I casi sono due: o l’America è impazzita o il “primo emendamento” della sua Costituzione (quello sulla libertà di parola) sta conoscendo un momento di assoluto splendore. Qualunque sia l’interpretazione che si voglia dare al fenomeno, non c’è dubbio che negli States qualcosa stia accadendo. Pensiamo soltanto alla cronaca degli ultimi giorni. Il congressman repubblicano della South Carolina, Joe Wilson, durante il discorso del presidente al Congresso sulla riforma sanitaria, si permette di urlare quello che molti cittadini statunitensi (più della metà, secondo i sondaggi) pensano, ma che nessuno aveva ancora avuto il coraggio di sussurrare in pubblico: «Obama è un bugiardo!».
Apriti cielo. I democratici si scandalizzano (dimenticandosi che Bush=Liar era il meme più affettuoso utilizzato dall’opposizione nei confronti del presidente uscente) e si appellano al rispetto dell’etichetta parlamentare. Intanto Wilson conosce il suo “quarto d’ora di celebrità”, migliaia di t-shirt in suo onore (I’m with Joe Wilson!) vengono stampate e vendute da costa a costa. E soprattutto centinaia di migliaia di dollari piovono nelle casse del suo war-chest elettorale per il 2010, ma anche in quello del suo rivale democratico. Il (maleducato) battito d’ali di farfalla a Capitol Hill rischia di provocare un terremoto a Columbia (capitale della South Carolina e città principale del 2° distretto della Camera, collegio in cui è stato eletto Wilson).
Ma non basta. Pochi giorni dopo, nel momento cruciale della semifinale femminile degli US Open di tennis, la “schiacciasassi” (o almeno, “schiacciaPennetta”) Serena Williams minaccia di morte una giudice di linea che le ha contestato un “fallo di piede” durante un match-point dell’avversaria. Anzi, come ha giustamente sottolineato Serena all’arbitro cercando di giustificarsi, non si tratta di una vera e propria minaccia di morte, perché - con il copioso condimento di una decina di “fucking” - la tennista avverte la giudice che «rimpiangerà di non essere morta». A completare il quadro splatter, la minaccia - questà sì - di far ingoiare un paio di palle da tennis alla malcapitata.
L’outburst di maleducazione che ha fatto più discutere gli americani negli ultimi giorni, però, è stata senz’altro la sceneggiata del rapper Kanye West agli Mtv Video Music Awards di domenica scorsa. In finale per il miglior video “femminile” ci sono Beyonce (moglie dell’altro rapper Jay-Z, grande amico di West) e la giovanissima Taylor Swift (cantautrice pop-country della Pennsylvania). Vince la seconda.
Il buon Kanye, visibilmente alticcio (lo hanno visto passeggiare per il red carpet con una bottiglia di bourbon mezza vuota) non accetta con sportività la sconfitta di Beyonce. E decide di farlo sapere a tutti, in diretta televisiva, salendo sul palco durante il tradizionale discorso di ringraziamento della Swift, strappandole di mano il microfono e biascicando tutto il suo disappunto per la decisione della giuria. Sguardi imbarazzati tra gli organizzatori, una marea di “boo” dalla platea e rapido segmento pubblicitario mandato in onda da Mtv per togliersi dall’impaccio mentre West viene trascinato via dalla sicurezza.
Ri-apriti cielo. Taylor Swift viene vista piangere in camerino, distrutta dall’episodio (il più bel giorno della vita di una diciannovenne rovinato da un ubriacone), mentre gli Stati Uniti si sollevano - come un sol’uomo - contro la maleducazione di West, che viene costretto a scusarsi per l’accaduto sul suo blog, a furor di popolo. Il rapper scrive di essere «sooooo sorry» (con cinque “o”) per aver rovinato la festa di Taylor e chiede scusa a lei, ma anche ai suoi “fans” e ai suoi «amici di Mtv».
L’episodio, anzi il trittico di episodi, potrebbe finire qui. Per essere archiviato come una serie di spiacevoli “mattane” di fine estate accadute in un Paese grande anche nei suoi eccessi (e nel rilievo mediatico che viene attribuito ai suoi eccessi). Se non fosse che, proprio ieri, il caso Swift-West ha avuto una coda presidenziale.
Registrando un’intervista per il canale televisivo Cnbc, Barack Obama si è lasciato scappare un commento - rigorosamente off-the-record - sullo “scandalo Mtv”, definendo Kanye West un «jackass» (qualcosa di un po’ più volgare di «coglione»). Immediatamente, il giornalista di Abc News Terry Moran, probabilmente con un telefono cellulare, ha riportato il commento sulla sua pagina di Twitter (che conta oltre un milione di iscritti), gettando nel panico la “twittersphere”, la “blogosfera” e qualsiasi altra sfera vi possa venire in mente.
Ri-ri-apriti cielo. Il post, nel giro di pochi minuti, è stato rimosso dalla pagina di Moran. Ma ormai il danno era fatto, scatenando una discussione infinita sul web (che sta proseguendo anche mentre vengono scritte queste righe) e costringendo Abc a un comunicato ufficiale di scuse: «Un impiegato di Abc ha frettolosamente “tweettato” uno stralcio di un commento del presidente che si è poi rivelato appartenere ad una porzione off-the-record dell’intervista. Il tutto è avvenuto prima che il nostro processo editoriale potesse essere completato. Ci scusiamo con la Casa Bianca e con Cnbc e abbiamo compiuto i passi necessari per assicurarci che un episodio del genere non si verifichi più».
È davvero pazza quest’America. Quando Wilson ha dato del bugiardo a Obama, i repubblicani ne hanno fatto un eroe e i democratici un demonio. Quando West e la Williams hanno dato fuori di testa, la stragrande maggioranza del Paese li ha attaccati, ma qualcuno è arrivato a ipotizzare un “complotto razzista” nei loro confronti. Adesso che il presidente interpreta (una volta tanto) lo “spirito della nazione”, dimostrando di saper riconoscere un “jackass” quando lo vede, la Abc si scusa al posto suo e cerca di nascondere la notizia. Il primo emendamento è uguale per tutti. Ma c’è sempre qualcuno più uguale degli altri.
(domani in edicola su Liberal quotidiano)
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