martedì 3 giugno 2008

Countdown

Domani in edicola su Liberal quotidiano.

Comunque vada (e comunque siano andate le primarie in programma ieri notte, ora italiana, in Montana e South Dakota), è oggi il giorno decisivo per la nomination democratica alla Casa Bianca. Proprio oggi, infatti, Barack Obama potrebbe tentare il colpo di reni definitivo verso quota 2.118 delegati, il “numero magico” che gli consentirebbe di affrontare senza rischi la convention di agosto a Denver (Colorado). Con il compromesso raggiunto dai notabili democratici sulla sorte dei delegati di Florida (dimezzati) e Michigan (neutralizzati), qualsiasi risultato esca dalle urne di Montana e South Dakota non è in grado di incidere più di tanto sull’esito della sfida. I delegati in palio nei due stati sono appena 31 e l’ipotesi più probabile è che, dopo il voto, vengano ripartiti quasi equamente tra i due candidati. Il nodo della questione, dunque, sono ancora una volta i “superdelegati” che non vengono eletti dal voto popolare - o dai caucus - ma sono espressione diretta del partito.

Barack Obama sta lavorando disperatamente per raggiungere quota 2.118 nelle ore immediatamente successive alla chiusura delle urne in Montana e South Dakota. O almeno entro la fine di questa settimana. Nel conteggio di Real Clear Politics (uno dei più affidabili), attualmente al senatore junior dell’Illinois mancano 42 delegati. Anche considerandone 17-18 conquistati con le ultime elezioni primarie in programma (nella migliore delle ipotesi), ne mancherebbero circa 25 per chiudere definitivamente la partita. Perché, come scrive Tom Bevan proprio su Rcp, «una volta fatto uscire il genio fuori dalla bottiglia, per Hillary sarebbe praticamente impossibile ricacciarlo dentro». Al ritmo di 2-3 endorsement di “superdelegati” al giorno (ieri è stato il turno di Maria Chappelle-Nadal del Missouri e di Joyce Lalonde del Michigan), Obama rischia però di sprecare tempo prezioso. Mentre adesso, oggettivamente, si è creata una “window of opportunity” che sarebbe importante non lasciarsi scappare.

Lo sa benissimo Obama, che sta muovendo mari e monti per assicurarsi, nel giro di 24-48 ore, il numero di deputati, senatori, governatori e burocrati che ancora gli mancano. E lo sa benissimo la Clinton Attack Machine che, seppure acciaccata, non sembra intenzionata a rinunciare di sparare le sue ultime cartucce. Ieri, per esempio, il mondo dei blog vicini al partito democratico è stato scosso da due voci incontrollate e contrastanti. La prima, proveniente dall’Obama Camp, parlava di una e-mail fatta circolare negli ambienti vicini a Hillary secondo la quale l’ex First Lady era sul punto di mollare la presa, convocando un discorso di “commiato” a New York. La seconda, diffusa da un prestigioso blogger pro-Hillary, fantasticava dell’esistenza di un video in cui la moglie di Obama, Michelle, si lasciava andare a sproloqui razzisti contro i “bianchi”. Alla fine della giornata, entrambe le voci erano state ridimensionate. Hillary terrà effettivamente un discorso a New York, ma non c’è nessuna prova certa che in quella sede venga annunciato il suo ritiro dalla contesa. E del fantomatico video di Michelle Obama ancora non c’è traccia, tanto che la tesi della “bufala” è ormai la più accreditata.

Tanto rumore per nulla, insomma, come è accaduto molto di frequente in questa lunga ed estenuante rincorsa alla nomination democratica. Ma soprattutto la dimostrazione che, tra i due sfidanti, il clima è ancora tesissimo, malgrado gli inviti sempre più frequenti alla necessità di formare un “dream ticket” in grado di neutralizzare John McCain a novembre e assicurare una vittoria landslide ai democratici. Secondo la Cnn, che cita una «fonte anonima molto vicina a Hillary», la senatrice di New York nel suo discorso di ieri notte avrebbe dichiarato di «essere pronta a fare tutto il necessario a lavorare per la vittoria dei Democratici».

Una presa di posizione, seppure indiretta, che alcuni hanno interpretato come un’apertura nei confronti dell’avversario, al prezzo - piuttosto salato, per la verità - della vicepresidenza.
Dal canto suo, negli ultimi comizi Obama ha espresso ripetutamente parole di apprezzamento per Hillary, sottolineandone le capacità di combattente ed esprimendo ammirazione e rispetto. Oggi, con ogni probabilità, scopriremo se si tratta soltanto di schermaglie tattiche ad uso e consumo dei media o se i due, effettivamente, sono vicini a raggiungere un accordo che sarebbe forse in grado di alterare la dinamica elettorale. In caso contrario - e a nostro giudizio si tratta ancora del caso più probabile - la strada democratica verso la Casa Bianca potrebbe essere più in salita di quanto molti prevedevano appena qualche mese fa.

In un contesto politico totalmente sfavorevole al Grand Old Party, che rischia di perdere parecchi seggi sia alla Camera che al Senato, infatti, la candidatura di McCain (e il prolungato scontro fratricida in campo democratico) rende “non impossibile” la terza presidenza repubblicana consecutiva. Analizzando le medie dei sondaggi nazionali, il vantaggio di Obama nei confronti del senatore dell’Arizona è inferiore al margine d’errore statistico, con i tracking quotidiani di Gallup e Rasmussen Reports che oscillano, ormai da qualche giorno, tra un leggero vantaggio di McCain e la perfetta parità.

La situazione è ancora più complicata nel calcolo degli electoral votes, stato per stato, con Obama forse in grado di strappare ai repubblicani (rispetto al 2004) Colorado e New Mexico, ma in grave sofferenza in alcuni stati industriali del Nord, come Michigan e Wisconsin. Senza contare che il senatore dell’Illinois è molto più debole di Hillary nello stato-chiave della Florida. La mappa provvisoria del collegio elettorale di Real Clear Politics, ad oggi, assegna a Obama 228 voti (di cui soltanto 60 “solid”) e a McCain 198 (di cui 96 “solid”). Gli altri 120 electoral votes sono ancora nella colonna “toss-up”.

Si tratta degli undici stati (Nevada, Colorado, New Mexico, Missouri, Wisconsin, Michigan, Indiana, Ohio, Virginia, New Hampshire e North Carolina) in cui Obama e McCain si giocheranno le loro chance di vittoria. A dare retta esclusivamente ai sondaggi delle ultime settimane, necessariamente poco significativi a cinque mesi dal voto, Obama riuscirebbe a superare - a stento - la quota di 270 necessaria per vincere le elezioni. Ma McCain lo incalza a brevissima distanza. E basterebbe una vittoria in Ohio, tanto per fare un esempio, per regalare ai repubblicani la Casa Bianca. In un anno in cui neppure il più fedele dei sostenitori del Gop avrebbe scommesso un dollaro sul proprio partito.

UPDATE. Prima questo, poi questo. Sarà tutto vero, per carità, ma il giorno che inizierò a credere ai lanci di Associated Press sulla politica americana siete autorizzati a spararmi un colpo alla nuca. UPDATE/2. Appunto.

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