RightNation
venerdì 30 gennaio 2009
Corse Clandestine - Sardegna
Secondo gli allibratori interni di casa Varenne, Offshore Dream avrebbe recentemente superato (di 2-3 lunghezze) il campione uscente Jag de Bellouet nel Grand Prix di Sardegna. Invariata, invece, rispetto alle rilevazioni precedenti, la situazione complessiva delle due scuderie principali. Considerando il fatto che gli allibratori in questione, come dicevamo, sono “di parte”, è lecito aspettarsi un testa-a-testa serrato tra i due cavalli fino al traguardo.
lunedì 26 gennaio 2009
Global Cooling (in italiano)
Il vecchio (aprile 1975) articolo di Newsweek sul “raffreddamento globale” che avevamo linkato qui è stato - finalmente - tradotto in italiano. Tutto merito di Grendel from the Moor.
venerdì 23 gennaio 2009
Un abbraccio (tardivo)
«Gli hanno schiantato addosso quattro aerei e lui ha risposto piantando la democrazia liberale in mezzo al deserto. Lo hanno insultato come mai nessuno prima e lui ha riscattato sessanta milioni di persone da due tirannie intollerabili. Errori ne ha commessi, grandi come i suoi propositi. In un mondo normale sarebbe un eroe, in quest'altro mondo lo hanno trattato da villano. Io gli ho voluto bene e ci tengo che resti scritto». Enzo Reale, 1972
mercoledì 21 gennaio 2009
Arab Mainstream Media
Hannan al-Masri, reporter della televisione Al Arabiya, è in diretta da Gaza quando le dicono che Hamas ha appena lanciato un missile dall'interno dell'edificio che ospita gli studi della tv. Una notizia che Hannan sembra trovare straordinariamente divertente... (hat tip: Little Green Footballs)
martedì 20 gennaio 2009
venerdì 16 gennaio 2009
giovedì 15 gennaio 2009
Tocqueville. Comunicazione di servizio
Cari cittadini (e visitatori) di Tocqueville,
purtroppo siamo costretti a rimandare ancora una volta la riapertura post-natalizia della Città dei Liberi. Il restyling (non solo estetico, ma strutturale) del sito è stato molto più lungo del previsto. E non riusciremo ad essere pronti prima di lunedì 2 febbraio. Adattare al nuovo "sistema" un database enorme come quello di Tocqueville.it (più di 1800 blog iscritti e più di 300mila post aggregati) non è affatto un'operazione semplice. Ma vi possiamo assicurare che, una volta completato il tutto, sarà valsa la pena aspettare qualche giorno in più. A parte una veste grafica totalmente rinnovata, dicevamo, i cambiamenti saranno anche sostanziali. Molto sinteticamente (queste cose è sempre meglio farle vedere, piuttosto che provare a raccontarle), la nuova home page sarà strutturata come un insieme di "widget" personalizzabili (le sezioni dell'aggregatore, i feed di ogni singolo blog, l'elenco dei nuovi cittadini, la parte riservata all'auto-aggregazione, i link, gli speciali, e tanto altro ancora) Ognuno potrà decidere quali di queste "componenti" utilizzare per comporre la propria pagina preferita. Ci sarà un'impostazione di partenza, naturalmente, ma in pratica il livello di interattività con gli elementi che compongono la home page sarà pressoché totale. Sezioni speciali monografiche e nuovi strumenti di social networking completeranno il tutto. Perdonateci ancora per il ritardo, dunque, e arrivederci 2 febbraio.
purtroppo siamo costretti a rimandare ancora una volta la riapertura post-natalizia della Città dei Liberi. Il restyling (non solo estetico, ma strutturale) del sito è stato molto più lungo del previsto. E non riusciremo ad essere pronti prima di lunedì 2 febbraio. Adattare al nuovo "sistema" un database enorme come quello di Tocqueville.it (più di 1800 blog iscritti e più di 300mila post aggregati) non è affatto un'operazione semplice. Ma vi possiamo assicurare che, una volta completato il tutto, sarà valsa la pena aspettare qualche giorno in più. A parte una veste grafica totalmente rinnovata, dicevamo, i cambiamenti saranno anche sostanziali. Molto sinteticamente (queste cose è sempre meglio farle vedere, piuttosto che provare a raccontarle), la nuova home page sarà strutturata come un insieme di "widget" personalizzabili (le sezioni dell'aggregatore, i feed di ogni singolo blog, l'elenco dei nuovi cittadini, la parte riservata all'auto-aggregazione, i link, gli speciali, e tanto altro ancora) Ognuno potrà decidere quali di queste "componenti" utilizzare per comporre la propria pagina preferita. Ci sarà un'impostazione di partenza, naturalmente, ma in pratica il livello di interattività con gli elementi che compongono la home page sarà pressoché totale. Sezioni speciali monografiche e nuovi strumenti di social networking completeranno il tutto. Perdonateci ancora per il ritardo, dunque, e arrivederci 2 febbraio.
Global Cooling
Leggete questo articolo di Newsweek, datato 28 aprile 1975 (cliccando sull'immagine, si aprirà una versione più grande). Vi ricorda qualcosa?
mercoledì 14 gennaio 2009
Corse Clandestine - Sardegna
Dicono i bene informati che i sondaggi in Sardegna sono difficili da interpretare. Nella corsa alla poltrona di governatore, infatti, Renato Soru (che in vista dell'oscuramento pre-elettorale inizieremo a chiamare “Jag de Bellouet”), il presidente uscente sostenuto dalla gioiosa macchina da guerra ulivista (Pd, Idv, Prc, Pdci, Verdi e sinistri vari ed eventuali), sarebbe in vantaggio di 4-5 punti su Ugo Cappellacci (da oggi “Offshore Dream”), il candidato sostenuto da PdL, Udc, Partito Sardo d'Azione e cespuglietti di centrodestra. La situazione, però, sarebbe totalmente rovesciata se si sommano i risultati ottenuti dalla varie liste. In questo caso, anzi, il vantaggio del centrodestra sfiorerebbe addirittura i dieci punti percentuali.
Il dilemma, a questo punto, è chiaro. Prevarrà, come spesso accade soprattutto nelle sfide elettorali per i Comuni, la spinta data alla coalizione del candidato-governatore? Oppure, come sembra più frequente quando si vota per le Regioni, il ruolo dei singoli partiti sarà prevalente rispetto a quello del leader della coalizione? Una sola cosa è certa: con i numeri che circolano in questi giorni negli istituti di ricerca (e che gli organi d'informazione si guardano bene dal pubblicare) l'ipotesi più probabile è quella di un testa-a-testa all'ultimo voto.
Il dilemma, a questo punto, è chiaro. Prevarrà, come spesso accade soprattutto nelle sfide elettorali per i Comuni, la spinta data alla coalizione del candidato-governatore? Oppure, come sembra più frequente quando si vota per le Regioni, il ruolo dei singoli partiti sarà prevalente rispetto a quello del leader della coalizione? Una sola cosa è certa: con i numeri che circolano in questi giorni negli istituti di ricerca (e che gli organi d'informazione si guardano bene dal pubblicare) l'ipotesi più probabile è quella di un testa-a-testa all'ultimo voto.
martedì 13 gennaio 2009
Il segreto (istruttorio) di Pulcinella
Tra tutte le “scuse” che potevano escogitare per opporsi al progetto di “cancelleria unica”, i magistrati hanno decisamente scelto la più tortuosa. Il protocollo siglato a fine novembre tra i ministri Alfano e Brunetta - e rilanciato con alte grida di sdegno da Repubblica nei giorni scorsi - prevede la messa a punto di un «mega cervellone informatico» (parole del quotidiano fondato da Eugenio Scalfari) in grado di contenere i dati di tutte le inchieste giudiziare italiane. Apriti cielo. L’Anm si è subito lamentata per non essere stata interpellata. Il Csm è in fibrillazione, ma non può ancora intervenire ufficialmente, visto che si tratta soltanto di un protocollo e non di un decreto o un disegno di legge. Sulla questione di metodo, si può anche comprendere l’irritazione togata. Ma è quando intervengono nel merito della vicenda che i magistrati non sembrano avere paura di sfidare il senso del ridicolo.
Il presidente dell’Anm, Luca Palamara, si dice «favorevole all’informatizzazione», che effettivamente è sempre stato un cavallo di battaglia della sua associazione, ma è preoccupato per «la segretezza degli atti di indagine, soprattutto nei momenti più cruciali dell’attività investigativa, a partire dalle sue prime battute». E il procuratore aggiunto di Milano, Armando Spataro, in una lunga intervista (concessa sempre a Repubblica), rincara la dose. «Ben venga lo sforzo di automatizzazione del sistema - dice - ma non possiamo ignorare l’esistenza di una soglia invalicabile tra ciò che non è coperto da segreto, e può essere messo a disposizione delle forze di polizia e degli attori del processo, e ciò che è segreto e deve rimanere nella disponibilità esclusiva del pubblico ministero, come impone la legge».
Parole sacrosante, se non fosse che per un piccolo, insignificante, particolare. In Italia, il “segreto” che dovrebbe proteggere gli atti giudiziari è il più classico dei “segreti di Pulcinella”. Tribunali, procure, cancellerie: tutto, nel nostro Paese, sembra riuscire a sfuggire a quasiasi tentativo di secretazione, che si tratti di atti sensibili ai fini delle indagini o di intercettazioni telefoniche buone soltanto a riempire le pagine dei giornali di gossip. E non si ha traccia, nella storia recente della Repubblica, di un solo pubblico ministero che si sia mai scomodato nel portare a termine un’inchiesta sulle fughe di notizie che affliggono quotidianamente il sistema-giustizia. Non un magistrato, un poliziotto, un avvocato, un usciere, neppure un semplice capro espiatorio è mai stato condannato per aver contribuito a violare «la libertà e la privacy dei cittadini». Eppure adesso, come d’incanto, quello che una volta veniva chiamato “segreto istruttorio” diventa, per la casta dei magistrati, un valore da difendere ad ogni costo. Dopo essere stato allegramente ignorato per decenni.
«La fuga di notizie, come l’intrusione telematica, è sempre possibile - aggiunge Spataro - ma nel sistema bilaterale di oggi i possibili responsabili della violazione del segreto sono di numero circoscritto. Nell’altro caso, no. Nessun sistema informatico è sicuro, mentre può esserlo l’organizzazione degli uomini che lo gestiscono». Dice bene, il procuratore milanese: il problema non sono tanto i sistemi tecnici di protezione dei dati, quanto il comportamento degli uomini che questi dati sarebbero chiamati a proteggere. Perché, allora, prendersela tanto con la “cancelleria virtuale” ideata da Alfano e Brunetta (efficiente o meno che sia), quando non si è fatto mai nulla contro chi - scientificamente e sistematicamente - viola i segreti delle “cancellerie reali”?
(domani in edicola su Liberal quotidiano)
Il presidente dell’Anm, Luca Palamara, si dice «favorevole all’informatizzazione», che effettivamente è sempre stato un cavallo di battaglia della sua associazione, ma è preoccupato per «la segretezza degli atti di indagine, soprattutto nei momenti più cruciali dell’attività investigativa, a partire dalle sue prime battute». E il procuratore aggiunto di Milano, Armando Spataro, in una lunga intervista (concessa sempre a Repubblica), rincara la dose. «Ben venga lo sforzo di automatizzazione del sistema - dice - ma non possiamo ignorare l’esistenza di una soglia invalicabile tra ciò che non è coperto da segreto, e può essere messo a disposizione delle forze di polizia e degli attori del processo, e ciò che è segreto e deve rimanere nella disponibilità esclusiva del pubblico ministero, come impone la legge».
Parole sacrosante, se non fosse che per un piccolo, insignificante, particolare. In Italia, il “segreto” che dovrebbe proteggere gli atti giudiziari è il più classico dei “segreti di Pulcinella”. Tribunali, procure, cancellerie: tutto, nel nostro Paese, sembra riuscire a sfuggire a quasiasi tentativo di secretazione, che si tratti di atti sensibili ai fini delle indagini o di intercettazioni telefoniche buone soltanto a riempire le pagine dei giornali di gossip. E non si ha traccia, nella storia recente della Repubblica, di un solo pubblico ministero che si sia mai scomodato nel portare a termine un’inchiesta sulle fughe di notizie che affliggono quotidianamente il sistema-giustizia. Non un magistrato, un poliziotto, un avvocato, un usciere, neppure un semplice capro espiatorio è mai stato condannato per aver contribuito a violare «la libertà e la privacy dei cittadini». Eppure adesso, come d’incanto, quello che una volta veniva chiamato “segreto istruttorio” diventa, per la casta dei magistrati, un valore da difendere ad ogni costo. Dopo essere stato allegramente ignorato per decenni.
«La fuga di notizie, come l’intrusione telematica, è sempre possibile - aggiunge Spataro - ma nel sistema bilaterale di oggi i possibili responsabili della violazione del segreto sono di numero circoscritto. Nell’altro caso, no. Nessun sistema informatico è sicuro, mentre può esserlo l’organizzazione degli uomini che lo gestiscono». Dice bene, il procuratore milanese: il problema non sono tanto i sistemi tecnici di protezione dei dati, quanto il comportamento degli uomini che questi dati sarebbero chiamati a proteggere. Perché, allora, prendersela tanto con la “cancelleria virtuale” ideata da Alfano e Brunetta (efficiente o meno che sia), quando non si è fatto mai nulla contro chi - scientificamente e sistematicamente - viola i segreti delle “cancellerie reali”?
(domani in edicola su Liberal quotidiano)
lunedì 12 gennaio 2009
Joe Goes To Israel
«The people of Sderot can’t do normal things day to day, like get soap in their eyes in the shower, for fear a rocket might come in. I’m sure they’re taking quick showers. I know I would (...). I know if I were a citizen here, I’d be damned upset. I'm a peaceloving man, but when someone hits me, I’m going to unload on the boy. And if the rest of the world doesn’t understand that, then I’m sorry (...). Do you think this is normal, the way you cover this conflict and give away information to your enemy? It makes me sick to see the way you behave - you guys need to be protective of your homes, your children, your family. I am angry, and this is why I came here».
Joe “The Plumber” Wuerzelbacher, Pajamas Media
Round-Up: Jerusalem Post, PoliBlog, Israel Matzav, Power Line, Patterico's Pontifications
Joe “The Plumber” Wuerzelbacher, Pajamas Media
Round-Up: Jerusalem Post, PoliBlog, Israel Matzav, Power Line, Patterico's Pontifications
sabato 10 gennaio 2009
Fake News Network
Questo video trasmesso dalla CNN è chiaramente un falso (come ampiamente dimostrato - tra gli altri - da Little Green Footballs, Hot Air, Confederate Yankee e Newsbusters.org): spiegateci come un missile possa colpire un tetto, uccidere due bambini e contemporaneamente fare meno danni di un petardo. Eppure il Fake News Network, dopo averlo rimosso in tutta fretta dal suo sito, ha deciso di rimetterlo online. Sfidando il buonsenso e la decenza in nome della propaganda anti-israeliana.
venerdì 9 gennaio 2009
Dedicato a...
...tutti quelli ancora convinti che, con Obama presidente, la politica estera degli Stati Uniti rimarrà la stessa.
Round-Up: Pajamas Media, Hot Air, Sister Toldjah, Atlas Shrugs, Jihad Watch, The Astute Bloggers, Infidel Bloggers Alliance, Yid With Lid, American Power, Macsmind, RBO, Stop The ACLU, Soccer Dad, Israel Matzav
Round-Up: Pajamas Media, Hot Air, Sister Toldjah, Atlas Shrugs, Jihad Watch, The Astute Bloggers, Infidel Bloggers Alliance, Yid With Lid, American Power, Macsmind, RBO, Stop The ACLU, Soccer Dad, Israel Matzav
giovedì 8 gennaio 2009
mercoledì 7 gennaio 2009
Equidistanza
Il canale televisivo (pubblico) francese “France 2” ha ammesso ieri di aver trasmesso fotografie “false” durante un servizio televisivo sull'operazione militare israeliana “Cast Lead”. Le immagini, che raffiguravano dozzine di cadaveri (civili palestinesi uccisi, secondo France 2, durante un raid aereo della IAF del 1° gennaio), erano state in realtà scattate nel 2005, dopo che un camion pieno di esplosivi era saltato in aria nel campo profughi di Jabaliya, prima di poter portare a destinazione il proprio carico di morte. Dall'informazione “equidistante”, del resto, non ci si può aspettare molto di più.
domenica 4 gennaio 2009
venerdì 2 gennaio 2009
War 2.0
Qualcuno già inizia a chiamarla “War 2.0”. Ed è l’altra faccia della guerra contemporanea, quella che non si combatte per aria, terra o mare, ma in quella zona - a metà strada tra la realtà e l’immaginazione - in cui abitano i media, vecchi e nuovi. Una guerra che negli ultimi anni è diventata sempre più importante, visto il ruolo esercitato dalle “opinioni pubbliche” mondiali nei confronti dei governi occidentali. E nella quale gli israeliani si sono sempre, sistematicamente, ritrovati a soccombere nei confronti del “nemico”. Almeno fino ad oggi.
Qualche esempio in ordine sparso. Nell’autunno del 2000, la morte del dodicenne palestinese Muhammad al-Durrah diventa il simbolo della furia cieca dell’esercito israeliano. E le immagini della sua uccisione, girate da un operatore palestinese per la televisione France 2, fanno il giro del mondo scatenando un’ondata di commozione e sdegno. Dovranno passare due anni prima di scoprire che si era trattato di una “montatura” orchestrata ad uso e consumo dei media e delle organizzazioni non governative filo-palestinesi.
Nell’aprile del 2002, nel corso dell’operazione “Defensive Shield” condotta durante la “seconda intifada”, le Israel Defense Forces “bonificano” il campo profughi di Jenin, utilizzato dai terroristi come avamposto per gli attacchi condotti contro le città e i villaggi israeliani della West Bank. Immediatamente, nel mondo arabo (e nei media occidentali) si inizia a parlare del “Massacro di Jenin” e di centinaia di morti palestinesi, quasi tutti donne e bambini, macellati dalle brutali forze d’occupazione. La Cnn parla di 500 morti. Ed è una delle stime più basse tra quelle che circolano, come impazzite, negli organi internazionali d’informazione. In realtà i morti palestinesi sono una cinquantina (numeri confermati in seguito anche da Fatah), di cui 5 civili, contro le 23 vittime tra i soldati israeliani. Il “massacro” più equilibrato della storia.
La campagna di disinformazione contro Israele raggiunge il suo culmine, nel 2006, durante la seconda guerra in Libano. Le condanne per gli «attacchi indiscriminati» e i «crimini di guerra» si succedono quotidianamente. Alcune agenzie di stampa - Reuters in prima linea - vengono colte con le mani nel sacco a “ritoccare” fotografie in senso anti-israeliano (un fotografo, autore di almeno una decina di “falsi”, viene licenziato). Dopo un attacco aereo ordinato dal primo ministro Olmert, i giganteschi titoli dei giornali che parlano di «migliaia di morti civili» spingono addirittura gli israeliani a sospendere per 48 ore qualsiasi operazione militare dall’aria, permettendo a Hezbollah di riorganizzarsi ed estendere il conflitto. Pochi giorni più tardi, Human Rights Watch smentisce la strage. Ma ormai il danno è fatto.
Sono solo alcuni tra le decine di casi in cui Israele, pur conseguendo risultati importanti sul fronte militare, va incontro ad una sconfitta disastrosa sul fronte mediatico. Secondo uno schema di triangolazione, ormai consolidato, che coinvolge l’estremismo islamico, i mezzi d’informazione internazionali, la maggior parte delle organizzazioni “umanitarie” (finanziate spesso dai governi europei) e - naturalmente - le Nazioni Unite. Questa volta, però, gli israeliani hanno deciso di combattere anche su questo fronte. Con tutte le armi a loro disposizione.
La parte più “visibile” di questa offensiva è rappresentata dalla decisione dell’Idf di aprire un “canale” su YouTube per mettere a disposizione di tutti le riprese dei bombardamenti di precisione effettuati a Gaza durante l’operazione “Cast Lead”. Un modo per dimostrare, con i fatti, che l’aeronautica israeliana non colpisce indiscriminatamente. Seguendo una politica a dir poco ambigua (che permette agli utenti di “segnalare” il contenuto sgradito), YouTube ha in realtà cancellato molti dei video dopo poche ore. Ma si è trattato di un tempo sufficiente per permettere l’inizio di una diffusione “virale” che ha contagiato estese porzioni del cyberspazio.
«La blogosfera e i new media rappresentano una vera e propria zona di guerra. Una zona di guerra in cui dobbiamo diventare competitivi», ha dichiarato il maggiore Avital Leibovich, responsabile dell’esercito per i rapporti con la stampa internazionale. «La cosa più importante - ha aggiunto - è riuscire a diffondere la verità». E alcuni alti ufficiali sono già pronti a dare vita a “video-blog” personali - anche in inglese e in arabo - per comunicare direttamente con l’opinione pubblica, scavalcando l’intermediazione dei media tradizionali. E quella su YouTube non è un’iniziativa isolata.
Il consolato israeliano di New York ha organizzato una conferenza stampa su Twitter (un servizio di “microblogging” molto diffuso) per rispondere alle domande dei media sulla situazione a Gaza. La scorsa settimana, migliaia di abitanti palestinesi della Striscia hanno ricevuto un messaggio, sui loro telefoni cellulari, con cui l’esercito israeliano li invitava ad allontanarsi in fretta dalla case dove i militanti di Hamas avevano accumulato armi (e che dunque potevano essere obiettivi militari). Il governo e l’esercito hanno messo in piedi una serie di siti Internet - molto curati e aggiornati - in cui chiunque può consultare documenti e statistiche relative al lancio di missili da parte di Hamas sulle città meridionali del Paese.
Si tratta solo di un primo passo, naturalmente, perché per recuperare lo svantaggio mediatico accumulato negli ultimi anni ci vorrà più di qualche sito Internet e di una decina di video. Ma si tratta di un passo importante che, almeno dentro i confini israeliani, qualche risultato sembra averlo prodotto: l’81% dei cittadini israeliani appoggia l’intervento militare a Gaza. Adesso è arrivato il momento di convincere anche il resto dell’Occidente.
(domani in edicola su Liberal Quotidiano)
Qualche esempio in ordine sparso. Nell’autunno del 2000, la morte del dodicenne palestinese Muhammad al-Durrah diventa il simbolo della furia cieca dell’esercito israeliano. E le immagini della sua uccisione, girate da un operatore palestinese per la televisione France 2, fanno il giro del mondo scatenando un’ondata di commozione e sdegno. Dovranno passare due anni prima di scoprire che si era trattato di una “montatura” orchestrata ad uso e consumo dei media e delle organizzazioni non governative filo-palestinesi.
Nell’aprile del 2002, nel corso dell’operazione “Defensive Shield” condotta durante la “seconda intifada”, le Israel Defense Forces “bonificano” il campo profughi di Jenin, utilizzato dai terroristi come avamposto per gli attacchi condotti contro le città e i villaggi israeliani della West Bank. Immediatamente, nel mondo arabo (e nei media occidentali) si inizia a parlare del “Massacro di Jenin” e di centinaia di morti palestinesi, quasi tutti donne e bambini, macellati dalle brutali forze d’occupazione. La Cnn parla di 500 morti. Ed è una delle stime più basse tra quelle che circolano, come impazzite, negli organi internazionali d’informazione. In realtà i morti palestinesi sono una cinquantina (numeri confermati in seguito anche da Fatah), di cui 5 civili, contro le 23 vittime tra i soldati israeliani. Il “massacro” più equilibrato della storia.
La campagna di disinformazione contro Israele raggiunge il suo culmine, nel 2006, durante la seconda guerra in Libano. Le condanne per gli «attacchi indiscriminati» e i «crimini di guerra» si succedono quotidianamente. Alcune agenzie di stampa - Reuters in prima linea - vengono colte con le mani nel sacco a “ritoccare” fotografie in senso anti-israeliano (un fotografo, autore di almeno una decina di “falsi”, viene licenziato). Dopo un attacco aereo ordinato dal primo ministro Olmert, i giganteschi titoli dei giornali che parlano di «migliaia di morti civili» spingono addirittura gli israeliani a sospendere per 48 ore qualsiasi operazione militare dall’aria, permettendo a Hezbollah di riorganizzarsi ed estendere il conflitto. Pochi giorni più tardi, Human Rights Watch smentisce la strage. Ma ormai il danno è fatto.
Sono solo alcuni tra le decine di casi in cui Israele, pur conseguendo risultati importanti sul fronte militare, va incontro ad una sconfitta disastrosa sul fronte mediatico. Secondo uno schema di triangolazione, ormai consolidato, che coinvolge l’estremismo islamico, i mezzi d’informazione internazionali, la maggior parte delle organizzazioni “umanitarie” (finanziate spesso dai governi europei) e - naturalmente - le Nazioni Unite. Questa volta, però, gli israeliani hanno deciso di combattere anche su questo fronte. Con tutte le armi a loro disposizione.
La parte più “visibile” di questa offensiva è rappresentata dalla decisione dell’Idf di aprire un “canale” su YouTube per mettere a disposizione di tutti le riprese dei bombardamenti di precisione effettuati a Gaza durante l’operazione “Cast Lead”. Un modo per dimostrare, con i fatti, che l’aeronautica israeliana non colpisce indiscriminatamente. Seguendo una politica a dir poco ambigua (che permette agli utenti di “segnalare” il contenuto sgradito), YouTube ha in realtà cancellato molti dei video dopo poche ore. Ma si è trattato di un tempo sufficiente per permettere l’inizio di una diffusione “virale” che ha contagiato estese porzioni del cyberspazio.
«La blogosfera e i new media rappresentano una vera e propria zona di guerra. Una zona di guerra in cui dobbiamo diventare competitivi», ha dichiarato il maggiore Avital Leibovich, responsabile dell’esercito per i rapporti con la stampa internazionale. «La cosa più importante - ha aggiunto - è riuscire a diffondere la verità». E alcuni alti ufficiali sono già pronti a dare vita a “video-blog” personali - anche in inglese e in arabo - per comunicare direttamente con l’opinione pubblica, scavalcando l’intermediazione dei media tradizionali. E quella su YouTube non è un’iniziativa isolata.
Il consolato israeliano di New York ha organizzato una conferenza stampa su Twitter (un servizio di “microblogging” molto diffuso) per rispondere alle domande dei media sulla situazione a Gaza. La scorsa settimana, migliaia di abitanti palestinesi della Striscia hanno ricevuto un messaggio, sui loro telefoni cellulari, con cui l’esercito israeliano li invitava ad allontanarsi in fretta dalla case dove i militanti di Hamas avevano accumulato armi (e che dunque potevano essere obiettivi militari). Il governo e l’esercito hanno messo in piedi una serie di siti Internet - molto curati e aggiornati - in cui chiunque può consultare documenti e statistiche relative al lancio di missili da parte di Hamas sulle città meridionali del Paese.
Si tratta solo di un primo passo, naturalmente, perché per recuperare lo svantaggio mediatico accumulato negli ultimi anni ci vorrà più di qualche sito Internet e di una decina di video. Ma si tratta di un passo importante che, almeno dentro i confini israeliani, qualche risultato sembra averlo prodotto: l’81% dei cittadini israeliani appoggia l’intervento militare a Gaza. Adesso è arrivato il momento di convincere anche il resto dell’Occidente.
(domani in edicola su Liberal Quotidiano)
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