RightNation
martedì 23 febbraio 2010
Road-map per un miracolo
Larry Silverbud su Il Foglio di oggi
Se appena un mese fa un analista politico americano avesse ipotizzato la possibile riconquista del Congresso da parte del GOP alle prossime elezioni di mid-term, lo sventurato sarebbe stato costretto a cambiare mestiere, inseguito dalle risate di scherno dei colleghi. Poi, però, è arrivata la vittoria di Scott Brown in Massachusetts. Ed è cambiato tutto. Lo swing di consensi a favore dei repubblicani nel Bay State tra il novembre 2008 (Obama +26%) e il gennaio 2010 (Brown +5%) è stato di 31 punti percentuali: qualcosa di gigantesco, oltre che di inaspettato.
Martedì 2 novembre 2010, gli americani voteranno per rinnovare tutti i 435 seggi della Camera, 36 dei 100 seggi del Senato e 37 governatori su 50. Un test elettorale importante, non solo per valutare la tenuta dell’amministrazione Obama a metà mandato, ma anche per delineare gli equilibri politici futuri della politica statunitense. E se, fino a poche settimane fa, i democratici puntavano a consolidare – magari rendendola permanente – la “maggioranza strutturale” ottenuta sulla scia dell’elezione del primo presidente nero, oggi i repubblicani possono permettersi di sognare una clamorosa rivincita.
LA RICONQUISTA DELLA CAMERA
Basterebbe un’onda “rossa” molto più contenuta di quella che ha travolto il Massachusetts per riportare nella colonna del GOP quei 48 distretti della Camera che, nel 2008, hanno eletto un congressman democratico ma hanno votato per John McCain alle elezioni presidenziali. E i repubblicani potrebbero accontentarsi di vincere nell’83% di quei collegi per riconquistare il controllo della Camera. La vittoria di Brown nel collegio storico della Dinastia Kennedy, poi, ha già spinto un buon numero di potenziali candidati repubblicani - che erano rimasti nell’ombra in attesa degli eventi – ad annunciare la loro volontà di correre nei distretti più deboli controllati dei democratici, come quelli dei blue dog del Sud, colpiti duramente dall’Obamacare nel già complicato rapporto con la propria constituency.
La riconquista della Camera (oggi i Dems possono contare su 258 seggi contro i 178 del GOP) sembra insomma possibile. Sempre, naturalmente, che l’attuale clima politico di rivolta anti-statalista sia in grado di resistere fino a novembre. A rischio, per i democratici, sono soprattutto distretti conservatori della Bible Belt (Alabama 2, Arkansas 1, Louisiana 3, Mississippi 1, Tennessee 6 e 8), ma anche alcuni distretti dell’Ovest (Colorado 4, Idaho 1, Kansas 3, New Mexico 2) e di purple states che nel 2008 hanno votato per Obama (Florida 8, Michigan 7, Ohio 1 e 15, Pennsylvania 7 e 12, Virginia 5). A completare il quadro di una potenziale disfatta, poi, ci sono un pugno di distretti in bilico in stati con una consolidata tradizione democratica (Maryland 1 e Washington 3 sono solo un paio di esempi).
Secondo il Cook Political Report, dei 50 distretti più in bilico della Camera, 40 sono attualmente controllati dai democratici. Mentre la Crystal Ball di Larry Sabato attualmente prevede 27 pick up per il GOP, una cifra che porterebbe la maggioranza democratica alla Camera da un rinfrescante +80 a uno striminzito +26. Il “ribaltone” è tutt’altro che scontato, insomma, ma ormai quasi tutti scommettono su un guadagno consistente di seggi alla Camera per i repubblicani.
GOVERNATORI IN SALDO
Oltre che alla Camera, il GOP sembra avviarsi verso un buon risultato anche nelle corse alle poltrone di governatore, in cui al momento i democratici sono in vantaggio 26 a 24 (dopo le vittorie repubblicane dello scorso novembre in Virginia e New Jersey). Nel 2010 saranno in gioco ben 37 statehouse. Il moltissimi stati, però, le corse sono ancora a livello “embrionale” e diventa molto complicato farsi un’idea precisa del potenziale risultato senza conoscere il nome degli sfidanti. Secondo Larry Sabato, comunque, se le elezioni si svolgessero oggi i repubblicani conquisterebbero 9 governatori a danno dei democratici, perdendone a loro volta 3, con un bilancio netto di +6 che sposterebbe i rapporti di forza verso un rassicurante 30 a 20. Anche per Scott Elliot di Election Projection, il “blogging Caesar” con un impressionante record positivo di previsioni elettorali, i democratici sarebbero destinati a perdere 9 governatori, strappandone però 5 ai repubblicani. Elliot prevede anche la vittoria dell’indipendente Lincoln Chafee (ex senatore del GOP) in Rhode Island. E questo porterebbe lo score sul 27 a 22 per i repubblicani (con Chafee a fare il “cinquantesimo uomo”).
Incrociando le previsioni di Sabato ed Elliot, i pick up del GOP potrebbero essere Iowa, Kansas, Maryland, Michigan, Ohio, Oklahoma, Pennsylvania, Tennessee e Wisconsin. Mentre i Dems dovrebbero sfondare in California e Hawaii, con buone speranze di vittoria in Connecticut e Vermont. Si tratta comunque di pronostici da prendere con le molle, perché mancano ancora molti mesi alle elezioni e perché su 37 corse ben 21 non avranno un incumbent in lizza (e in altre 4 l’incumbent potrebbe perdere le primarie del proprio partito). Comunque vada, la metà delle statehouse cambierà proprietario a novembre. Un turnover impensabile in qualsiasi altra democrazia occidentale.
SENATO, MISSIONE IMPOSSIBILE?
Se la riconquista della Camera e il contro-sorpasso nel computo dei governatori sono due operazioni molto difficili, ma non impossibili, per il GOP la vittoria assumerebbe contorni schiaccianti nel caso di “ribaltone” al Senato. Per qualche mese, dopo la sofferta (e contestata) vittoria al recount di Al Franken contro Norm Coleman in Minnesota, i democratici hanno potuto contare al Senato sulla cosiddetta “supermajority”, quei 60 seggi che permettono al partito di maggioranza di aggirare qualsiasi tattica ostruzionistica dell’opposizione. Con l’elezione di Scott Brown, però, i democratici hanno perso questa storico vantaggio. E a novembre rischiano, nel migliore dei casi, di allontanarsi ancora di più dal “magic number”. Ma esiste davvero la possibilità che il GOP riesca a strappare quei dieci seggi (in caso di perfetta parità il voto decisivo sarebbe quello del vicepresidente Joe Biden) che consentirebbero al partito di riconquistare il pieno controllo del Senato? La montagna da scalare è altissima, ma basta fare un salto all’indietro di un paio di mesi per capire quanto sia cambiato lo scenario elettorale.
Secondo Nate Silver di FiveFortyEight.com, l’analista di sondaggi più lucido della sinistra americana, a dicembre il Massachusetts era in 26ª posizione nella classifica dei seggi con maggiore probabilità di cambiare partito. E prima di Casa Kennedy c’erano altri 12 seggi democratici considerati maggiormente a rischio di pick up. Due in più, insomma, di quanti ne servirebbero al GOP per riconquistare la maggioranza al Senato. In quest’ultimo mese, poi, le “classifiche” degli esperti sono cambiate sensibilmente. Proviamo a percorrerle in salita, partendo dai pick up potenzialmente più “facili” per il GOP, per poi addentrarci nei meandri della “missione impossibile”.
I MAGNIFICI QUATTRO
In quattro stati i repubblicani dovrebbero avere vita piuttosto facile, a meno di grandi scossoni da qui a novembre. Il primo è il North Dakota, dove al ritiro del democratico Byron Dorgan (che avrebbe avuto chance consistenti di riconferma), si è aggiunta la discesa in campo dell’attuale governatore repubblicano John Hoeven. Nei sondaggi più recenti, Hoeven batte la probabile candidata democratica Heidi Heitkamp con margini sempre superiori ai 20 punti percentuali. E gli avversari della Heitkamp alle primarie (8 giugno) vanno addirittura peggio.
Poi c’è il Nevada, dove l’incumbent democratico è il leader della maggioranza al Senato, Harry Reid. Secondo Nate Silver, con lui in campo i Dems non hanno più del 20% di probabilità di mantenere il seggio, complice anche un indice d’approvazione (o meglio, di disapprovazione) con pochi precedenti nella storia elettorale degli Stati Uniti. L’uomo giusto, per i Dems, poteva essere il popolare sindaco di Las Vegas, Oscar Goodman, l’unico – nei sondaggi – in grado di battere il trio di potenziali candidati repubblicani (Sue Lowden, Danny Tarkanian e Brian Krolicki) che si sfideranno alle primarie dell’8 giugno. Per il GOP è un seggio quasi sicuro.
Il 18 maggio, alle primarie repubblicane dell’Arkansas, il repubblicani sceglieranno il proprio candidato per sfidare l’incumbent Blanche Lincoln. Nel 2010, il Natural State sembra destinato ad essere terra di conquista per i repubblicani. Dei quattro front-runner del GOP, il congressman John Boozman è il favorito; ma negli ultimi sondaggi anche Gilbert Baker, Kim Hendren e Curtis Coleman sono in vantaggio abbastanza comodamente nei confronti della Lincoln.
Il quarto stato “facile” per il GOP è il Delaware. Il trend elettorale dello stato che ha visto Hoover prevalere su Roosevelt nel 1932 e Dewey battere Truman nel 1948, negli ultimi decenni ha preso una piega estremamente favorevole al partito democratico. Ma questa tendenza rischia di capovolgersi a novembre, vista la decisione di Joseph “Beau” Biden (attorney general dello stato e primogenito del vicepresidente Biden) di non partecipare alla contesa del seggio lasciato libero dal padre (e occupato, nell’ultimo biennio, dal suo collaboratore Ted Kaufman). Il candidato repubblicano, con ogni probabilità, sarà Mike Castle, mentre i democratici dovranno “accontentarsi” del county executive di Wilmington, Chris Coons, che nei sondaggi accusa spesso svantaggi in doppia cifra.
INDIANA, PENNSYLVANIA, COLORADO E... ILLINOIS!
Dopo il ciclone-Massachusetts, i repubblicani hanno iniziato a guardare con interesse al seggio di Evan Bayh in Indiana, ma l’unico repubblicano in grado di impensierirlo seriamente sarebbe stato Mike Pence, attuale numero 3 del GOP alla Camera e astro nascente del movimento conservatore, o magari il segretario di stato Todd Rokita. Nessuno dei due, però, sembrava avere intenzione di correre. Almeno fino alla notizia del clamoroso ritiro di Bayh, che ha rimesso inaspettatamente in gioco l’Indiana, facendone una delle possibilità di pick up più appetitose per il partito repubblicano.
Secondo Scott Ellis è il quinto stato “più facile” per un pick up repubblicano. Per Nate Silver, una vittoria del GOP è addirittura più probabile che in Delaware. Mentre per Larry Sabato e Cook Report siamo ancora fermi a un toss-up. Stiamo parlando del seggio della Pennsylvania controllato da Arlen Specter (ex Rino: republican in name only) passato di recente nelle file democratiche. Specter, che ha indici di popolarità molto bassi, dovrà prima sbarazzarsi di Joe Sestak alle primarie democratiche del 18 maggio. Poi, in caso di vittoria, il suo avversario sarà Pat Toomey, presidente del think-tank liberista Club for Growth, una delle forze trainanti del movimento che ha dato vita ai Tea Party. Fino a qualche mese fa, la candidatura di Toomey era considerata troppo “estrema” per uno stato come la Pennsylvania. Ma ormai da qualche settimana il repubblicano è costantemente in testa nei sondaggi.
Uno degli stati vinti da Obama nel 2008, in cui il presidente sta incontrando maggiori difficoltà nei sondaggi (soprattutto tra gli elettori indipendenti) è senza dubbio il Colorado. E il suo job approval balbettante rischia di rimbalzare anche sulle elezioni di novembre, in cui sia l’incumbent democratico Michael Bennet che il suo sfidante alle primarie del 10 agosto, Andrew Romanoff, stentano nei confronti dei due front-runner repubblicani, Jane Norton e Ken Buck.
Incredibilmente, il “settimo indiziato” è proprio lo stato in cui Obama ha posato le fondamenta della sua straordinaria (finora) carriera politica: l’Illinois. In questo caso, complici le elezioni primarie estremamente anticipate, i candidati sono già sicuri: Alexi Giannoulias per i Dems e Mark Kirk per il GOP. I democratici partono dai 25 punti percentuali di vantaggio accumulati alle presidenziali del 2008, ma gli ultimi sondaggi regalano un quadro molto incerto della corsa, con Kirk e Giannoulias praticamente appaiati. Si tratta di un toss-up puro, almeno al momento. E in caso di vittoria repubblicana il GOP raggiungerebbe quota +8, portando gli equilibri al Senato sul 49 a 49 per i democratici (con due indipendenti, compreso il “mezzo-repubblicano” Joe Lieberman, che partecipano al caucus dei Dems). Pur stravincendo le elezioni, però, il GOP si fermerebbe a un passo dalla vetta.
LA VETTA DELLA MONTAGNA
Dopo l’Illinois, l’impresa dei repubblicani diventa – oggettivamente – quasi impossibile. Ad oggi, soltanto la California è vagamente competitiva: Barbara Boxer ha vinto il suo terzo mandato nel 2004 con un vantaggio del 20%, ma in questi giorni riesce raramente a superare il 50% nei sondaggi. Molto dipenderà dal candidato repubblicano di novembre. L’ex amministratore delegato di Hewlett-Packard, Carly Fiorina, non sembra uno sfidante irresistibile. Mentre il congressman “moderato” Tom Campbell, che ha recentemente annunciato la sua scelta di correre, potrebbe avere qualche chance in più. Sia Campbell che la Fiorina, comunque, hanno bisogno di un upset su scala nazionale simile a quello che ha travolto il Massachusetts (o il New Jersey qualche mese prima) per poter sperare in una vittoria.
Poi c’è un gruppetto di stati per ora non competitivi che potrebbero diventarlo con il candidato repubblicano “giusto”: New York, Washington e Wisconsin. Nello stato di New York, Rudy Giuliani e George Pataki potrebbero provocare più di un grattacapo a Kirsten Gillinbrand, soprattutto vista la scarsa performance del governatore David Patterson e del suo predecessore Eliot Spitzer. Giuliani, però, ha già deciso di non partecipare. E per Pataki ormai non c’è più molto tempo. Stessa situazione nello stato di Washington, dove il candidato ideale del GOP sarebbe Dino Rossi (sconfitto nella corsa a governatore da Christine Gregoire nel 2004 dopo un contestatissimo recount), che però resta ancora “alla finestra”. Infine il Wisconsin, dove il democratico Russ Feingold è praticamente invulnerabile contro qualsiasi candidato repubblicano, con la notevole eccezione dell’ex governatore Tommy Thompson, la cui candidatura sembra però improbabile, almeno al momento.
LA ROAD-MAP PER IL MIRACOLO
Ecco, dunque, la difficile road-map dei repubblicani per la conquista del Senato:
1) Proteggere i quattro stati controllati dal GOP in cui il partito è più vulnerabile: Kentucky, New Hampshire, Missouri e Ohio (soprattutto gli ultimi due);
2) Sbrigare in fretta la pratica degli stati “facili” (North Dakota, Nevada, Arkansas, Delaware);
3) Provare l’impresa negli stati “difficili” (Pennsylvania, Colorado e Illinois);
4) Trovare i candidati giusti e sperare nel miracolo in almeno tre degli stati “quasi impossibili” (California, New York, Washington e Wisconsin).
Si tratta di una strada estremamente difficile da percorrere, ma che somiglia in maniera impressionante a quella del 1994, quando i repubblicani – guidati da Newt Gingrich e galvanizzati dal Contract with America – riuscirono a conquistare 54 seggi democratici alla Camera e 8 al Senato, ottenendo il controllo totale del Congresso per la prima volta dal 1954. Le similitudini con l’anno della “Republican Revolution” non sono poche: un presidente eletto con fortissime aspettative (anche grazie alle divisioni in campo conservatore) ma con un indice di gradimento in forte ribasso; un Congresso democratico percepito dagli elettori come molto spostato su posizioni progressive; un tentativo di riforma sanitaria condotto con metodi discutibili; una forte spinta riformatrice in ampi settori della società, con un flusso costante di “indipendenti” da sinistra verso destra; numeri traballanti in molti fondamentali dell’economia. Da qui a novembre, questo scenario potrebbe cambiare anche radicalmente. Ma se così non fosse, l’America potrebbe essere pronta per una nuova Rivoluzione.
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