta dall’elettorato come è sempre accaduto in passato. I rapporti tra la moglie di Barack, Michelle, con personaggi del calibro di Farrakhan, “ministro supremo” della Nation of Islam, regalano alla tribù delle Pantere Nere qualche prova a sostegno della loro distorta utopia.
MLK Nostalgia
Una versione “light” delle Pantere Nere, è rappresentata da chi vede in Obama una parafrasi moderna del “sogno” di Martin Luther King. Condita da quella massiccia dose di pacifismo che tanto va di moda tra gli anti-americani che si professano filo-americani. Le scivolate (vere o presunte) di Obama verso l’appeasement nei confronti delle dittature nemiche degli Usa, la sua opposizione nei confronti della guerra in Iraq, la sua “visione” di riconciliazione nazionale, la sua promessa di cambiare drasticamente l’approccio unilateralista (vero o presunto) seguito dall’amministrazione Bush: sono questi i sogni che, con Obama insediato alla Casa Bianca, potrebbero presto trasformarsi in incubi.
Obamisti generici
L’ultima tribù degli Obamisti italiani (ed europei) è quella, più generica, degli anti-repubblicani ad ogni costo. Per loro fa poca differenza se a sfidare John McCain - o qualsiasi altro candidato del Grand Old Party - sia Obama, Hillary, Edwards o Paperinik. L’importante è mettere un freno alla minaccia (guerrafondaia, bigotta e un po’ fascista) rappresentata dai repubblicani. In nome della superiorità morale dell’America democratica. Questi reduci della sconfitta di Kerry nel 2004 continuano la loro battaglia di retroguardia anche nel 2008. Secondo i sondaggi, in Europa sono la maggioranza schiacciante della popolazione. A decidere il prossimo inquilino della Casa Bianca, però, per fortuna saranno gli americani.
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