lunedì 23 marzo 2009

Fuoco amico

Una giornata storta può capitare a tutti. Ma quella che è toccata a Barack Obama sabato scorso sarà difficile da dimenticare. Coccolato dai mezzi d’informazione fin dal suo esordio sulla scena politica nazionale, il presidente americano sembra aver perso - nelle ultime settimane - una parte dell’appeal esercitato nei confronti dei media e, in genere, delle élite che hanno contribuito alla sua storica elezione. Nello stesso giorno (sabato, appunto), Obama è stato oggetto di tre editoriali, molto critici, pubblicati dal New York Times, il giornale che più di ogni altro, durante la campagna elettorale, si era distinto per la sua incrollabile ortodossia obamista. Il tutto mentre, su Internet, un altro commentatore del NYT, il recente premio Nobel per l’economia Paul Krugman, scriveva sul suo visitatissimo blog che il piano di salvataggio delle banche annunciato dal ministro del Tesoro, Tim Geithner, era quasi certamente destinato a fallire. Un concetto ripreso e approfondito ieri da Krugman, sempre nella pagina degli editoriali del New York Times.

Soltanto “fuoco amico”? O un segnale che qualcosa, nei rapporti tra Obama e la sua constituency naturale, non funziona più come prima? E quale è il ruolo del criticatissimo Geithner in tutta la vicenda? Ieri Markos Moulitsas, fondatore di Daily Kos, e “guru” della sinistra progressive, scriveva su Twitter (la piattaforma di micro-blogging) che «Geithner sta iniziando ad assomigliare al Rumsfeld di Obama». Un paragone blasfemo, per chi ritiene che il primo ministro della Difesa di Bush fosse l’incarnazione del Male sulla terra, ma anche l’indizio di un malessere profondo che serpeggia nel mondo della sinistra americana. Ieri Krugman scriveva esplicitamente del «senso di disperazione» che lo coglie quando analizza il piano di Geithner.

«Il ministro del Tesoro - spiega l’economista liberal - ha persuaso il presidente Obama a riciclare le politiche ideate dall’amministrazione Bush, in particolare il piano “cash for trash” proposto e poi abbandonato sei mesi fa da Henry Paulson». Come aveva scritto un paio di giorni prima sul suo blog, insomma, Krugman è convinto che abbiano vinto «le idee degli zombie». «È come - prosegue - se il presidente fosse determinato a confermare la crescente percezione di inadeguatezza sua e del suo team economico». Una percezione che potrebbe presto prosciugare il suo «capitale politico».

E se Krugman è «disperato», Thomas Friedman - un altro degli obamiani della prima ora - accusa addirittura la Casa Bianca di aver perso la sua capacità di «leadership ispirata», che è un po’ come dire a Berlusconi che non più in grado di raccontare barzellette. Secondo Friedman, «Obama ha perso una grande opportunità con lo scandalo dei bonus Aig», perché - invece di affidarsi alla reazione scomposta del Congresso - avrebbe dovuto chiedere ai manager (naturalmente in diretta televisiva) di rinunciare spontaneamente ai loro premi milionari.

Una tesi surreale, ma non come l’inizio dell’ultimo editoriale di Maureen Down (sempre obamiana, sempre sul NYT), che immagina uno spot che avrebbe potuto far vincere le elezioni a John McCain: Barack Obama che coltiva rucola organica (“arugola”, per l'America radical chic) nei giardini della Casa Bianca. Una fantasia superata dalla realtà, dopo le rivelazioni botaniche della first lady Michelle, pronta a costringere tutta la famiglia a mangiare verdura «che lo vogliano o no», che spinge la Dowd a chiedersi se «nello studio ovale non ci sia capitato l’Obama sbagliato».

Anche in questo caso, note di colore a parte, l’accusa principale mossa nei confronti di Obama è quella di essersi lasciato convincere da Geithner («nato e cresciuto repubblicano») a «coccolare l’élite di Wall Street». Meglio il decisionismo vegetariano di Michelle, insomma, rispetto alla debolezza dimostrata da Barack nei confronti degli “avidi capitalisti”.

Il senso della “grande ribellione” della sinistra nei confronti di Obama e della sua politica economica, a ben guardare, è tutto qui. Il presidente ha fatto campagna elettorale sostenendo, almeno in teoria, le ragioni di Main Street contro quelle di Wall Street. E oggi, secondo i suoi neo-detrattori, si è arreso al nemico senza neppure combattere. “Inventato” dai media, invocato dalla sinistra ed eletto sull’onda di una rivolta populista, oggi Obama sembra in grande difficoltà, nella gestione della crisi economica, proprio con i suoi alleati naturali. Intanto, per dirla con Krugman, il tempo passa inesorabile al ritmo di «600mila posti di lavoro persi ogni mese». E il capitale politico inizia a scarseggiare.

(domani in edicola su Liberal quotidiano)

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