venerdì 30 ottobre 2009

NY-23. Do You Believe in Miracles?

Fino a quando i committenti dei sondaggi sul 23° distretto della Camera erano il Club for Growth e il Minuteman Movement - che appoggiano vigorosamente la candidatura di Doug Hoffman - si poteva anche far finta di niente. Ma quando il committente è l'ultra-sinistro Daily Kos gli indizi iniziano ad assomigliare sempre di più a una prova. Secondo Research2000, la candidatura ufficiale repubblicana di Dede Scozzafava sta sciogliendosi come i ghiacciai nei sogni di Al Gore: il democratico Bill Owens è ancora in testa (33%), ma con un solo punto percentuale di distacco nei confronti di Hoffman (32%); mentre la Scozzafava è distante terza (20%). Sarà per questo che la leadership del GOP, dopo aver tentato di difendere l'indifendibile, sembra ormai essersi arresa?

UPDATE. Sullo stesso argomento, JCF e Giova.

UPDATE/2. Il dibattito televisivo tra Hoffman, Owens e Scozzafava su NewsChannel 9.

giovedì 29 ottobre 2009

Tutti gli uomini di via Gradoli

Un direttore di giornale, un ministro, un ex ministro, un'altra importante figura apicale della politica italiana...
(Attilio Gambino, su
Notapolitica.it)

mercoledì 28 ottobre 2009

Ahhnold!

Premessa: Arnold Schwarzenegger non è il mio tipo preferito di repubblicano, con quella zavorra kennedyana che si porta appresso e i suoi sproloqui sul global warming. Il modo con cui ha mandato “a quel paese” l'assemblea legislativa californiana, però, è un capolavoro.

The Garden State Enigma

Sei nuovi sondaggi, nell'ultima settimana, per la corsa a governatore del New Jersey che vede contrapposti l'incumbent democratico Jon Corzine, lo sfidante repubblicano Christopher Christie e l'incognita indipendente (transfuga del GOP) Chris Daggett. E il caos statistico regna sovrano. Secondo metà degli istituti di ricerca, sarebbe in vantaggio Corzine: Democracy Corps (+3%); Suffolk (+9%); Quinnipiac (+5%). Secondo l'altra metà, invece, sarebbe in testa Christie: Survey USA (+2%); PPP (+4%); Rasmussen (+3%). Con i numeri di Daggett che oscillano spaventosamente tra il 7% (Suffolk) e il 19% (Survey USA). Da un punto di vista aritmetico, Corzine appare in leggero vantaggio, ma si tratta di un distacco molto lieve (0,6% secondo la media RCP), che addirittura sparirebbe se si ignorasse il sondaggio della Suffolk University, sul quale molti hanno espresso fondati dubbi (come non averli, se si utilizza uno screening dei likely voters che prevede il 93% di turnout?). Per quanto ci riguarda, continuiamo ad essere scettici su qualsiasi possibilità di vittoria repubblicana in New Jersey. Il Garden State ha già tradito il GOP troppe volte.

martedì 27 ottobre 2009

Virginia on my Mind

Intanto, dalla Virginia, tre sondaggi in doppia cifra si preparano ad accogliere il “tour della disperazione” di Obama nell'Old Dominion. Il repubblicano Bob McDonnell infila, come in un crescendo rossiniano, un +11% del Washington Post (si saranno arresi?), un +15% del pollster democratico PPP e un +17% di Survey USA. Change this!

Conservative Breakdown/3

Bill Kristol, sul Washington Post (h/t: Alessandro Tapparini) scrive che il «futuro del GOP» sarà una «conservative mind con un mood populista». E se la prende con le «élite conservatrici benpensanti e i grossi calibri repubblicani amici dell'establishment» che vorrebbero un partito «più moderato, temperato e sofisticato». Il riferimento alle elezioni per il 23° distretto di New York è esplicito. Intanto, il giorno dopo l'endorsement (un po' tardivo) del governatore del Minnesota, Tim Pawlenty, e quello che ormai può essere considerato come un goffo tentativo di suicidio politico da parte di Newt Gingrich, Doug Hoffmann è in testa nel secondo sondaggio effettuato in due giorni. Anche in questo caso si tratta di un committente “amico”, ma il candidato del Conservative Party, secondo Neighborhood Research, raccoglierebbe il 35% dei consensi: 5 punti in più del democratico Bill Owens e ben 20 in più della “repubblicana” Dede Scozzafava.

Berlusconi vs Bersani

lunedì 26 ottobre 2009

Conservative Breakdown/2

Prendetelo con il beneficio d'inventario (visto che il committente è il Club for Growth, che appoggia Doug Hoffman), ma l'ultimo sondaggio di Basswood Research su NY23 vede il candidato del Conservative Party in testa, con il 31%, inseguito dal democratico Bill Owens al 27%. Il candidato ufficiale repubblicano, Dede Scozzafava, sarebbe crollato invece al 20%, rendendo la corsa - di fatto - un testa a testa tra Hoffman e Owens. Fino a qualche giorno fa, i sondaggi disegnavano uno scenario diverso, ma non c'è dubbio che nel profondo nord, tra il Canada e Vermont, qualcosa si stia muovendo.

Nation Building

(...) Our national security interest in destroying Taliban and al Qaeda exists whether Afghans are doing well or poorly economically or whether Afghan elections become more corrupt or less corrupt. These characteristics relate to military activity, but are neither prerequisites for troop increases nor the inevitable outcome of successful military operations. “Nation building” deserves our endorsement but cannot be the measure of our success, since it rests fundamentally with Afghans, not Americans. We are not in Afghanistan to spruce up its quality of life, but to protect America. Otherwise, we have no point being there. This the hard truth: neither nation building nor military action guarantees forever against Taliban’s return; there is only continuing struggle, which at the moment America and NATO are not winning in either Afghanistan or Pakistan. We need urgently to grind Taliban and al Qaeda between two military millstones: NATO in Afghanistan and stepped-up Pakistani military operations on their side of the border. That requires substantial U.S. (and European) troop increases, and soon. If Afghanistan thereby “nation builds” into a more pleasant country, so much the better, but Afghan wholesomeness is irrelevant to the strategic judgment President Obama is long overdue in making.

John R. Bolton, (in italiano) su Liberal di domani

Outside the Beltway

Lasciate stare il Washington Post che, come spiega Jim Geraghty, farebbe una figura migliore se dicesse «qui siamo in stragrande maggioranza liberal e dunque siamo inclini a preferire l'opzione più liberal in quasi tutte le elezioni», invece di arrampicarsi sugli specchi nei suoi endorsement. Oggi i giornali della Virginia che appoggiano apertamente Bob McDonnell sono arrivati a quota 14. Direttamente dalla newsletter del candidato repubblicano: Culpeper Star Exponent, Bristol Herald Courier, Waynesboro News Virginian, Fredericksburg Free Lance-Star, The Richmond Times-Dispatch, Culpeper Times, The Washington Examiner, The Washington Times, The Loudoun Times-Mirror, News and Messenger (InsideNoVa.Com), The Daily Press, The Winchester Star, The Harrisonburg Daily News Record, Northern Virginia Sun-Gazette Newspapers.

venerdì 23 ottobre 2009

Brunetta-Sacconi: continua la carica anti-Tremonti

Il documento che abbiamo anticipato qualche giorno fa, contenente indirizzi di politica economica ed elaborato probabilmente da ambienti vicini al Pdl, non sarebbe un caso isolato. Voci insistenti parlano di un altro gruppo di lavoro che avrebbe prodotto un secondo testo ricco di spunti riformatori sui temi del mercato del lavoro e del welfare...
(Attilio Gambino per
Notapolitica.it)

Conservative Breakdown

Sarah Palin ha deciso di rendere pubblico il suo endorsement a favore del candidato del Conservative Party, Doug Hoffman, alle elezioni per il 23° distretto di New York della Camera. Malgrado l'appoggio di Newt Gingrich al candidato “ufficiale” repubblicano, Dede Scozzafava, Hoffman è sostenuto con forza dalla base del partito, oltre che dalla National Review e dal Weekly Standard, che giudicano la Scozzafava troppo liberal. A trarre beneficio da questo scontro a destra, potrebbe essere il democratico Bill Owens, in testa negli ultimi sondaggi in quello che è sempre stato considerato un solido distretto repubblicano. Ma a NY23, più che un seggio, c'è il palio l'anima del GOP.

giovedì 22 ottobre 2009

Virginia on my Mind

Torniamo ad occuparci di cose serie. Mancano ormai meno di due settimane all'elezione per il governatore della Virginia e il repubblicano Robert McDonnell viaggia con un vantaggio in doppia cifra (+10,9%) sul democratico Creigh Deeds nella media dei sondaggi di Real Clear Politics. Nelle rilevazioni di ottobre, il vantaggio minimo è quello registrato da Rasmussen Reports (+7%), mentre quello massimo è stato rilevato da Survey USA con uno strabiliante +19% (59% contro 40%). Perfino il sondaggista democratico Public Policy Polling vede McDonnell davanti a Deeds di 12 punti percentuali (52% contro 40%). Malgrado la telenovela della “tesi ultra-conservatrice” scritta da McDonnell vent'anni fa, malgrado la tambureggiante campagna di stampa del Washington Post, malgrado gli endorsement a pioggia per Deeds che arrivano dai mainstream media (perfino della Pennsylvania), il popolo della Virginia sembra orientato a scegliere nuovamente il GOP dopo la parentesi obamiana del 2006. La battaglia non è ancora finita, sia chiaro - e una disperata october surprise potrebbe ancora essere dietro l'angolo - ma la sensazione che l'Old Dominion possa tornare a casa si rafforza ogni giorno che passa.

Smentite e riflessioni

Attilio Gambino per Notapolitica.it

C'è la smentita ufficiale del PdL sul presunto documento anti-Tremonti. Ed è giusto prenderne atto e registrarla. Quel documento non esiste, o forse esiste ma non è così importante. Non siamo stati, però, gli unici a parlarne se è vero come è vero che Mario Sechi in questi giorni su “Libero” sta scrivendo pagine e pagine su questa questione. Oggi che il dibattito è finito su tutti i giornali, “Libero” garantisce che "il manifesto è farina del sacco del partito" e rilancia analizzando punto per punto i temi messi sul tavolo dal presunto documento. Che ci sia o meno un documento scritto con quei contenuti, quel che conta è la questione politica che ci sta dietro. Nicola Porro in un editoriale su “Il Giornale” chiede al governo di abbassare le tasse. E il quotidiano della famiglia Berlusconi quando parla, non lo fa certo a vanvera.

Sempre di tasse da abbassare parla Caludio Scajola su “La Stampa” e uguale appello arriva dal direttore di Libero Maurizio Belpietro. Non c'è il documento, forse. Ma c'è il dibattito. E c'è una visione diversa sulla politica economica di questo paese. Da un lato Tremonti e i suoi fedelissimi, dall'altro il PdL un po' più liberale e legato al mito berlusconiano delle due aliquote. Nel mezzo, Silvio Berlusconi. Che prende le difese del superministro ma non è certo insensibile agli appelli dei "dissidenti". I partiti, su temi come questo, dovrebbero confrontarsi anche al proprio interno. Dovrebbero proporre, emendare, correggere, stimolare il dibattito. Quel che è successo nel nostro paese, invece, è l'esatto contrario: si è spostata ogni discussione sulla figura del Premier con acuti persino morbosi e si è letteralmente anestetizzato ogni dibattito interno ai partiti.

La storia di questo documento, o presunto tale, rilancia l'idea che nei partiti si possa e si debba parlare, contrapporre idee diverse su alcuni temi, proporre percorsi nuovi. Non partiti, quindi, in cui i documenti e le proposte programmatiche vengono tenuti sapientemente nei cassetti, ma movimenti che non reagiscono offesi, quasi vi fosse un delitto di lesa maestà, se quei documenti vengono divulgati e diventano parte del dibattito politico del Paese.

(crosspost su Freedomland)

mercoledì 21 ottobre 2009

Notapolitica.it - Auto-rassegna stampa

GIALLO SU DOCUMENTO 'ANTI-TREMONTI'; PDL, NON E' NOSTRO/ANSA
RUMORS,POI PIOGGIA DI SMENTITE DAI BIG;E IL TESTO RESTA APOCRIFO (di Chiara Scalise) (ANSA) - ROMA, 21 OTT - Nessun documento del Pdl per mettere in campo una politica economica alternativa alla linea dettata dal superministro Giulio Tremonti: il partito smentisce ufficialmente la paternita' di qualsiasi iniziativa, cercando di chiudere cosi' un nuovo potenziale fronte di scontro all'interno della maggioranza e del governo.Prima le indiscrezioni pubblicate sulle pagine del quotidiano 'Libero', poi il tam tam crescente nei corridoi della politica; infine, nel tardo pomeriggio, la pubblicazione di un vero e proprio decalogo sul sito 'notapolitica.it' (che i ben informati riconducono all'area del centrodestra) fanno dunque scoppiare un altro caso dando cosi' spazio ai rumors che raccontano di diffusi maldipancia nei confronti del titolare del Tesoro.La smentita cha arriva da via dell'Umilta' definisce il testo pero' 'fantomatico', spiegando come le firme non siano certo quelle dei vertici del partito e tantomeno quelle dei ministri (Denis Verdini, Fabrizio Cicchitto, Claudio Scajola, Stefania Prestigiacomo e Raffaele Fitto sono citati dal sito). Al massimo, si concede, si puo' essere trattato di un contributo di 'singoli parlamentari o gruppi di lavoro'.'Quel documento c'e' - spiega il ministro e coordinatore del Pdl Ignazio La Russa all'ANSA - ma e' uno come centinaia di altri che ogni giorno ci arrivano. Non so chi l'abbia scritto, so per certo chi non l'ha scritto: ne' ministri ne' organi interni di partito ne' gruppi di lavoro di qualsiasi genere riconducibili al Pdl'. Lui comunque lo ha avuto tra le mani piu' di 10 giorni fa e dice di non averci 'fatto grande attenzione'. E quindi l'idea del ministro e' che 'si voglia utilizzare un documento come tantissimi altri per creare un clima che danneggia i rapporti nel partito e nel governo Berlusconi'.Che sia uno solo o meno, nessuno comunque si assume la paternita' del testo. Fioccano invece le prese di distanza. Il presidente del gruppo alla Camera Cicchitto, il ministro dello Sviluppo Economico Scajola mettono nero su bianco la loro 'innocenza': 'Voci completamente destituite di fondamento', dice il primo; 'Non ho partecipato alla stesura di alcun contro-documento', aggiunge il secondo. E proprio perche' nessuno rivendica il testo, per il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Paolo Bonaiuti, occorrerebbe mantenere il sangue freddo e evitare 'di dare corpo alle ombre'. L'unico commento ironico arriva ovviamente dall'opposizione: 'Smentito il documento del Pdl? Peccato - dice il presidente dell'Udc Rocco Buttiglione - per una volta che parlavano di contenuti...'.Fatto sta che nel pomeriggio, quando ancora il decalogo non era apparso in rete, in molti tra i deputati del Pdl erano pronti a spiegare, anche se rigorosamente fuori dai taccuini, che il nervosismo nei confronti del ministro dell'Economia non fa che crescere nelle file della maggioranza e che un gruppo ristretto stava lavorando alla preparazione di un documento che mettesse insieme alcune indicazioni in grado di favorire una svolta nella gestione della politica economica del Paese. Che e' appunto quel cambiamento di cui da' conto il dossier anticipato da 'notapolitica.it' dove si chiede un passo diverso dal fisco alle riforme e soprattutto si chiede di voltare pagina nei rapporti con imprese e banche.(ANSA).

Apc-Governo/Pdl fibrilla su testo anti-Tremonti,big dietro iniziativa
Partito smentisce, ma fonti insistono: opera di Verdini-Cicchitto Roma, 21 ott. (Apcom) - Un documento anti Tremonti per chiedere un cambio di passo nella gestione della politica economica del governo, promosso da diversi big del Pdl. E' questa la voce che, rilanciata prima da alcuni quotidiani e poi dal sito 'notapolitica.it, agita il pomeriggio del centrodestra. Prima le smentite ufficiali dei diretti interessati, poi una mezza conferma: esiste un documento, ma si tratta di una delle centinaia di contributi al lavoro del governo, senza alcun carattere polemico contro il ministro dell'Economia. Ma a sera, nonostante le smentite e i tentativi di ridimensionare la portata del testo, continuano a circolare i nomi degli autori già emersi in giornata: secondo fonti del Pdl Denis Verdini e Fabrizio Cicchitto avrebbero raccolto i contributi di diversi ministri, fra i quali Raffaele Fitto, Stefania Prestigiacomo, Claudio Scajola e Renato Brunetta.Il primo a intervenire nel pomeriggio è il ministro per lo Sviluppo economico: "Non ho partecipato alla stesura di alcun contro-documento di politica economica, né ad alcuna iniziativa per `ridimensionare` il Ministro Tremonti", dice secco Scajola.Anche Fabrizio Cicchitto è chiaro: "Circolano voci completamente destituite di fondamento che hanno come unico scopo quello di provocare qualche fenomeno di destabilizzazione all'interno del Pdl".Poi arriva una nota ufficiale del partito. Da via dell'Umiltà non si smentisce l'esistenza del documento, ma lo derubrica a iniziativa personale: "Nella giornata di oggi si è scatenata una ridda di voci riguardanti un fantomatico 'documento' prodotto in via dell'Umiltà che si porrebbe in antitesi alle posizioni del ministro Tremonti. Ogni giorno, da sempre, vengono prodotti spontaneamente, da singoli parlamentari o da gruppi di lavoro, documenti che vogliono essere solo ed esclusivamente un contributo all'attività di governo o di un singolo ministro.Anche in questo caso tale appare probabilmente la natura del testo in questione". In realtà, anche uno dei dirigenti indicato tra gli estensori del documento, conferma che il lavoro di elaborazione andava avanti da mesi, con il contributo di "diversi ministri" e numerosi parlamentari.Un documento, sembra, discusso anche dai coordinatori nell'incontro avuto sabato con il premier Silvio Berlusconi. Un documento che in realtà sarebbe stato scritto da un personaggio non di secondo piano del Pdl. A sera fonti del partito insistono: è stato scritto da Denis Verdini e Fabrizio Cicchitto. Dai rispettivi entourage negano con decisione, resta aperto il giallo del documento senza paternità. Così come resta il mistero su chi abbia avuto interesse a diffondere il documento: tra le fila degli anti-tremontiani, è forte il sospetto che si sia fatto uscire il testo per 'bruciarlo' prima che assumesse un carattere di ufficialità.Tom/Rea/Bac 212148 ott 09

ESCLUSIVO! Il documento del PdL anti-Tremonti

«In esclusiva per i lettori di Notapolitica pubblichiamo il documento anti-Tremonti predisposto da un nucleo molto influente di esponenti del PdL. I rumors degli ultimi giorni indicano tra gli estensori dei dieci punti alcuni tra gli uomini più in vista del centrodestra nazionale: Denis Verdini, Fabrizio Cicchitto, Claudio Scajola, Stefania Prestigiacomo e Raffaele Fitto sono solo alcuni dei nomi circolati in queste ore. Tutti, per ragioni diverse, sarebbero infastiditi dall'eccessivo protagonismo del superministro e chiederebbero a Berlusconi una nuova "rotta" per la politica economica del Governo. Non ci è dato sapere se il documento sarà inviato allo stesso Tremonti, quasi come un atto di sfiducia palese, ovvero se sarà consegnato al presidente Berlusconi. Quel che è certo è che il documento esiste e che quella che vi riportiamo è una ricostruzione quasi integrale». Su Notapolitica.it.

UPDATE.
Ooops!

martedì 20 ottobre 2009

Tremonti verso le dimissioni?

I primi segnali che qualcosa non andasse si sono avuti ai tempi delle misure anticrisi. Silvio Berlusconi spingeva per una detassazione delle tredicesime, atto forte e simbolico. Giulio Tremonti disse no, perché costava troppo, e si inventò la Social Card, lasciando perplessi gran parte dei componenti dell'esecutivo e scontentando in fondo anche il Presidente stesso. I tempi duri delle finanziarie lacrime e sangue, con tagli generalizzati e sacrifici per tutti, fecero diventare il superministro dell'Economia l'autentico “signor no” del Governo. Tanto apprezzato in campo europeo, quanto invidiato sull'italico suolo, i mal di pancia interni al centrodestra per il comportamento un po' troppo indipendente del Divo Giulio si sono moltiplicati fino alla rottura definitiva di questi giorni... (Simone Bressan e Attilio Gambino - continua su Notapolitica.it)

giovedì 15 ottobre 2009

Caccia alla volpe

“Inizieremo a trattarli come si fa con qualsiasi avversario politico. Visto che hanno deciso di dichiarare guerra al presidente, smetteremo di fingere che si tratti di una legittima testata giornalistica”. Paolino Bonaiuti contro Repubblica? Daniele Capezzone contro l’Espresso? Nicola Ghedini contro il Fatto di Travaglio? Siete fuori strada".
(Larry Silverbud su L'Occidentale)

The Kissing Company

mercoledì 14 ottobre 2009

Senza parole

Con una delibera, che ne sottolinea «indipendenza, imparzialità ed equilibrio», il plenum del Csm ha dato una promozione a Raimondo Mesiano, il giudice del tribunale civile di Milano che ha condannato la Fininvest al risarcimento di 750 milioni di euro a favore della Cir di De Benedetti per la vicenda del Lodo Mondadori. Una sentenza che è stata pesantemente contestata sia dal presidente del Consiglio, che l'ha definita un'enormità giuridica, sia dai capigruppo del Pdl a Camera e Senato che hanno parlato di «disegno eversivo». Il plenum di Palazzo dei Marescialli ha riconosciuto a Mesiano il massimo grado raggiungibile da un magistrato nella sua carriera, sancendo il superamento da parte sua della settima valutazione di professionalità. Un provvedimento motivato da «indipendenza, imparzialità ed equilibrio» e anche da «capacità, laboriosità, diligenza ed impegno dimostrati» da Mesiano nell'esercizio delle sue funzioni. La promozione è passata all'unanimità e senza nessuna discussione ed era inserita in un ordine del giorno speciale. Il provvedimento è retroattivo, visto che il riconoscimento decorre dal 13 maggio del 2008 e comporterà per il magistrato un aumento di stipendio oltre alla possibilità di concorrere per incarichi che sinora gli erano preclusi. Intanto martedì prossimo la Prima Commissione aprirà una pratica a tutela di Mesiano, dopo gli attacchi ricevuti per la sentenza sul Lodo Mondadori. (ANSA, 12:39)

martedì 13 ottobre 2009

The Common Sense Revenge

Segnalo con piacere a tutti i lettori repubblicani (nel senso del GOP, non di La Malfa), la nascita di un promettente blog - The Common Sense Revenge - fresca aggiunta alla lista dei cittadini di Tocqueville. In bocca al lupo agli autori!

The Wrong Guy

I democratici si accorgono, in leggerissimo ritardo, di aver puntato sull'uomo sbagliato in Virginia. Adam Nagourney, sul New York Times.

UPDATE. Nel sondaggio online del (conservatore) Washington Times, il 79% assegna il dibattito televisivo di ieri a McDonnell. E questo potrebbe anche sembrare ovvio, se non fosse che perfino Talking Points Memo...

Obama fails to win Nobel prize in economics

Michael Moore, Timothy Geithner also passed over. (MarketWatch)

Questo (e non solo), tra qualche minuto su “Buongiorno America”, di Stefano Pistolini, su Radio24.

lunedì 12 ottobre 2009

Tutto quello che (non) volevate sapere su Ted Kennedy. E che nessuno, naturalmente, si è mai sognato di raccontarvi

[Per il prossimo numero del bimestrale CON]

Dallo scorso 25 agosto, giorno in cui è scomparso Edward Moore Kennedy (detto “Ted”), sul più giovane dei figli di Joseph P. Kennedy Sr. e Rose Fitzgerald sono stati spesi fiumi d’inchiostro, anche in Italia. Molto, per esempio, si è raccontato della sua straordinaria carriera al Senato, che ha attraversato più di quattro decenni di storia politica americana. È stato spiegato, a ragione, che grazie a Ted Kennedy sono stati approvati centinaia di “pezzi” di legislazione federale statunitense, tra cui norme fondamentali nel campo dei diritti civili. In molti hanno ricordato l’aumento del “salario minimo” nel 1981, o la riduzione dell’età minima per votare (da 21 a 18 anni), ma i suoi successi parlamentari sono stati numerosissimi. E molti di essi sono arrivati grazie al paziente lavoro di ricerca del compromesso in cui Kennedy era maestro, capace com’era di lavorare sui fatti concreti con i congressmen
di ogni estrazione politica (persino con i più conservatori, come il suo grande amico dello Utah, Orrin Hatch) pur senza rinunciare al proprio, particolarissimo, posizionamento ideologico-culturale, nettamente spostato a sinistra per gli standard a stelle e strisce. Il tutto, in un’era dominata dai conservatori (Richard Nixon, Ronald Reagan, George W. Bush) e dai moderati (George H.W. Bush, Bill Clinton). Basterebbe questo, probabilmente, a farne un personaggio eccezionale.

Moltissimo, poi, e anche in questo caso a ragione, è stato scritto sulle terribili prove personali che il Liberal Lion del Senato Usa è stato costretto ad affrontare durante la sua vita. Soltanto tra gli otto e i sedici anni, Ted Kennedy ha dovuto assistere alla lobotomia (fallita) della sorella Rosemary, alla morte in guerra del fratello Joseph P. Kennedy Jr. e alla morte in un incidente aereo della sorella Kathleen Agnes. Poi, come in un brutto film girato da un regista perverso: gli omicidi dei fratelli John e Robert, che hanno sconvolto l’America e dato il via alla “maledizione dei Kennedy”; l’aborto spontaneo della moglie Joan; la morte sfiorata nell’incidente aereo del 1964 in cui perse la vista il suo assistente; la lunga malattia del figlio Ted Jr. (a cui venne, dodicenne, amputata una gamba). Senza contare le decine di figli dei fratelli morti, dei quali era diventato il padre “di fatto”, che vide rovinarsi inesorabilmente la vita per colpa delle droghe, dell’alcool, della dissolutezza o, più semplicemente, dell’incoscienza.

Di tutto questo, nelle settimane successive alla morte di Ted Kennedy, sono state riempite le pagine dei giornali, le onde dell’etere televisivo e radiofonico, i sottilissimi filamenti di fibra ottica che compongono la spina dorsale di Internet. C’è dell’altro, però. Ed è proprio su questo altro che i media, soprattutto italiani ed europei, hanno steso un velo di omertoso silenzio. Un silenzio tanto assordante da non poter essere giustificato con il comprensibile e dovuto rispetto nei confronti dell’evento luttuoso. Proviamo, allora, a cercare di capire cosa è stato deliberatamente tenuto nascosto, concentrandoci su quattro frammenti della sua vita, senza i quali cercare di comprendere Ted Kennedy sarebbe come provare a capire suo fratello John dimenticandosi di Marilyn Monroe e del daiquiri.

Gli studi, la Corea (in Francia) e la prima volta al Senato

Mediocre studente alla Milton Academy (la media della sufficienza, niente di più), Ted Kennedy viene ammesso all’università di Harvard per meriti dinastici, visto che il padre e tutti i suoi fratelli hanno studiato nella reginetta dell’Ivy League. Durante i travagliati studi universitari, il giovane Ted viene espulso due volte. Dopo la prima - per aver mandato un amico, evidentemente più preparato di lui, a sostenere l’esame scritto di spagnolo – viene riammesso dopo una lunga telefonata del padre. Dopo la seconda, è costretto a un paio d’anni d’esilio nell’esercito, ma è sempre il padre a evitargli la partenza per la Corea, destinandolo a una località più consona al suo lignaggio: Parigi. Ted non va oltre il grado di soldato semplice, poi torna ad Harvard, dove ottiene un diploma di laurea rubacchiato e si iscrive alla facoltà di legge della University of Virginia. L’unica attività per cui si segnala nell’ateneo fondato da Thomas Jefferson a Charlottesville è la guida veloce, grazie alla quale diventa un “sorvegliato speciale” della polizia del luogo. Una volta viene fermato per aver guidato a 90 miglia all’ora (più di 140 km/h), di notte e a fari spenti, in un centro residenziale. Naturalmente la patente non gli viene ritirata. Nel 1959 passa gli esami di abilitazione all’avvocatura e due anni più tardi diventa assistente del District Attorney della contea di Suffolk, in Massachusetts.

Con precedenti così travagliati e un curriculum accademico che non va oltre qualche discreta partita di football, anche per un Kennedy sarebbe naturale attendersi qualche anno di gavetta, prima dell’esordio nel mondo politico della Beltway washingtoniana. E quando il fratello John vince le presidenziali del 1960, sia lui che Robert si oppongono all’ipotesi di affidare il seggio senatoriale vacante del Massachusetts a Ted, giudicandolo “troppo immaturo”. Neppure Jack e Bob, però, possono fare niente di fronte all’irrevocabile decisione del patriarca Joe, che “costringe” il governatore dello stato, Foster Furcolo, a nominare l’amico di famiglia dei Kennedy, Benjamin A. Smith, giusto il tempo necessario per permettere a Ted di compiere 30 anni. Nel 1962, raggiunta l’età minima per correre, Ted si presenta di fronte all’elettorato per conquistare il seggio che era stato di JFK. Durante le primarie democratiche, il suo avversario Eddie McCormack non riesce a trattenersi : “Se il suo nome fosse Edward Moore invece di Edward Moore Kennedy, la sua candidatura sarebbe una buffonata”. Il professor Mark DeWolfe Howe, suo professore ad Harvard (e consigliere politico di JFK) dichiara che la scelta è “ridicola e offensiva”. Ma si tratta di una “offesa” particolarmente efficace, perché Kennedy vince le primarie, vince le elezioni (contro il repubblicano George Cabot Lodge II) e sarà rieletto altre sette volte consecutivamente. Potenza di un cognome.

Chappaquiddick, Edgartown, Massachusetts

Nella notte del 18 luglio 1969, Ted Kennedy partecipa a un party piuttosto particolare al Lawrence Cottage sull’isola di Chappaquiddick, a poche miglia da Martha’s Vineyard. Presenti alla festa, oltre a Ted, altri cinque uomini e sei ragazze, le cosiddette “Boiler Room Girls”, i membri femminili dello staff per la campagna presidenziale del 1968 di Robert F. Kennedy. Verso mezzanotte, Ted (già sposato da undici anni) si allontana per riaccompagnare una delle ragazze – la ventottenne Mary Jo Kopechne – nella sua stanza d’albergo a Edgartown. Ma la sorte (e non solo la sorte) è in agguato. Kennedy sbaglia direzione, imbocca una strada sterrata e male illuminata che finisce con un pontile d’attracco per i traghetti (il Dike Bridge). Ted non si accorge di niente, almeno fino a quando la sua auto, una Oldsmobile Delmont 88, precipita in acqua. Il senatore riesce ad uscire facilmente dalla vettura, ma invece di tentare con ogni mezzo di salvare Mary Jo, pensa bene di tornarsene a piedi al Lawrence Cottage, bere un paio di cocktail, avvertire il suo avvocato e andare a nanna. Mary Jo muore d’asfissia dopo qualche ora di terrore. “Non è affogata – dice l’uomo che recupera il cadavere dalla Oldsmobile – è morta asfissiata dopo almeno 3 o 4 ore. Avrei potuto tirarla fuori dalla macchina in una ventina di minuti, se mi avessero chiamato prima. Ma non ha chiamato nessuno”.

Ancora oggi, molti aspetti nella dinamica dell’incidente sono oscuri. Kennedy dice di essersi immerso in acqua (“sei o sette volte”) per cercare di recuperare la Kopechne, prima di tornare alla festa come se niente fosse. Ma nella strada che va dal Dike Bridge al Lawrence Cottage ci sono almeno quattro case da cui Ted avrebbe potuto telefonare per chiedere aiuto. Un aiuto che, con ogni probabilità, avrebbe salvato la vita di Mary Jo. Una di queste case, come testimoniano i suoi inquilini, quella notte ha le luci esterne accese.

Malgrado i numerosi tentativi di cover-up della famiglia Kennedy, nel gennaio del 1970 al tribunale di Edgartown il giudice James A. Boyle firma le conclusioni dell’inchiesta ufficiale (un fascicolo di 763 pagine che chiunque, oggi, può consultare negli archivi online dell’Fbi). Secondo il giudice, Ted guidava troppo velocemente (in maniera “negligente e temeraria”) e proprio la sua condotta al volante “ha contribuito alla morte di Mary Jo Kopechne”. Naturalmente, Ted non viene neppure processato. E la famiglia Kopechne viene messa a tacere con qualche decina di migliaia di dollari.

Il Chappaquiddick Incident spegne sul nascere le velleità presidenziali di Ted, proprio mentre la grande maggioranza dei cittadini americani è convinta che possa essere il candidato democratico destinato a sfidare Richard Nixon nel 1972. Ma nella People’s Republic of Massachusetts la sua carriera politica non viene mai messa seriamente in discussione: a novembre viene rieletto al Senato con il 62% dei voti. Questa volta però, la patente di guida gli viene sospesa per sei mesi.

Back in USSR, 1983

È 14 maggio del 1983, siamo al culmine della Guerra Fredda, nei mesi in cui i rapporti tra Stati Uniti e Unione Sovietica sono più tesi e difficili. Il capo del KGB, Viktor Chebrikov, scrive un messaggio riservato (e segretissimo) al segretario generale del Partito comunista, Yuri Andropov. Secondo Chebrikov, un ex senatore democratico della California, John Tuney, amico di vecchia data e compagno d’università di Ted Kennedy, gli ha chiesto di mandare un segnale alla leadership sovietica. Anzi, qualcosa di più che un segnale. Kennedy, dice Tuney, è molto preoccupato per il deteriorarsi delle relazioni tra Usa e Urss, che lui crede siano pericolosamente vicine ad una confrontation nucleare. E il buon Ted è convinto che la causa primaria di questa situazione sia il presidente americano, Ronald Reagan. Al contrario, Kennedy si dice “favorevolmente impressionato” da Andropov (lo stesso simpatico personaggio che stroncò nel sangue la rivolta di Budapest nel 1956). Il senatore del Massachusetts – sostiene Tuney e Chebrikov non fatica a credergli – è disposto a fare qualsiasi cosa per fermare le “aggressive politiche” di Reagan (dai Pershing II e i Cruise in Europa alla Strategic Defense Initiative) e impedire che il leader repubblicano venga rieletto nel 1984.

Niente di particolarmente impressionante, tutto sommato, visto che qualche mese più tardi (marzo 1984) - in un’intervista a Rolling Stone – Kennedy avrebbe descritto la politica estera di Reagan come una “fuorviante tattica basata sulla paura anticomunista e su un incosciente macchinazione in stile Guerre Stellari”. Più preoccupante è che un senatore degli Stati Uniti si spinga fino a dare consigli di public relations al leader di una nazione nemica. Il problema, infatti, secondo Ted è soprattutto di marketing politico: i sovietici hanno difficoltà di comunicazione con l’opinione pubblica americana ma questo potrebbe essere risolto – dice Kennedy-via-Tuney – “se solo fossero in grado superare la cortina di fumo reaganiana e far conoscere direttamente al popolo statunitense le loro pacifiche intenzioni…”.

Ecco il piano, dunque: “agganciare” (“hook up”, in inglese, rende molto meglio l’idea) Andropov e qualche altro apparatchik sovietico con i media americani, attraverso i quali poter presentare il loro messaggio di pace universale. Nel documento – declassificato dopo l’apertura degli archivi del KGB voluta da Boris Eltsin nel 1991 – vengono fatti i nomi di Walter Cronkite e Barbara Walters. In più, Kennedy si offre di volare a Mosca per incontrare personalmente Andropov.

La generosa offerta del senatore non ha poi alcun seguito pratico, perché Andropov si ammala (sarebbe morto all’inizio del 1984) e perché la corsa verso la rielezione di Reagan acquista un’inerzia tale che per fermarla non sarebbe bastato tutto l’arsenale nucleare sovietico e tutti i network televisivi liberal (e i secondi, per la verità, saranno effettivamente utilizzati). Ma la cosa sconvolgente è che nel febbraio del 1992, grazie al ricercatore inglese Tim Sebastian, il documento era già stato scovato negli archivi sovietici e l’incredibile storia pubblicata sul quotidiano The Times. Ma tutto era finito così, nel colpevole silenzio dei media americani e nell’ignavia di quelli internazionali. Anche nel 2006, quando lo storico statunitense Paul Kengor si imbatte nuovamente nel documento (durante la scrittura del libro The Crusader: Ronald Reagan and the Fall of Communism”) e cerca diffonderne l’esistenza sui media tradizionali, lo storia viene totalmente ignorata, ad eccezione che nel talk-show radiofonico di Rush Limbaugh. Soltanto Ted Kennedy sarebbe potuto uscire “illeso” da uno scandalo di questa portata.

Robert Bork. Ovvero, quando la politica americana perse l’anima

Qualcuno si stupisce del livello di violenza verbale e di attacchi personali a cui è arrivato, negli ultimi anni, il dibattito politico statunitense. Secondo Jonah Goldberg della National Review (e la sua non è certo un’opinione isolata), “l’inizio della fine” corrisponde a una data ben precisa. E’ il 1° luglio del 1987: il presidente Reagan sceglie il giudice Robert Bork per sostituire Lewis Powell alla Corte Suprema. Powell è un “moderato”, mentre Bork – da molti considerato dei più grandi giuristi della nostra epoca – ha il terribile difetto di essere un “originalist” (come Antonin Scalia e Clarence Thomas): è convinto, cioè, che la Costituzione vada interpretata per quello che c’è scritto e non per quello che i giudici “progressisti” vorrebbero ci fosse scritto. Warren Earl Burger, che della Corte Suprema è stato Chief Justice per quasi vent’anni, parla di Bork come “il candidato più qualificato che abbia mai visto nella mia intera vita professionale”. E, come ricorda Goldberg, in questo periodo di tempo sono comprese le carriere di “pesi massimi” come Benjamin Cardozo, Hugo Black e Felix Frankfurter.

Ma questo, ai democratici, interessa poco. Spaventati dalla prospettiva di una Corte Suprema troppo spostata “a destra”, stanno preparando la controffensiva contro Bork da settimane e, appena 45 minuti dopo l’ufficializzazione della scelta di Reagan, Ted Kennedy si presenta di fronte alle telecamere di tutti i network nazionali (gli stessi a cui aveva sperato di presentare il programma progressista di Andropov) per pronunciare uno dei più brutali e incivili discorsi “politici” mai pronunciati da un senatore degli Stati Uniti d’America.

“L’America di Robert Bork è una terra in cui le donne sarebbero costrette ad abortire nei vicoli, i neri tornerebbero a essere segregati nei ristoranti, irromperebbe nelle case dei cittadini con raid notturni, agli scolari non verrebbe insegnato l’evoluzionismo, gli artisti e gli scrittori sarebbero censurati a piacimento del governo… Nessuna giustizia sarebbe meglio di questa ingiustizia”. Il “discorso”, trasmesso simultaneamente in tutte le case degli americani, provoca uno shock terrificante in tutti gli Stati Uniti. E il fatto che la sua attinenza con la realtà sia del tutto inconsistente, non basta a salvare la candidatura di Bork, la cui fine arriva qualche giorno più tardi, grazie anche alla reazione debole e tardiva dell’amministrazione Reagan.

“Bork” diventa, nel gergo politico, un sinonimo di “fare fuori qualcuno senza pietà”. Ed è proprio Ted Kennedy, l’osannato e compassionevole Liberal Lion della politica americana, ad aver dato il via a quest’epoca di degrado costante nel tono del dibattito politico. Ethal Bronner, autore di “Battle for Justice: How the Bork Nomination Shook America”, ricorda la reazione di un’incredula Peggy Noonan (allora speechwriter di Reagan e oggi editorialista del Wall Street Journal) al discorso di Kennedy: “È stata un’esibizione grottesca, ma ha funzionato. La prossima volta, la destra risponderà allo stesso modo, pareggiando nei toni e pareggiando negli attacchi”. E così è stato, in un crescendo di fango e di character assassination.

Questo, anche questo, è stato Ted Kennedy. Così, la prossima volta che qualcuno vi narrerà le gesta leggendarie del senatore del Massachusetts e dei grandi cavalieri senza macchia e senza paura che hanno dato vita all’American Camelot, provate a ricordarvi anche di Robert Bork e Mary Jo Kopechne.

venerdì 9 ottobre 2009

Obafat!





























Yasser Arafat, Kofi Annan, Jimmy Carter, Al Gore, Mohammed el-Baradei, Rigoberta Menchu... Barack Hussein Obama.

UPDATE. This is completely bizarre. President Barack Obama has just won the Nobel Peace Prize. It is unclear why. For making peace, of a kind, with Hillary Clinton? For giving up the missile shield and cheering up the Iranians? For preparing a surge of troops and weaponry in Afghanistan? Of course, traditionally it has been standard procedure that winners of the prize do their peacemaking first and are only given the prize after they have achieved something. But this innovation sweeps aside such old-fashioned notions of reward following effort. Think about it, it’s so post-modern: a leader can now win the peace prize for saying that he hopes to bring about peace at some point in the future. He doesn’t actually have to do it, he just has to have aspirations. Brilliant. (Iain Martin, Wall Street Journal)

giovedì 8 ottobre 2009

Fat is Cool

Mentre il governatore uscente del New Jersey, Jon Corzine, attacca il suo rivale repubblicano Chris Christie perché... è grasso, un'altro Grasso (Aldo) scrive sul Corriere della Sera una delle stroncature più spietate - e azzeccate - della storia della critica televisiva. Grasso è bello!

“Parla con me” di Serena Dandini è inguardabile: un’esibizione di infantilismo politico, di snobismo d’accat­to, di nostalgia dell’egemonia culturale, di narcisismo ai li­miti delle chirurgia estetica, di banalità colte, di umorismo di quart’ordine, di supponenza, tanta supponenza (...) ma per­ché il Servizio pubblico deve fi­nanziare la Dandini e i suoi die­ci autori? Perché?

Ready for (Real) Change















David Cameron alla Convention di Manchester: il liveblogging su Freedomland.

mercoledì 7 ottobre 2009

The Right’s best community organizer

«Al Saturday Night Live hanno preso in giro il presidente Barack Obama per non essere ancora riuscito a concludere nulla. Si tratta di una critica ingiusta, perché in realtà Obama ha fatto moltissimo. In nove mesi ha resuscitato il partito repubblicano, eccitato i pro-lifers, distrutto la reputazione della regulation, rafforzato i valori tradizionali, aumentato la voglia di maggiori restrizioni all'immigrazione e spinto gli elettori indipendenti verso destra (...) Forse non era proprio quello che aveva in mente, quando lasciava intendere che avrebbe voluto essere un nuovo Reagan. Ma, per ora, e proprio lui il miglior community organizer della Destra».

«A buzz-generating Saturday Night Live skit mocked Pres. Barack Obama for not yet having accomplished anything. Not fair. Obama has been on a roll. In nine months, he has breathed life into the Republican party, boosted pro-lifers, tarnished the reputation of regulation, bolstered traditional values, increased the public’s desire for immigration restriction, and shifted independent voters rightward. (...) When Obama suggested he wanted to be another Reagan, surely this wasn’t what he had in mind. But for now, he’s the Right’s best community organizer».

Rich Lowry, in splendida forma, sulla National Review

martedì 6 ottobre 2009

L'autunno caldo di Obama

Gli analisti politici statunitensi, ormai da qualche settimana, si esercitano nel prefigurare ipotesi di sconfitta (più o meno) catastrofica per il partito democratico alle elezioni di mid-term nel 2010. Complice la progressiva perdita di popolarità del presidente Obama, almeno secondo i sondaggi, qualcuno si azzarda addirittura a paragonare il prossimo ciclo elettorale con quello – sempre di mid-term – del 1994, che portò i repubblicani, guidati da Newt Gingrich e spinti dal Contract with America, alla maggioranza in entrambi i rami del Congresso. Costringendo, inoltre, il presidente Clinton a quella “svolta centrista” che avrebbe caratterizzato i rimanenti tre quarti del suo doppio mandato. Il novembre 2010, però, è francamente ancora troppo lontano per esercitarsi in previsioni così estreme. Anche perché c’è un altro novembre, quello del 2009, che potrebbe riservare a Obama – e ai democratici – qualche sgradevole sorpresa anticipata.

(Larry Silverbud, segue su L'Occidentale)

giovedì 1 ottobre 2009

Keystone's Milestone

Nuovo sondaggio di Quinnipiac University sulla corsa per il seggio senatoriale della Pennsylvania in palio nel novembre 2010. Secondo Quinnipiac, ad aprile il neo-democratico (ed ex-Rino) Arlen Specter aveva 20 punti percentuali di vantaggio sul repubblicano (ed ex-presidente del Club for Growth) Pat Toomey. Oggi, in vantaggio (anche se per un solo punto) sarebbe invece Tooney. E il job approval di Obama nello stato, per la prima volta, è sceso sotto il 50%.

Welcome Maggie!

La cicogna ha portato una sorpresa a JCF ed Elisa. Un abbraccio fortissimo a entrambi :)