Mentre tutti gli organi d'informazione mondiali riportavano la notizia del fallito attentato sul volo Amsterdam-Detroit, e mentre era già noto che il terrorista nigeriano si era dichiarato un "affiliato di al-Qaeda", che era già conosciuto dalle unità anti-terrorismo di molti paesi e che, soprattutto, la strage era stata evitata soltanto per il mancato funzionamento dell'innesco, la gloriosa CNN scriveva: "Passeggero accende fuoco d'artificio a bordo di un aereo". Leggere qui sotto per credere...
RightNation
domenica 27 dicembre 2009
lunedì 21 dicembre 2009
martedì 15 dicembre 2009
Il volto oscuro dell'ambientalismo
Con un breve saggio che prende spunto dall'ultimo libro del francese Laurent Larcher sul “volto oscuro dell'ambientalismo”, parte con il numero in edicola oggi la collaborazione dell'ottimo Marco Respinti con Liberal quotidiano. Per dargli il benvenuto, pubblichiamo uno stralcio del suo articolo.
(...) sulle “ecoballe” esiste oramai anche in italiano una buona bibliografia specifica. Eppure il nodo autentico della vicenda ancora non è questo. Per ciò appare assolutamente indispensabile la lettura de “Il volto oscuro dell’ecologia. Che cosa nasconde la più grande ideologia del XXI secolo?”, il libro di Laurent Larcher, appena edito in versione italiana dalla torinese Lindau. (...) Un giornalista di altro profilo, certamente engagé, ma altrettanto certamente non descrivibile come un “reazionario oscurantista”, che ha il coraggio di chiamare le cose con il nome che hanno: per esempio “ideologia” l’ecologismo, anzi l’ideologia maggiore che stia funestando questo primo decennio di millennio nuovo. Perché? Perché ad avviso di Larcher, ed egli lo dimostra con raffinatezza e precisione nel libro, il “pensiero verde” è attualmente la punta più avanzata e acuminata del sentimento antiumano: anzi, un pensiero radicalmente anticristiano poiché antiumano e antiumano giacché anticristiano, così corroborando l’idea che la cultura cristiana sia latrice dell’unico, vero umanesimo possibile e riconquistando l’idea “umanista” alla tradizione cristiana.
Quello del giornalista francese, insomma, non è un libro in più nel novero di quanti si peritano, opportunamente, di smontare a norma di scienza vera le illazioni ecologiste; è un libro molto diverso, persino più importante di altri scritti sul tema proprio perché si spinge alla radice del pensiero verde. Questa sua “contro-bibbia” dell’ambientalismo coglie infatti in castagna le premesse filosofiche su cui la grande bugia verde è stata costruita nel tempo, ravvisandoci un coacervo eterogeneo di teorie smozzicate e d’idee peregrine mescolate in un calderone talvolta contraddittorio e caotico, ma solo apparentemente inconcludente. Dottrine, pensieri e parole che riguardano la teoria del “pianeta vivente” Gaia, il mito di un “paradiso perduto” di foggia solo materiale e materialistica, l’idea del “buon selvaggio”, l’animalismo più radicale e persino le fantasie su Atlantide si rincorrono e si abbracciano dentro il pentolone dell’ecologismo profondo, cercando di emarginare l’essere umano dal panorama di una natura presupposta pura e incontaminata. (...) Se l’uomo è un virus, infatti, anzi l’unico solo virus davvero nocivo a una natura altrimenti bastevole a se stessa e autoconservativa, ogni azione umana è in quanto tale intrinsecamente errata e dannosa. Ecco qua come l’ideologismo del “mito verde” persegue la propria battaglia radicale contro l’uomo in forma debolista, rinunciando cioè alla verità delle cose sulla natura e sull’uomo, e introducendo un catechismo di superstizioni desunto dall’ampio catalogo delle contro-verità illuministiche, progressistiche e neopagane. Contro l’uomo creatura, quindi, e contro il suo Creatore, in una versione ammodernata della vecchia hybris giacobina, comunista e nazionalsocialista.
Diversi lo sono solo in apparenza i padri di questo pensiero irriducibilmente contrario all’uomo, pensatori che si rifiutano di riconoscerne il ruolo di steward di una natura che, in realtà, senza la continua azione trasformatrice proprio dell’uomo in breve soccomberebbe a se stessa. Dal fondatore dell’“ecosofia”, il norvegese Arne Naess (1912-2009), al teorico di Gaia James Lovelock, dal padre del neopaganesimo contemporaneo “di destra” Alain De Benoist” al padrino del neopaganesimo sessantottino di sinistra Daniel Cohn-Bendit, dal teologo tedesco della disubbidienza Eugen Drewermann al grande profeta dell’ambientalismo odierno, l’ex vicepresidente degli Stati Uniti Al Gore: in ognuno di costoro decisivo è il disprezzo verso l’uomo e le sue realtà, l’odio per le sue intraprese e la sua libertà responsabile, il ribrezzo nei confronti della sua dimensione creaturale e la sua signoria graziosa sul mondo animale, vegetale e minerale (...).
(...) sulle “ecoballe” esiste oramai anche in italiano una buona bibliografia specifica. Eppure il nodo autentico della vicenda ancora non è questo. Per ciò appare assolutamente indispensabile la lettura de “Il volto oscuro dell’ecologia. Che cosa nasconde la più grande ideologia del XXI secolo?”, il libro di Laurent Larcher, appena edito in versione italiana dalla torinese Lindau. (...) Un giornalista di altro profilo, certamente engagé, ma altrettanto certamente non descrivibile come un “reazionario oscurantista”, che ha il coraggio di chiamare le cose con il nome che hanno: per esempio “ideologia” l’ecologismo, anzi l’ideologia maggiore che stia funestando questo primo decennio di millennio nuovo. Perché? Perché ad avviso di Larcher, ed egli lo dimostra con raffinatezza e precisione nel libro, il “pensiero verde” è attualmente la punta più avanzata e acuminata del sentimento antiumano: anzi, un pensiero radicalmente anticristiano poiché antiumano e antiumano giacché anticristiano, così corroborando l’idea che la cultura cristiana sia latrice dell’unico, vero umanesimo possibile e riconquistando l’idea “umanista” alla tradizione cristiana.
Quello del giornalista francese, insomma, non è un libro in più nel novero di quanti si peritano, opportunamente, di smontare a norma di scienza vera le illazioni ecologiste; è un libro molto diverso, persino più importante di altri scritti sul tema proprio perché si spinge alla radice del pensiero verde. Questa sua “contro-bibbia” dell’ambientalismo coglie infatti in castagna le premesse filosofiche su cui la grande bugia verde è stata costruita nel tempo, ravvisandoci un coacervo eterogeneo di teorie smozzicate e d’idee peregrine mescolate in un calderone talvolta contraddittorio e caotico, ma solo apparentemente inconcludente. Dottrine, pensieri e parole che riguardano la teoria del “pianeta vivente” Gaia, il mito di un “paradiso perduto” di foggia solo materiale e materialistica, l’idea del “buon selvaggio”, l’animalismo più radicale e persino le fantasie su Atlantide si rincorrono e si abbracciano dentro il pentolone dell’ecologismo profondo, cercando di emarginare l’essere umano dal panorama di una natura presupposta pura e incontaminata. (...) Se l’uomo è un virus, infatti, anzi l’unico solo virus davvero nocivo a una natura altrimenti bastevole a se stessa e autoconservativa, ogni azione umana è in quanto tale intrinsecamente errata e dannosa. Ecco qua come l’ideologismo del “mito verde” persegue la propria battaglia radicale contro l’uomo in forma debolista, rinunciando cioè alla verità delle cose sulla natura e sull’uomo, e introducendo un catechismo di superstizioni desunto dall’ampio catalogo delle contro-verità illuministiche, progressistiche e neopagane. Contro l’uomo creatura, quindi, e contro il suo Creatore, in una versione ammodernata della vecchia hybris giacobina, comunista e nazionalsocialista.
Diversi lo sono solo in apparenza i padri di questo pensiero irriducibilmente contrario all’uomo, pensatori che si rifiutano di riconoscerne il ruolo di steward di una natura che, in realtà, senza la continua azione trasformatrice proprio dell’uomo in breve soccomberebbe a se stessa. Dal fondatore dell’“ecosofia”, il norvegese Arne Naess (1912-2009), al teorico di Gaia James Lovelock, dal padre del neopaganesimo contemporaneo “di destra” Alain De Benoist” al padrino del neopaganesimo sessantottino di sinistra Daniel Cohn-Bendit, dal teologo tedesco della disubbidienza Eugen Drewermann al grande profeta dell’ambientalismo odierno, l’ex vicepresidente degli Stati Uniti Al Gore: in ognuno di costoro decisivo è il disprezzo verso l’uomo e le sue realtà, l’odio per le sue intraprese e la sua libertà responsabile, il ribrezzo nei confronti della sua dimensione creaturale e la sua signoria graziosa sul mondo animale, vegetale e minerale (...).
domenica 13 dicembre 2009
Tolleranza
Il liberale ama la tolleranza e la libertà. Il suo amore per la tolleranza è la necessaria conseguenza della convinzione di essere uomini fallibili. Tuttavia, egli è tollerante con i tolleranti, ma intollerante con gli intolleranti. La tolleranza, al pari della libertà, non può essere illimitata, altrimenti si autodistrugge. Infatti, la tolleranza illimitata porta alla scomparsa della tolleranza. Se estendiamo l'illimitata tolleranza anche a coloro che sono intolleranti, se non siamo disposti a difendere una società tollerante contro l'attacco degli intolleranti, allora i tolleranti saranno distrutti e la tolleranza con essi.
(Karl R. Popper, Congetture e confutazioni)
(Karl R. Popper, Congetture e confutazioni)
giovedì 10 dicembre 2009
Perspective
Date un'occhiata ai grafici qui sotto (via Anthony Watts). Il primo è quello che vi spacciano da decenni sui mainstream media, magari un po' ritoccato per renderlo più drammatico. L'hockey stick che dimostrerebbe come il processo d'industrializzazione - e dunque l'uomo - sia responsabile diretto del surriscaldamento terrestre. Anche senza taroccare i dati (in questo caso si tratta di misurazioni affidabili), la prima impressione è che i catastrofisti abbiano ragione, almeno se ci limitiamo agli ultimi 500 anni.
Se andiamo indietro nel tempo, però, la “great global warming swindle” emerge in tutta la sua gigantesca evidenza. Nel secondo grafico si nota benissimo il Medieval Warm Period che i climatologi-truffatori cercano sempre di nascondere (perché basterebbe, da solo, a falsificare la loro teoria).
Nel terzo si vede la Little Ice Age che lo ha preceduto, e si iniziano a intuire gli sbalzi di temperatura - anche vistosi - degli ultimi 5000 anni.
Nel quarto si capisce perfettamente che per quasi tutto l'olocene (l'epoca geologica più recente, iniziata circa 11.700 anni fa), la temperatura è stata più alta di quella che abbiamo oggi.
Nel quinto si vede chiaramente la terra emergere dall'ultima era glaciale e diventare come la conosciamo ora (agricoltura e civilizzazione compresa).
Osservando il sesto e ultimo grafico, infine, qualsiasi essere senziente (non Al Gore, dunque) è in grado di comprendere come siano le glaciazioni lo “standard” del nostro pianeta negli ultimi 500.000 anni, mentre i periodi di “pausa” durano, in genere, “appena” 10.000 anni. Come scrive Watts: «siamo parecchio fortunati a vivere in questo raro, caldo periodo della storia climatica terrestre».
Se andiamo indietro nel tempo, però, la “great global warming swindle” emerge in tutta la sua gigantesca evidenza. Nel secondo grafico si nota benissimo il Medieval Warm Period che i climatologi-truffatori cercano sempre di nascondere (perché basterebbe, da solo, a falsificare la loro teoria).
Nel terzo si vede la Little Ice Age che lo ha preceduto, e si iniziano a intuire gli sbalzi di temperatura - anche vistosi - degli ultimi 5000 anni.
Nel quarto si capisce perfettamente che per quasi tutto l'olocene (l'epoca geologica più recente, iniziata circa 11.700 anni fa), la temperatura è stata più alta di quella che abbiamo oggi.
Nel quinto si vede chiaramente la terra emergere dall'ultima era glaciale e diventare come la conosciamo ora (agricoltura e civilizzazione compresa).
Osservando il sesto e ultimo grafico, infine, qualsiasi essere senziente (non Al Gore, dunque) è in grado di comprendere come siano le glaciazioni lo “standard” del nostro pianeta negli ultimi 500.000 anni, mentre i periodi di “pausa” durano, in genere, “appena” 10.000 anni. Come scrive Watts: «siamo parecchio fortunati a vivere in questo raro, caldo periodo della storia climatica terrestre».
martedì 8 dicembre 2009
Global Cooling
Secondo un sondaggio Opinion Research per CNN, il numero di cittadini americani che crede che il “global warming” sia causato dall'uomo è sceso dal 54% della scorsa estate al 45% di oggi. E, per Rasmussen Reports, il 59% degli americani pensa che sia “molto probabile” (35%) o “abbastanza probabile” (24%) che «alcuni climatologi abbiano falsificato i dati per supportare le proprie teorie sul global warming», mentre soltanto il 26% non crede a questa possibilità (o crede che sia “poco probabile”).
lunedì 7 dicembre 2009
«My name is Barack H. and I am an alcoholic»
Immaginate una riunione degli Alcolisti Anomimi in cui tutti i membri si presentano ubriachi e con scorte extra di vino, birra e liquori per tenersi allegri. Ora immaginate che lo stesso gruppo di ubriaconi abbia il potere di prendere decisioni economiche - per migliaia di miliardi di dollari - a carico dei cittadini di tutto il mondo. Questo assurdo scenario riassume brevemente la Conferenza sui cambiamenti climatici delle Nazioni Unite che inizia oggi (per finire il 18 dicembre) a Copenhagen. Malgrado il fatto che l'intera conferenza sia fondata sulla credenza che l'attività dell'uomo - e soprattutto guidare automobili e volare con gli aerei - stia provocando l'emissione di gas serra che presto ci uccideranno tutti, plutocrati di tutto il mondo hanno mobilitato più di 1,200 limousine e 140 aerei privati per viaggiare da e per Copenhagen nelle prossime due settimane. Quando non si sollazzeranno con la più antica professione del mondo, i conferenzieri negozieranno un trattato in grado di succedere al Protocollo di Kyoto del 1997, che obbligava le nazioni più sviluppate a ridurre, entro il 2012, le loro emissioni di gas serra del 5% al di sotto dei valori di riferimento del 1990. Quale è stato, dunque, il risultato di questi impegni sulla riduzione delle emissioni presi a Kyoto? Secondo i dati delle Nazioni Unite, tra il 2000 e il 2006 i 27 firmatari europei hanno aumentato le loro emissioni dello 0,1%. Il Canada, addirittura, ha fatto registrare un'aumento delle emissioni del 21,3%. Mentre gli Stati Uniti, che non avevano ratificato il trattato - visto che il Senato aveva votato 95 a 0 per non imbrigliare l'economia americane con regolamenti costosi da cui Cina e India erano esplicitamente esentate - hanno di fatto ridotto le proprie emissioni del 3% nello stesso periodo.
Continua (in inglese), su The Foundry, il blog della Heritage Foundation
Continua (in inglese), su The Foundry, il blog della Heritage Foundation
mercoledì 2 dicembre 2009
Climategate: rotolano le prime teste
Lo scandalo del “Climategate” inizia a fare le prime vittime illustri. A poco più di una settimana dal vertice internazionale sul clima di Copenhagen, Phil Jones, il direttore della Climate Research Unit della University of East Anglia è stato costretto a «fare un passo indietro» in attesa della conclusione di un’inchiesta interna avviata dalla stessa università. E, dall’altra parte dell’Atlantico, un’indagine analoga è in corso su Michael Mann alla Pennsylvania State University.
Jones e Mann sono due figure assolutamente centrali nel dibattito - scientifico e politico - che circonda il global warming (o, come i climatologi mainstream preferiscono chiamarlo ultimamente, il climate change). Jones è il climatologo che possiede - ma sarebbe meglio dire “possedeva”, visto che nessuno alla Cru riesce più a trovarle - le serie storiche di dati sulla temperatura terrestre che sono alla base dei lavori dell’Ipcc (Intergovernmental Panel on Climate Change), l’organizzazione internazionale creata nel 1988 dall’Onu per valutare i rischi dei cambiamenti climatici causati dall’attività umana. La stessa organizzazione che, nel 2007, ha condiviso con Al Gore il Premio Nobel per la Pace. Mann, invece, è il creatore dell’ormai celebre “hockey stick” (bastone da hockey), il contestatissimo grafico che dimostrerebbe - almeno visivamente - le responsabilità dell’uomo nell’aumento della temperatura terrestre degli ultimi decenni.
I due climatologi sono anche gli autori del 12° capitolo del terzo rapporto Ipcc, pubblicato nel 2001, dal titolo più che significativo: «Identificazione dei cambiamenti climatici e attribuzione delle cause». Sono proprio Jones e Mann, dunque, i veri autori del mantra algoriano sulle cause umane del global warming, ripetuto ossessivamente nell’ultimo decennio dalla stragrande maggioranza dei mezzi d’informazione, dei partiti politici e dei movimenti d’opinione pubblica occidentali. E sono proprio Jones e Mann le prime due (finora potenziali) vittime di quello che è stato definito, forse prematuramente, «il più grande scandalo scientifico della storia». Ma facciamo un passo indietro.
Lo scorso 21 novembre, un hacker (ma c’è anche di chi parla di un inside job) ha sottratto dai server della Climate Research Unit circa 172 di megabyte tra email interne e documenti vari. E li ha pubblicati online, non senza averne dato notizia a vari blog specializzati sul clima, in larga parte appartenenti al fronte degli “scettici”. Immediatamente, è partita una minuziosa analisi dei dati, che ha restituito un quadro inquietante dello stato in cui versa quella che Al Gore chiama «una scienza ormai consolidata».
Dopo qualche giorno di scrutinio, sono iniziati ad emergere alcuni fatti inequivocabili. Partiamo dalle email, che rivelano l’esistenza di almeno tre gravi problemi. Il primo è gli scienziati della Cru, o almeno la maggior parte di essi, lavorava costantemente perché sulle riviste accademiche ufficiali venissero pubblicati soltanto gli studi favorevoli alla teoria Agw (Anthropogenic global warming), che stabilisce la responsabilità diretta dell’uomo nei cambiamenti climatici. Questi tentativi di mettere il silenziatore a qualsiasi ricerca “controcorrente”, arrivavano al punto di esercitare pressioni nei confronti dei redattori e dei responsabili delle riviste, il tutto condito da minacce di ostracismo generalizzato nei confronti delle riviste che manifestavano anche fugaci cenni di dissenso. Un’interessante scambio di email riguarda il sito RealClimate.org (fino a qualche settimana fa considerato dai più come una delle più affidabili risorse online sull’argomento), i cui responsabili offrono i loro “servigi” alla cricca della Cru, promettendo di “moderare” (si legga “censurare”) qualsiasi commento sgradito al “partito Agw”.
In risposta a un articolo “scettico” pubblicato sulla rivista Climate Research, il direttore della Cru, Phil Jones, elabora strategie per «sbarazzarsi del pericoloso direttore» che ha avuto l’ardire di pubblicare una ricerca non perfettamente ortodossa. E Michael Mann replica: «Credo dovremmo smettere di considerarla una rivista legittima, incoraggiando i nostri colleghi della comunità scientifica a non proporre più articoli e a smettere di citarla nei loro lavori». Un perfetto caso di logica circolare. Lo scetticismo sul global warming (o sulle cause umane di esso) non è “scientifico” perché non è supportato da articoli pubblicati da riviste accademiche ufficiali. Ma se una rivista pubblica articoli “scettici”, allora diventa “non scientifica” per definizione. «Il mare è mosso perché Nettuno è infuriato. E come fai a stabilire che la causa del mare mosso sia il pessimo umore di Nettuno? Ma come, non vedi com’è mosso il mare?». Pura scienza.
In altre email, gli “scienziati” della Cru (sarà forse il caso di iniziare a utilizzare le virgolette), si scambiano consigli su come “taroccare” alcuni dati grezzi che contraddicono il graduale aumento delle temperature terrestri. Si ammette esplicitamente l’utilizzo di «trucchi» statistici per «nascondere il declino» delle temperature. Sarà poi il blogger (ed ex metereologo) Anthony Watts a spiegare i dettagli tecnici del “trucco”, che consiste nel mescolare selettivamente due serie differenti di dati sulla temperatura in modo da produrre un grafico globale che finisce nel modo preferito dall’establishment sul global warming: con la classica curva all’insù tipica dell’hockey stick.
Dalle comunicazioni tra gli “scienziati” si percepisce anche una forte insicurezza di fondo sulla solidità delle stesse teorie su cui hanno costruito le proprie fortune, accademiche e finanziarie. «Dove diavolo è finito il global warming?», si chiede qualcuno dopo aver analizzato dati che dipingono un quadro generale di diminuzione delle temperature. E un articolo di Der Spiegel che sottolinea proprio questa tendenza al “raffreddamento globale” viene accolto quasi con terrore...
Poi c’è un aspetto altrettanto inquietante che rischia in più di avere conseguenze penali (ed è al centro delle inchieste avviate dalle università britanniche e statunitensi): quello del deliberato occultamento di dati scientifici che potrebbero falsificare la teoria di fondo dell’Anthropogenic global warming. «I due MMs - si legge in una mail di Phil Jones - stanno inseguendo i dati delle stazioni Cru da anni. Se scoprissero che ora esiste un Freedom of Information Act anche nel Regno Unito, credo che cancellerei tutti i file piuttosto che darli a qualcuno». I due MMs non sono caramelle, ma Ross Mckittrick e Steve McIntyre, due degli esponenti di punta dei climatologi scettici. E ancora: Phil Jones, evidentemente pressato dai vertici amministrativi della Cru che lo spingono a rendere pubblici i dati per evitare polemiche e cattiva pubblicità, perde la pazienza e invita i suoi collaboratori a sbarazzarsi di tutte le email in cui questi dati sono stati allegati. E l’aspetto più interessante di tutta la vicenda è che, recentemente, la Cru ha ammesso che i “dati grezzi” su cui sono state elaborate tutte le teorie dell’Ipcc sono stati «inavvertitamente cancellati» durante l’ultimo trasloco di sede dell’organizzazione. Una coincidenza strabiliante. O un atto criminale di cui Jones dovrà rispondere, non solo nelle sedi accademiche.
Fin qui, si tratta di email che dipingono un quadro disarmante della situazione. Ma c’è anche un’altra serie di “chicche” nascoste in uno dei documenti pubblicati online. Si tratta di un lungo file di testo denominato “Harry_Read_Me.txt” in cui, tra le linee di codice di un programma (scritto nel vecchio linguaggio fortran), il programmatore incaricato di «dare una sistemata ai dati» esprime tutta la sua frustrazione per essere costretto a lavorare con serie di dati incompleti, incoerenti e - in ultima analisi - del tutto inutilizzabili. Si tratta di commenti troppo tecnici per essere riportati in questa sede, ma dai quali si evince una realtà che gli “scettici” avevano intuito da tempo: quella sui cambiamenti climatici non è una «scienza consolidata», ma nella migliore delle ipotesi una “scienza neonata” in cui si avrebbero difficoltà quasi insormontabili nel ricostruire una serie di misurazioni coerenti e vagamente utilizzabili, figuriamoci nell’elaborare una teoria “perfetta” in cui si arriva perfino a stabilire un nesso di causalità. Eppure, negli ultimi anni, è accaduto proprio questo.
Lo scenario che emerge dal Climategate è drammatico, ma semplice da raccontare. In ogni discussione sul global warming, nella letteratura scientifica come nei mainstream media, il risultato è sempre lo stesso: è colpa dell’uomo. Lo ha scritto Robert Tracinski su Real Clear Politics, «come i grafici sulla temperatura prodotti dalla Cru sono sempre truccati per far vedere la curva all’insù dell’hockey stick, ogni discussione sui cambiamenti climatici finisce con l’attribuire ogni responsabilità all’uomo; e ogni dato o lavoro scientifico che tende a falsificare questa teoria viene screditato come “non scientifico” proprio perché insidia questo dogma prestabilito». Ma le email (e i documenti) del “Climategate” dimostrano, al di là di ogni ragionevole dubbio, che siamo in presenza di un caso gigantesco di frode scientifica organizzata. Negli ultimi cinque anni, Phil Jones ha “raccolto” finanziamenti per 13,7 milioni di sterline dal governo britannico, grazie a dati falsi, minacce trasversali e trucchi statistici. Ed è stato trattato dall’opinione pubblica, manipolata da media compiacenti, come un eroe.
Il danno, poi, potrebbe andare molto oltre questa piccola truffa milionaria, nel momento in cui una teoria non dimostrata (e probabilmente non dimostrabile) venisse utilizzata per introdurre gabbie legislative capaci di distruggere ricchezza per migliaia di miliardi, soltanto nel mondo occidentale. Proprio come rischia di accadere nei prossimi anni.
(domani in edicola su Liberal quotidiano)
Jones e Mann sono due figure assolutamente centrali nel dibattito - scientifico e politico - che circonda il global warming (o, come i climatologi mainstream preferiscono chiamarlo ultimamente, il climate change). Jones è il climatologo che possiede - ma sarebbe meglio dire “possedeva”, visto che nessuno alla Cru riesce più a trovarle - le serie storiche di dati sulla temperatura terrestre che sono alla base dei lavori dell’Ipcc (Intergovernmental Panel on Climate Change), l’organizzazione internazionale creata nel 1988 dall’Onu per valutare i rischi dei cambiamenti climatici causati dall’attività umana. La stessa organizzazione che, nel 2007, ha condiviso con Al Gore il Premio Nobel per la Pace. Mann, invece, è il creatore dell’ormai celebre “hockey stick” (bastone da hockey), il contestatissimo grafico che dimostrerebbe - almeno visivamente - le responsabilità dell’uomo nell’aumento della temperatura terrestre degli ultimi decenni.
I due climatologi sono anche gli autori del 12° capitolo del terzo rapporto Ipcc, pubblicato nel 2001, dal titolo più che significativo: «Identificazione dei cambiamenti climatici e attribuzione delle cause». Sono proprio Jones e Mann, dunque, i veri autori del mantra algoriano sulle cause umane del global warming, ripetuto ossessivamente nell’ultimo decennio dalla stragrande maggioranza dei mezzi d’informazione, dei partiti politici e dei movimenti d’opinione pubblica occidentali. E sono proprio Jones e Mann le prime due (finora potenziali) vittime di quello che è stato definito, forse prematuramente, «il più grande scandalo scientifico della storia». Ma facciamo un passo indietro.
Lo scorso 21 novembre, un hacker (ma c’è anche di chi parla di un inside job) ha sottratto dai server della Climate Research Unit circa 172 di megabyte tra email interne e documenti vari. E li ha pubblicati online, non senza averne dato notizia a vari blog specializzati sul clima, in larga parte appartenenti al fronte degli “scettici”. Immediatamente, è partita una minuziosa analisi dei dati, che ha restituito un quadro inquietante dello stato in cui versa quella che Al Gore chiama «una scienza ormai consolidata».
Dopo qualche giorno di scrutinio, sono iniziati ad emergere alcuni fatti inequivocabili. Partiamo dalle email, che rivelano l’esistenza di almeno tre gravi problemi. Il primo è gli scienziati della Cru, o almeno la maggior parte di essi, lavorava costantemente perché sulle riviste accademiche ufficiali venissero pubblicati soltanto gli studi favorevoli alla teoria Agw (Anthropogenic global warming), che stabilisce la responsabilità diretta dell’uomo nei cambiamenti climatici. Questi tentativi di mettere il silenziatore a qualsiasi ricerca “controcorrente”, arrivavano al punto di esercitare pressioni nei confronti dei redattori e dei responsabili delle riviste, il tutto condito da minacce di ostracismo generalizzato nei confronti delle riviste che manifestavano anche fugaci cenni di dissenso. Un’interessante scambio di email riguarda il sito RealClimate.org (fino a qualche settimana fa considerato dai più come una delle più affidabili risorse online sull’argomento), i cui responsabili offrono i loro “servigi” alla cricca della Cru, promettendo di “moderare” (si legga “censurare”) qualsiasi commento sgradito al “partito Agw”.
In risposta a un articolo “scettico” pubblicato sulla rivista Climate Research, il direttore della Cru, Phil Jones, elabora strategie per «sbarazzarsi del pericoloso direttore» che ha avuto l’ardire di pubblicare una ricerca non perfettamente ortodossa. E Michael Mann replica: «Credo dovremmo smettere di considerarla una rivista legittima, incoraggiando i nostri colleghi della comunità scientifica a non proporre più articoli e a smettere di citarla nei loro lavori». Un perfetto caso di logica circolare. Lo scetticismo sul global warming (o sulle cause umane di esso) non è “scientifico” perché non è supportato da articoli pubblicati da riviste accademiche ufficiali. Ma se una rivista pubblica articoli “scettici”, allora diventa “non scientifica” per definizione. «Il mare è mosso perché Nettuno è infuriato. E come fai a stabilire che la causa del mare mosso sia il pessimo umore di Nettuno? Ma come, non vedi com’è mosso il mare?». Pura scienza.
In altre email, gli “scienziati” della Cru (sarà forse il caso di iniziare a utilizzare le virgolette), si scambiano consigli su come “taroccare” alcuni dati grezzi che contraddicono il graduale aumento delle temperature terrestri. Si ammette esplicitamente l’utilizzo di «trucchi» statistici per «nascondere il declino» delle temperature. Sarà poi il blogger (ed ex metereologo) Anthony Watts a spiegare i dettagli tecnici del “trucco”, che consiste nel mescolare selettivamente due serie differenti di dati sulla temperatura in modo da produrre un grafico globale che finisce nel modo preferito dall’establishment sul global warming: con la classica curva all’insù tipica dell’hockey stick.
Dalle comunicazioni tra gli “scienziati” si percepisce anche una forte insicurezza di fondo sulla solidità delle stesse teorie su cui hanno costruito le proprie fortune, accademiche e finanziarie. «Dove diavolo è finito il global warming?», si chiede qualcuno dopo aver analizzato dati che dipingono un quadro generale di diminuzione delle temperature. E un articolo di Der Spiegel che sottolinea proprio questa tendenza al “raffreddamento globale” viene accolto quasi con terrore...
Poi c’è un aspetto altrettanto inquietante che rischia in più di avere conseguenze penali (ed è al centro delle inchieste avviate dalle università britanniche e statunitensi): quello del deliberato occultamento di dati scientifici che potrebbero falsificare la teoria di fondo dell’Anthropogenic global warming. «I due MMs - si legge in una mail di Phil Jones - stanno inseguendo i dati delle stazioni Cru da anni. Se scoprissero che ora esiste un Freedom of Information Act anche nel Regno Unito, credo che cancellerei tutti i file piuttosto che darli a qualcuno». I due MMs non sono caramelle, ma Ross Mckittrick e Steve McIntyre, due degli esponenti di punta dei climatologi scettici. E ancora: Phil Jones, evidentemente pressato dai vertici amministrativi della Cru che lo spingono a rendere pubblici i dati per evitare polemiche e cattiva pubblicità, perde la pazienza e invita i suoi collaboratori a sbarazzarsi di tutte le email in cui questi dati sono stati allegati. E l’aspetto più interessante di tutta la vicenda è che, recentemente, la Cru ha ammesso che i “dati grezzi” su cui sono state elaborate tutte le teorie dell’Ipcc sono stati «inavvertitamente cancellati» durante l’ultimo trasloco di sede dell’organizzazione. Una coincidenza strabiliante. O un atto criminale di cui Jones dovrà rispondere, non solo nelle sedi accademiche.
Fin qui, si tratta di email che dipingono un quadro disarmante della situazione. Ma c’è anche un’altra serie di “chicche” nascoste in uno dei documenti pubblicati online. Si tratta di un lungo file di testo denominato “Harry_Read_Me.txt” in cui, tra le linee di codice di un programma (scritto nel vecchio linguaggio fortran), il programmatore incaricato di «dare una sistemata ai dati» esprime tutta la sua frustrazione per essere costretto a lavorare con serie di dati incompleti, incoerenti e - in ultima analisi - del tutto inutilizzabili. Si tratta di commenti troppo tecnici per essere riportati in questa sede, ma dai quali si evince una realtà che gli “scettici” avevano intuito da tempo: quella sui cambiamenti climatici non è una «scienza consolidata», ma nella migliore delle ipotesi una “scienza neonata” in cui si avrebbero difficoltà quasi insormontabili nel ricostruire una serie di misurazioni coerenti e vagamente utilizzabili, figuriamoci nell’elaborare una teoria “perfetta” in cui si arriva perfino a stabilire un nesso di causalità. Eppure, negli ultimi anni, è accaduto proprio questo.
Lo scenario che emerge dal Climategate è drammatico, ma semplice da raccontare. In ogni discussione sul global warming, nella letteratura scientifica come nei mainstream media, il risultato è sempre lo stesso: è colpa dell’uomo. Lo ha scritto Robert Tracinski su Real Clear Politics, «come i grafici sulla temperatura prodotti dalla Cru sono sempre truccati per far vedere la curva all’insù dell’hockey stick, ogni discussione sui cambiamenti climatici finisce con l’attribuire ogni responsabilità all’uomo; e ogni dato o lavoro scientifico che tende a falsificare questa teoria viene screditato come “non scientifico” proprio perché insidia questo dogma prestabilito». Ma le email (e i documenti) del “Climategate” dimostrano, al di là di ogni ragionevole dubbio, che siamo in presenza di un caso gigantesco di frode scientifica organizzata. Negli ultimi cinque anni, Phil Jones ha “raccolto” finanziamenti per 13,7 milioni di sterline dal governo britannico, grazie a dati falsi, minacce trasversali e trucchi statistici. Ed è stato trattato dall’opinione pubblica, manipolata da media compiacenti, come un eroe.
Il danno, poi, potrebbe andare molto oltre questa piccola truffa milionaria, nel momento in cui una teoria non dimostrata (e probabilmente non dimostrabile) venisse utilizzata per introdurre gabbie legislative capaci di distruggere ricchezza per migliaia di miliardi, soltanto nel mondo occidentale. Proprio come rischia di accadere nei prossimi anni.
(domani in edicola su Liberal quotidiano)
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