mercoledì 18 ottobre 2006

I sindaci in rosso/2

Pubblichiamo in esclusiva la prefazione, firmata da Vittorio Feltri, del libro "I sindaci in rosso", l'ottavo volume della collana "Manuali di conversazione politica", in edicola da ieri insieme a Libero. Buona lettura.

Anche nei momenti di dominio incontrastato della destra, le grandi città sono finite, salvo poche eccezioni, in mano ai rossi. Non perché siano più bravi. Il fatto è che noi avevamo da lavorare. Abbiamo preferito il tornio o la macchina per scrivere, alle sedute assembleari. Invece che perdere ore a discutere su come “pilotare” questo o quel primario in una Usl o Asl, o passare la notte bevendo cattivo caffè in bicchieri di plastica per collocare un amico a capo della nettezza urbana, noi ci davamo da fare con l’export e la fabbrichetta, trascurando i municipi. Siamo stati degli idioti. Così gli abbiamo dato in mano l’Italia. Prima, quando governava il centrodestra, offrendo a sindaci e presidenti di Regione sinistrorsi il potere di interdizione, di bloccare cioè qualsiasi iniziativa sgradita del governo Berlusconi. Ora hanno tutto, e che si fa? Bisogna demolire il potere della sinistra costruendo sul territorio una rete di persone tenute insieme dagli ideali e dagli interessi. Una specie di partito cristiano che non c’è più, qualcosa che somigli alle idee di Oriana: libertà e tutela delle nostre tradizioni.

Non si può più rimandare questo impegno. Berlusconi deve darsi una mossa e smetterla di pensarsi come leader solitario. Lui è indispensabile, ma c’è bisogno che invece di circondarsi di lacchè, abbia un paio di luogotenenti i quali abbiano presa sul popolo. Un nome già l’ho fatto in passato: Roberto Formigoni. Apprezzo anche Giulio Tremonti e Claudio Scajola. Berlusconi ascolti Brunetta, che ha idee chiarissime in proposito. Si tratta di minare l’egemonia politica e culturale della sinistra accettando la particolarità italiana. La quale prevede che la politica non sia un puro fatto di opinione quinquennale come in America o in Gran Bretagna, ma o c’è sotto casa, con le sue sezioni e i suoi circolini, oppure vincono quelli più abili e più militanti. E quelli ce li ha la sinistra, che oltretutto può contare su un apparato totalitario (o quasi) nel campo dei giornali e delle radio e televisioni, nonché internet con tutta la sua diavoleria elettronica e multimediale. Questa dell’occupazione delle giunte da parte dei rossi è una storia cominciata nel 1975.

In quegli anni, mentre le Brigate rosse ammazzavano gli anticomunisti, nelle elezioni politiche il Pci cresceva, ma la Democrazia cristiana teneva. Ci sono stati pasticci e compromessi più indecenti che storici, ma la bandiera rossa non è mai salita sui pennoni delle istituzioni. Invece in sede locale, si insediarono comunisti e affini: da allora non hanno più mollato municipi con annessi assessorati e poltrone di società pubbliche. Controllate sulle enciclopedie, se non ci credete. È andata così dovunque tranne che a Milano, Palermo, Catania e per caso, una volta, a Bologna. Sono stati astuti i figliocci di Togliatti. E lungimiranti. Il potere locale infatti alla fine inevitabilmente tracima oltre la diga comunale e dilaga fino a Roma. È una legge di natura. Così è stato. Qui il professor Renato Brunetta e i nostri collaboratori ci spiegano come questo potere non sia basato sul consenso conseguito per la buona amministrazione, ma facendo leva sulla furbizia che benefica le clientele e penalizza la brava gente.

Questi sindaci del cactus si fanno belli con i nostri soldi. Impoverendo le casse dello Stato che centralmente non è poi in grado di far applicare le leggi e le riforme perché in città e regioni si rema contro a tutta forza. Così ci troviamo dinanzi al mistero poco glorioso di un Paese anticomunista nella pancia come l’Italia, e che tale si è manifestato nei momenti decisivi, dal 1948 in poi, ma che poi si sdilinquisce prima per le maniere piacione di Francesco Rutelli, poi per la barba da profeta babilonese di Massimo Cacciari e le boccucce di Rosa Russo Jervolino. E ora resta incantato specialmente per le feste cinematografiche di Walter Veltroni, persona rispettabilissima per la competenza su Lassie e Rin Tin Tin, ma un tantino sopravvalutata
come statista. Ripeto. L’Italia nei momenti decisivi, chiamata a scegliere, è sempre stata anticomunista. Voi direte: mica sempre, guarda il governo Prodi. Rispondo che c’è stata una
truffa, probabilmente doppia. La prima è imputabile all’abilità dei mascheramenti, al fatto cioè che la logica delle alleanze ha ingannato molti che sono di sinistra come me, cioè pochino pochino. La seconda truffa è tragica e ahimè ormai irrimediabile.

La conta dei voti, che pure premia in termini di consensi assoluti la Casa delle libertà, a causa della legge elettorale la punisce. Peggio per la Cdl che ha voluto questa legge. Ma la truffa non sta qui. Secondo Berlusconi c’è stata una vera e propria manipolazione delle schede elettorali. Troppo poche le schede bianche rispetto alla media delle precedenti consultazioni, qualcuno ci ha fatto una crocetta? Il Cavaliere ne è sicuro, e io riferisco. Ma la prossima volta occorre poter vincere senza bisogno del fotofinish, rendendo vani trucchi e falsificazioni. Ed allora bisogna partire da una presenza forte nei nostri paesi e città. Finiamola con le beghe degli idioti di destra. Proviamo a unire le forze per liquidare i furboni di sinistra. In questo libro idee ci sono. E pure strumenti per smutandare il bluff dei sindaci in rosso. Avanti, con coraggio.

Vittorio Feltri, da "I sindaci rossi", in edicola insieme a Libero da martedì 17 ottobre

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