Pubblichiamo oggi la prima puntata (su due) di un lungo apologo profetico/distopico scritto per The Right Nation da Mario Accolti Gil, giornalista ed ex caporedattore del Giornale Radio Rai. Uno squardo, divertito ma mortalmente serio, sul futuro che potrebbe attenderci. Appuntamento a domani per la seconda puntata.
Apologo Profetico
di Mario Accolti Gil
(che si augura di sbagliare)
La caduta del muro di Berlino non portò alla fine della storia. Ma quella delle Torri gemelle sta, se Dio vuole, portando alla fine di tutto ciò che la storia ha prodotto. Nell’Europonte che un tempo si chiamava Italia le prime concrete promettenti avvisaglie si registrarono, come si sa, nell’Età dei Prodi. Così detti per aver fatto il primo coraggioso passo, ce ne furono due, entrambi deposti dopo pochi mesi dall’Emiro Massimo di Gallipoli, l’astuto, ma non senza aver lasciato la loro decisiva impronta, che fu opera soprattutto del Secondo.
Fu in occasione di quella congiura di palazzo che l’unno Kossigah, complimentandosi per la riuscita macchinazione, lui che poteva vantarsi di non aver mai lasciato un filo d’erba dov’era passato col suo piccone, disse ammirato al suo sodale: “Certo che sei proprio un gran figlio d’Ulema”. E fu quella un’investitura.
Per fortuna e per volontà di Dio (c’è chi arriva a sostenere che quello di Prodi non fosse un soprannome guadagnato con le molteplici benemerenze ma un nome profetico: Prodi sono infatti quelli che si assumono lo Sforzo. Non risulta tuttavia che né il I né il II Prodi si siano mai convertiti, né del resto la disgrazia in cui caddero può in alcun modo paragonarsi al sacrificio supremo che affrontano i martiri della Jihad), per fortuna e volontà di Dio, dicevamo, i litigiosi condomini di quella che empiamente osavano chiamare Casa delle libertà non seppero opporsi a un disegno che peraltro fu per quanto possibile abilmente dissimulato.
Pochi infatti avrebbero saputo per esempio trovare il nesso che oggi a noi appare evidente fra la fioritura delle moschee finanziate dallo Stato italiano coi soldi provenienti dagli aggravi fiscali imposti agli istituti religiosi cattolici e la chiusura dei centri d’accoglienza degli immigrati, fermamente voluta da quelli che, orfani del marxismo, si eran fatti discepoli del secondo grande alfiere dopo Marx del fondamentalismo antioccidentale, l’ayatollah Khomeini, Dio l’abbia in pace, e mutaron perciò giusto un poco il loro nome in Khomunisti, o fra l’introduzione dell’eutanasia e la soluzione del problema del gravoso invecchiamento della popolazione, o ancora fra il riconoscimento delle coppie di fatto concesso ai non musulmani e quello, immediatamente successivo, della famiglia di fatto musulmana, poligamica. Grazie ai pacs infatti il matrimonio, eccezion fatta per una pervicace minoranza di cattolici integralisti che continuarono a ritenerlo vincolante, si trasformò definitivamente in un contratto a termine che si poteva agevolmente rescindere. Fu quello, come si sa, il primo memorabile caso di estensione della Sharia agli infedeli, che peraltro trovarono a quel punto più pratico usare solo i pacs, i quali offrivano il vantaggio di far godere a tutti dei diritti di una coppia sposata senza le conseguenti gravose responsabilità. “Cococò, cococò – cantavano infatti quegli spensierati irridendo i bigotti all’uscita delle chiese – a sposarvi siete proprio dei polli…” Cococò divenne ad un tempo il loro grido di battaglia e la formula usata sia per avviare che per sciogliere un pacs. E cococò del matrimonio finirono per definirsi.
Ma soprattutto nessuno dei nostri nemici, servi del Diavolo ma, per grazia di Dio, tutt’altro che diabolici, capì che con l’ingresso della Turchia, ma non d’Israele, nell’Unione europea si sarebbero gettate le basi di quella che oggi per non preoccupare troppo gli Americani è detta nei documenti ufficiali Eurasia, ma che comunemente chiamiamo Asia Minore, per distinguerla da quella propriamente detta che si affaccia su tutto il Mediterraneo, mare nostro infine, di noi fedeli, con la sola preziosa eccezione dell’Europonte italiano. E’ del resto da un bel pezzo che Gibilterra ha perduto il suo ridicolo nome, frutto di un malinteso degli infedeli (altro non significava infatti che Terra-terra: tanto poco ci s’intendeva nel Medio evo, checché abbiano sostenuto gli islamologi nostri amici e ammiratori come Franco Cardini) per riassumere quello glorioso di Gebel El Tariq.Naturalmente il disegno del II dei Prodi e dei suoi più fedeli alleati, i Khomunisti e i Verdi (una intraprendente setta che non a caso aveva fatto suo il colore caro all’Islam, di cui condivideva l’attitudine fondamentalista) si fondava, oltre che sulla lungimirante azione diplomatica del suo visir, l’astuto Gran Figlio d’Ulema che poi, come sappiamo, lo depose, su chiare e solide basi economiche. I Valori infatti, si sa, contano: quelli della Borsa. Il sistema economico-sociale inaugurato nell’Età dei Prodi è a grandi linee quello vigente tuttora. Esso si basò alle origini sugli Intraprendenti e sui Fissi. Dei primi facevano parte quanti, immigrati e figli di immigrati come pure nativi e figli dei nativi, erano destinati a costituire quella forza-lavoro finalmente dinamica, fantasiosa, sempre mobile e spesso esuberante (si sa come son fatti i giovani; ma presto divennero esuberanti anche i vecchi) che non gravava sugli imprenditori, cosa che ne avrebbe tarpato l’iniziativa, ma sulle spalle dei Fissi, che in cambio di una meschina sicurezza del posto di lavoro da essi ritenuta indispensabile fondamento della stabilità familiare, si accollarono i costi di quella che fu detta la Grande Ristrutturazione.
Gli Intraprendenti o Volonterosi, quando non lavoravano a tempo determinato nelle aziende o in nero, se appunto di colore, nell’edilizia, nelle campagne, nella ristorazione e in tutto ciò che insomma costituisce il terziario arretrato, mettevano su, se nativi, ristorantini, discoteche e mercatini chiamati ufficialmente cooperative culturali. Ma familiarmente si parlava di bancarellari della cultura perché finalmente s’era riconosciuto che il cibo, i rave e le carabattole specialmente se etniche erano a pieno titolo cultura. I più socievoli si riunivano in centri detti appunto sociali, dove tutte queste attività, insieme ad altre più fisiche come gli scontri con la polizia o l’assunzione di droga, potevano essere praticate col sostegno pubblico, in santa pace. E perciò si proclamavano pacifisti. I più solitari di carattere andavano invece a vivere in campagna dove vendevano agli ospiti dei loro agriturismi i ricercatissimi prodotti di scarto acquistati al mercato del paese vicino. Tale agricoltura fu detta biologica perché dava loro da vivere. Quanti, i più fortunati, si ritenevano artisticamente o anche solo sessualmente dotati, virtuosi del virtuale, si esibivano in ben remunerati Reality (e scusate l’ossimoro, ma quelli erano i tempi). I Volonterosi propriamente detti erano però quelli che si dedicavano al cosiddetto volontariato, un tipo di attività economica esentasse che consisteva nel raccogliere fondi dalle persone di buona volontà. Estrema sottospecie dei Volonterosi erano quelli che svolgevano i cosiddetti Lavori Socialmente Inutili.
Grande sviluppo ebbe anche un’altra categoria di Volonterosi, che peraltro si confondeva talora con quella dei Fissi: erano gli psicologi, i sociologi, gli assistenti sociali, i mediatori culturali, i tenutari di centri addetti al recupero di drogati e delinquenti, insomma i mille e mille operatori del sociale che poterono espandersi grazie a un’oculata politica che si guardò bene dal prendere di petto droga, delinquenza, giustizia, immigrazione ed emarginazione, mali questi che a saperli gestire si rivelarono un’autentica risorsa. I writers per esempio eran gente spesso attempatella, presuntuosa e senza talento che non aveva niente di meglio da fare se non, come con la piscia fanno i cani, segnare il territorio in sfregio ai borghesi. Gente che firmava i propri oltraggiosi sgorbi e si riuniva in convegni. Sarebbe bastato prenderli per la collottola e fargli sbattere il muso sui loro scempi. Ma facevano campare i sociologi che parlavano di disagio giovanile, i critici che parlavano di arte metropolitana e non ultime le imprese di pulizie amiche dei sindaci. I più illuminati dei quali arrivarono a istituire dei concorsi a premi dopo che altri di più basso profilo avevano tentato ovviamente senza successo di mettere loro a disposizione appositi spazi dove sbizzarrirsi.I Fissi, così detti perché a reddito fisso, si dividevano anche loro in due sottospecie: quelli di sinistra e quelli di destra. Costoro erano anche detti, con appena un tocco di pronuncia nasale che riusciva particolarmente bene a quelli di sinistra, che avevano la puzza al naso, Fessi. Lavoravano infatti, neanche fossero vissuti nei due secoli precedenti. I veri Fissi invece, consapevoli di essere ben superiori alle mansioni per le quali erano stati assunti e ne venivano retribuiti, si dedicavano a più creative attività, chi negli stessi uffici (i bibliotecari comunali per esempio non si curavano dei libri ma organizzavano gratificanti convegni e concorsi letterari), chi fuori con regolare incarico, chi con mandato sindacale, chi liberamente appoggiandosi alle iniziative degli Intraprendenti. In tal caso si parlava di Operatori Culturali Decentrati Sul Territorio. Tutto ciò naturalmente avveniva col beneplacito e l’incoraggiamento delle amministrazioni pubbliche da cui dipendevano, le quali provvedevano ad affidare le mansioni disertate ad altri affidabili Intraprendenti, detti Precari. Per costoro vedersi riconosciuta la qualifica di Precario costituiva già una premessa e una promessa, che consentiva di sentirsi non più tali.
Un siffatto sistema, che ai Destri pareva iniquo e macchinoso (non sarebbe stato più semplice – dicevano – un lavoro regolarmente retribuito e altrettanto regolarmente tassato?), era in realtà di grande stimolo all’iniziativa privata. I più Intraprendenti infatti potevano avvalersi della collaborazione dei meno, specie se di colore, senza doversi accollare oneri fiscali né instaurare rapporti di lavoro troppo impegnativi. Il che consentiva agli imprenditori di restare competitivi senza sprecare energie in aleatorie ricerche di nuove tecnologie, per le quali peraltro mancavano giovani disposti, essendo il giornalismo l’unica semiprofessione cui ambivano le nuove generazioni di nativi. Tutti volevano comunicare. Chissà poi che cosa. Per chi invece imprenditore non era, ma piccolo Intraprendente, il sistema offriva la possibilità di una vita avventurosa purché sapesse avvalersi degli Intraprendenti più piccoli di lui. Era insomma finalmente una società competitiva quale il deprecato regime fascista nel suo fulmineo ventennio e quello democristiano nel suo lungo estenuato quasi mezzo secolo di vita non s’erano mai neppure provati a stimolare.
Per far sembrare astutamente che ci si metteva al passo con l’Occidente quando invece si stava costruendo una società orientale i Prodi e i loro alleati si dichiaravano, pur mentre i loro partiti avevano tutt’altri nomi, liberali. In realtà, dando allo Stato e cioè alla classe politica il potere di accentrare tutto il gettito fiscale e di ridistribuirlo a piacimento, si perfezionava rendendolo più libero e snello l’antico sistema sovietico all’italiana. E infatti le liberalizzazioni presero a modello quelle russe. Vuoi mettere al contrario la pericolosità di una classe imprenditoriale e di una società tutta che produce, si consente i lussi che si può consentire, si accolla gli oneri che si deve accollare, paga le sue tasse e può chiedere conto di come siano impiegate? Una società così conservatrice mai si sarebbe aperta al nuovo che veniva dall’Oriente.
Oggi invece grazie ai Prodi, ai Khomunisti, ai Verdi e ai Liberal loro compagni di merende (si dicevano Liberal per sottolineare che non erano liberali fino in fondo) possiamo dire che Roma non ha nulla da invidiare alle altre città orientali, se non i grattacieli. La globalizzazione infatti (e in particolare quella del mercato del lavoro) ha fatto sì che in breve tempo la vecchia società occidentale si rimodellasse sulla nostra, che si articola, come sapete, essenzialmente su tre ceti: i veri ricchi che viaggiano su Rolls Royce dalla calandra d’oro o su bianche lunghissime limousine, un ceto medio reso, come abbiamo spiegato sopra, finalmente tanto intraprendente e dinamico da rischiare di diventare esuberante (ma in tal caso lo si punisce) e torme di mendicanti di ogni genere, da quelli storpiati nell’infanzia da genitori previdenti ai musicanti che proprio sotto il Secondo Prodi furono riconosciuti e retribuiti come artisti di strada, a quelli organizzati in centri sociali, alle grandi comunità di nomadi stanziali e ai piccoli gruppi spontanei che integravano, le une e gli altri, i proventi della mendicità con lo spaccio di droga e il furto.
Fu appunto nell’Età dei Prodi che la mendicità cominciò a diventare una struttura portante del sistema sociale e che la sua pratica fu riconosciuta, incoraggiata e debitamente sovvenzionata. Fino alla metà del Novecento infatti in Occidente la mendicità (che era stata di massa alle origini del capitalismo e poi solo in occasione di crisi epocali come quella del Ventinove) con lo stabilizzarsi del sistema era divenuta appannaggio – zingari a parte – di una minoranza di persone che i casi, a volte traumatici, della vita avevano sospinto ai margini della società. Stupiva quando fossero giovani, commuoveva quand’erano bambini. Oggi invece non è soltanto, con la prostituzione (altro lavoro flessibile), una delle principali attività economiche organizzate nei paesi d’origine dagli stessi emigranti: milioni di giovani nativi si dedicano alla mendicità in quello che un tempo era l’Occidente con impegno e con ingegno. Per essi è una scelta di vita, di uomini liberi e furbi, alternativi al lavoro, che rivendicano il diritto di essere mantenuti dai Fessi di cui sopra. E’ forse il caso di sottolineare che anche questa è una vittoria della Sharia, essendo l’elemosina ai fratelli poveri uno dei cinque pilastri della nostra fede e quindi uno dei fondamenti della società islamica.
Il merito della Santa Grande Ristrutturazione fin qui descritta fu della classe dirigente quale si venne appunto configurando nell’Età dei Prodi. Se oggi infatti i suoi componenti vengono tutti comunemente chiamati Onorevoli non è solo per la nostra proverbiale gentile e ossequiosa consuetudine orientale, ma perché quell’epoca felice e benemerita avviò la progressiva fusione fra imprenditori e politici che vediamo realizzata anche in Asia Minore, ispirata al modello islamico irradiato dall’Arabia Saudita. I primi, di destra o di sinistra che fossero, si fecero politici scendendo in campo i più audaci apertamente, i più cauti provvedendo alle salmerie. I secondi, a lor volta, in particolare quelli di sinistra, si fecero imprenditori diventando in via riservata soci beneficiari di imprenditori amici, ovvero trasformando il proprio partito in impresa o quanto meno in lobby. Nacquero allora, per iniziativa di alcuni geniali Intraprendenti ch’erano riusciti a farsi una fama mediatica da un palazzo di giustizia o da una Cage aux folles, persino partiti ch’erano piccole imprese familiari se non personali. Ulteriore riprova che la sinistra sapeva stimolare l’inventiva e l’iniziativa privata, almeno al suo interno.
La Santa Grande Ristrutturazione da essi condotta con ariosa duttilità e ferma determinazione consistette nel rendere via via sempre più garantiti i precari sulla cui volonterosità e giovanile esuberanza si poteva fare affidamento e nel rendere invece via via sempre più precaria l’esistenza dei conservatori attaccati al reddito fesso. Due furono le mosse più significative e gravide di insegnamenti fruttuosi: l’introduzione del salario di cittadinanza, che dava a tutti per il solo fatto di essere nati o approdati in Italia un mensile solo di qualche euro inferiore allo stipendio di un onesto funzionario pubblico (dove naturalmente onesto sta per fesso) e di gran lunga superiore a buona parte delle pensioni; e una sempre più pesante tassazione delle eredità, che nel giro di un paio di generazioni consentì allo Stato di incamerare l’intero patrimonio dei ceti medi. Per non dire del trattamento di fine rapporto, divenuto con la sua riforma un vero e proprio modo di liquidare i pensionati.
di Mario Accolti Gil
(1/continua)
Nessun commento:
Posta un commento